di Paolo Crecchi (crecchi@ilsecoloxix.it)
Sarà il faccione barbuto di Beppe Grillo a campeggiare nei cartelloni
del Movimento Cinque Stelle, nei giorni roventi della prossima campagna
elettorale, anche se il Vate di Sant’Ilario non diventerà mai presidente
del consiglio. A spiegare perché è Paolo Becchi, professore di
filosofia del diritto a Giurisprudenza e intellettuale d’area, si
sarebbe detto una volta: «I partiti e i gruppi politici che si candidano
a governare», spiega citando l’articolo 14 bis del cosiddetto
Porcellum, «depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il
nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza
politica. Non premier, capo: le stesse parole usate da Grillo
all’indomani del trionfo siciliano, quando spiegò che la sua figura
sarebbe stata quella del garante».
Una mossa geniale ma del resto, dal punto di vista del marketing, il duo
Grillo & Casaleggio sono dei maestri. Becchi è qualcosa di più,
però, docente universitario di pensiero lucido, specializzato in temi
scabrosi come eutanasia, clonazione, morte cerebrale. Solo una persona
curiosa e intellettualmente onesta come lui poteva scovare quello che
pensava Norberto Bobbio, e dunque un padre della
patria, a proposito della tanto vituperata democrazia diretta. Utopia?
Ma certo, «salvo a fare l’ipotesi (e non escludo che un giorno ci si
arrivi) di un immenso computer cui ogni cittadino, standosene a casa o
andando al più vicino terminal, possa trasmettere il suo voto premendo
un bottone». Il grande filosofo lo scriveva nel 1976, in un saggio
pubblicato da Einaudi dal titolo oggi improponibile, «Quale
socialismo?».
Difficile continuare a bollare il Movimento come antipolitico, dunque,
se si considera che Bobbio - al di là di qualche scivolone, come
l’orgogliosa professione di fascismo esternata per lettera a Mussolini
allo scopo di ottenere una cattedra - è sempre stato considerato un
punto di riferimento per la democrazia. «Io non li conoscevo, Grillo e
Casaleggio. Mai parlato con nessuno dei due. Poi mi telefona uno dei
Cinque Stelle e mi chiede se può farmi un’intervista. Quando vuole,
rispondo. Le domande sono sul governo Monti, sull’euro, sui modelli
alternativi di sviluppo. Domande intelligenti, che presuppongono una
preparazione. Credo che non troveremo mai una Minetti nel Movimento, e
già questo è qualcosa». Il professor Becchi parla nell’ufficio che fu
di Giovanni Tarello, il filosofo del diritto scomparso a soli 52 anni
per un tumore ai polmoni. Ricorda sospirando come nei cassetti e sugli
scaffali continuassero a essere ritrovate, fino a pochi anni fa, stecche
di Gauloises blu. «Grillo e i suoi», riflette, «sono molto legati ai
bisogni del territorio. Hanno occupato il posto di un ecologismo che in
Italia non c’è mai stato, o quanto meno non è mai stato degnamente
interpretato dai Verdi. Oggi rappresentano tutto meno che
l’antipolitica, anzi sono la massima espressione della voglia di far
politica. Vedete, la tanto sbandierata democrazia rappresentativa è un
feticcio, ha partorito una classe dirigente convinta che la sua sia una
professione. Avete presente Montaldo, l’assessore regionale alla sanità?
Ha sempre fatto l’assessore, anche in Comune, crede che il suo mestiere
sia quello di fare l’assessore. Sarà meglio oppure no un gruppo di
lavoro che elabora una proposta di legge confidando su esperti, studi,
ricerche e poi l’affida a un politico a tempo, che funziona da
portavoce?».
Secondo Becchi la legge elettorale in via di elaborazione ha l’unico
scopo di fermare il Movimento. «C’è in giro un malessere diffuso, ci si
comincia a rendere conto che la politica di Monti e la subalternità
all’euro hanno bruciato i destini di almeno due generazioni. E la
partitocrazia anziché riflettere su se stessa studia come fermare
Grillo, ha compreso che se arriva al 25 o 30 per cento il premio di
maggioranza è suo... Secondo me la legge elettorale non la cambiano più,
però. Il centrodestra è imploso, al limite potrebbe favorire soltanto
Bersani: gli altri non ci staranno mai».
«Dicono che nel Movimento non c’è democrazia. Ma a parte il fatto che i
militanti hanno una testa, e sicuramente migliore di quella delle varie
Minetti che ci hanno governato di recente, com’è che tutti parlano
della Salsi a Bologna e nessuno di Bugani, uno che dalla mattina alla sera fa quello che gli è stato chiesto dagli elettori anziché andare a perdere tempo in televisione? Lo spiego io: perché il sistema sta cercando di aprire una breccia nel Movimento.
Pensate a Santoro, Floris, Vespa senza gli attori del teatrino. Cosa
fanno? E pensate agli attori del teatrino che vanno a pavoneggiarsi in
televisione mentre gli altri lavorano in Parlamento. Finisce un’era,
capite»?
Becchi sostiene che «se la Rete incontra la piazza allora Napolitano
Primo lo sente eccome, il boom». Un presidente della Repubblica che ha
già deciso come deve andare, «perché nella loro testa sono il capo dello
stato e i partiti che devono legittimare il governo, mica i cittadini.
Così Monti non deve candidarsi, perché la sua eventuale legittimazione
passerà attraverso gli accordi di palazzo».
Cinquantasei anni, una barba bianca d’altri tempi, il Movimento si è
trovato in casa un ideologo più presentabile di Casaleggio, personaggio
che resta ambiguo e ogni tanto scivola nel visionario. «Alla peggio, in
parlamento ci sarà una grande forza di opposizione. Qualcosa cambierà
comunque: io li voto.».
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