di PierGiorgio Gawronski
La crisi globale è stata contenuta ovunque, tranne che in Europa. Qui c’è la disoccupazione più alta del mondo, la crescita più bassa del mondo, ed alcuni Stati (PIGS) in crisi di competitività e a rischio di crash finanziario. Questi semplici fatti dimostrano il fallimento delle politiche europee.
In questo quadro, sorprende il silenzio degli economisti keynesiani:
stenta ad emergere una linea di politica economica veramente
alternativa; mentre l’offerta politica oscilla fra due opposti
estremismi: il neoliberismo e l’anti-capitalismo.
Si consideri la situazione dei bilanci pubblici. Nel 2005, su istigazione dell’Italia, Angela Merkel e Sarkozy – in piena ‘deregulation’ e bolla speculativa – annacquarono fortemente il Patto di Stabilità. Gli stessi leader – ora che l’economia europea ha bisogno di aiuto – spingono per dosi crescenti di austerità in tutta Europa. Eppure, la madre di tutti i problemi, oggi, è l’insufficienza della domanda.
Se Keynes fosse vivo, suggerirebbe una manovra opposta: più austerità
prima della crisi, meno austerità oggi, ad eccezione che nei paesi ad
alto debito.
Le politiche di austerità nei paesi con alto debito aggravano la depressione della domanda interna, e generano la spirale negativa osservata in Grecia, Irlanda, Portogallo, e che lambisce il nostro paese. Il governatore della Banca Centrale Europea, Trichet,
ha molto insistito sull’idea che l’austerità “rafforza la fiducia del
settore privato”, e per questa via “i consumi e gli investimenti”.
Purtroppo, questa teoria non funziona. Al contrario, la crisi greca si
trascina, e il conto diventa più salato (più stremata la Grecia, meno
potrà restituire ai suoi creditori). In Irlanda, addirittura, i mercati
hanno spinto i tassi d’interesse alle stelle nel 2010 dopo
l’avvio del programma di austerità, man mano che le sue conseguenze si
manifestavano. Sull’Italia incombe una manovra da 45 miliardi che
rischia di provocare una nuova disastrosa recessione; ma anche non fare la manovra ci trascinerebbe nel vortice greco.
La politica economica nei paesi in crisi si trova di fronte a un ‘trilemma’. Deve favorire al tempo stesso: 1) la riduzione dei debiti pubblici; 2) la crescita dei redditi (e base imponibile); 3) il recupero di competitività.
Ma il neo-liberismo non è in grado di risolvere il trilemma: 1) i tagli
alla spesa pubblica riducono crescita ed entrate fiscali; 2) le
‘riforme strutturali’ non hanno alcun effetto sulla domanda; 3) il
taglio dei salari – raccomandato per recuperare competitività – accresce
il peso reale dei debiti. L’intera Europa è costruita per
impedire inflazione e debiti. Ma le sue istituzioni non sono in grado di
reagire in modo opposto nel momento in cui la situazione si è
rovesciata.
La crisi Europea si trascinerà penosamente, per anni, se la Banca centrale non sposa una linea di politica monetaria keynesiana eterodossa. Oggi, sta alzando i tassi per combattere un nemico che non c’è: l’inflazione core
è sotto al 2%! Solo in un ambiente europeo caratterizzato dalla
reflazione i PIIGS possono risolvere il trilemma della politica
economica e sfuggire al ‘vortice greco’. La strategia si chiama Quantitative easing e Inflazione programmata. Parole che, purtroppo, suonano anatema alle orecchie dei sacerdoti dell’ortodossia.
Un tasso d’inflazione programmato per quattro anni (2013-2016) al 3,5% in Europa (4,5% in Germania, 1% nei PIGS), e tassi d’interesse fermi all’1%, consentirebbero:
1) A tutta la struttura dei tassi di posizionarsi su livelli reali
negativi, stimolando la domanda interna ed estera e l’occupazione. 2) Ai
PIIGS di recuperare competitività senza cadere in deflazione. 3) Meno austerità,
grazie alla riduzione del valore reale dei debiti pubblici e a maggiori
entrate fiscali. Auspico anzi che la Banca centrale ‘bruci’ una piccola
parte dei titoli pubblici da essa detenuti, finanziando implicitamente i
governi, e sottolineando l’impegno solenne ad alzare temporaneamente il
tasso di inflazione. 4) Alla Germania di alzare i salari reali, e di
godersi il frutto della sua coerenza in un quadro di stabilità del
sistema bancario. Su queste basi, è possibile che l’austerità dei PIIGS
abbia successo.
Naturalmente, le politiche suggerite sposterebbero il peso dei sacrifici dai lavoratori alle rendite.
Naturalmente, la Germania ha paura dell’inflazione. E la Bce sembra
fare di tutto per destabilizzare l’economia europea: è sempre possibile
proporre una modifica del suo Statuto, che affidi al Parlamento Europeo,
in certi casi, e con maggioranze qualificate e crescenti, il compito di
indicare l’obiettivo d’inflazione (modello UK). Ma poiché i costi delle politiche suggerite sarebbero molto inferiori rispetto ai disastri attuali,
confido che alla fine le proposte keynesiane possano essere accettate
anche sul piano politico. La periferia dell’Europa è inchiodata ad una
croce di ortodossia monetaria; ma le conseguenze sono nefaste per tutti.
È ora di cambiare strada.
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