da @paolomadron
Natale, fine anno, tempo di bilanci. Specie adesso che Mario Monti si è dimesso.
In attesa di scendere in campo dismettendo la casacca del tecnico o
invece, ma questo lo sapremo ufficialmente domenica 23 settembre nel suo
discorso alla nazione, decidere di non compiere quel gesto che sono in
molti (noi compresi, nel nostro piccolo) a sconsigliare.
STABILITÀ, VASO DI PANDORA.
Intanto, attorno a lui, dentro i palazzi del potere, le dimissioni
hanno scatenato un liberi tutti le cui conseguenze si sono viste nel
disegno di legge sulla Stabilità, che alla fine è diventato un vaso di
Pandora dove è stato infilato dentro di tutto.
Alla faccia della spending review, del rigore, della sobrietà che dovevano essere le cifre connotanti di un esecutivo, malgrè soi, impantanatosi nella palude della partitocrazia.
Di seguito, quelli che a nostro avviso sono stati i 10 errori che più
hanno inficiato l’azione di Monti, cui peraltro va il merito (ma glielo
riconoscono tutti tranne una parte) di aver ridato all’Italia la perduta
credibilità internazionale.
1. L’aver messo sin dall’inizio troppa carne al fuoco
in un governo nato per rispondere a una ben precisa emergenza
finanziaria, sulla cui onda il Paese rischiava il default. Il risultato è
un pacchetto di riforme alcune delle quali (in primis quella del
lavoro) si sono mostrate, oltre che complicate, inefficaci.
2.
Non avere eletto la questione del debito pubblico come la più urgente
da risolvere, mettendo in campo tutte le azioni (e le proposte in questo
senso erano molte) per il suo contenimento e, in prospettiva, al sua
drastica riduzione. Conseguenza: a ottobre l’ammontare di quel debito ha
sfondato la soglia monstre dei 2 mila miliardi di euro, record di
sempre.
3. Aver fatto molto sulla carta, ma poco
nella realtà, per la riduzione della spesa pubblica, che del debito di
cui sopra è il motore vorace. Anche qui, al di là del proclami, contano i
numeri, che sono impietosi. Questo a fronte di una pressione fiscale,
diretta e indiretta, la cui entità ha assunto dimensioni vessatorie.
4.
Aver fatto poco o nulla per stimolare la crescita economica, che è una
delle sottostanti fondamentali per avviare un percorso virtuoso sulla
riduzione del debito. Il tanto sbandierato omonimo piano, la cui stima
di intervento enfaticamente parlava di 80 miliardi, si è via via ridotto
col passare dei mesi a ben poca cosa. Così, alla fine, non solo il
Paese non è cresciuto ma ha registrato una performance peggiore di
quelle dei principali partner dell’Eurozona.
5.
Le liberalizzazioni. Poche, scadenti, spesso confuse o rimaste a metà.
Da questo punto di vista ci si aspettavano grandi novità, non fosse
altro che un governo tecnico, libero dalla preoccupazione del consenso,
poteva agire infischiandosene dei rigurgiti corporativi. Dai taxi alle
farmacie, ad altri settori della vita pubblica, così non è stato.
6.
L’inefficacia dell’intervento sui costi della politica. Di questo per
la verità il governo Monti non porta interamente la colpa, visto che la
fine anticipata della legislatura ha determinato la sospensione
dell’iter di provvedimenti (come la riduzione delle Province) che
andavano nella giusta direzione. L’esecutivo però sul tema si è comunque
mosso tardi, e solo quando gli scandali di mala spesa dei soldi
pubblici da parte della politica hanno evidenziato l’improcrastinabilità
del suo intervento.
7. Il ritardo con cui sono state affrontate
fondamentali questioni di politica industriale, verso le quali da un
lato il governo ha mostrato passività se non peggio inettitudine (la
vicenda Fiat). Dall’altro, come nel caso Ilva, è intervenuto
sull’esplodere della loro emergenza. Anche in materia di aziende
pubbliche, Monti è sembrato troppo remissivo.
Non è intervenuto su Finmeccanica, anche alla luce degli scandali
giudiziari che hanno investito l’azienda. È intervenuto, male, sulla
Rai, cambiandone d’imperio i vertici ma lasciando intatto l’anomalo
meccanismo di governance che ha reso la tivù di Stato esclusivo terreno
di pascolo dei partiti.
8. Ha sbagliato nella
scelta di alcuni ministri, Elsa Fornero su tutti. Di altri non ha saputo
tenere a freno la smania di protagonismo, la tendenza a fare annunci
poi rivelatisi intempestivi, quando non veri. In alcuni casi, e proprio
il ministro del Lavoro è buon testimone, portatori di un’arroganza pari
se non superiore alla loro sprovvedutezza.
9.
L’aver avuto e reiterato l’Eurocrazia come unica stella polare, come se
Monti non fosse il primo ministro degli italiani, ma il loro commissario
straordinario per conto di Bruxelles e delle sue istituzioni. Ciò ha
reso ancora più evidente quella perdita di sovranità che fu uno dei
motivi, anzi, il principale, del suo arrivo a Palazzo Chigi. Insomma, il
Professore ha sempre dato l’impressione che gli importasse più quanto
pensavano Angela Merkel, Herman Van Rompuy, José Manuel Durão Barroso e
compagnia che non i suoi concittadini.
10. L’aver ridotto la politica a una mera
rendicontazione finanziaria, come se il cuore pulsante del Paese fosse
stato sostituito da un algoritmo che ne catalizza tutte le energie e ne
condiziona ogni mossa. Non importa se questo ha aperto laceranti ferite
nel tessuto connettivo della nazione, percepita come qualcosa
sacrificabile sull’altare di una visione accademica di un’Europa che è
di là da venire.
Sabato, 22 Dicembre 2012
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