VOGLIO COSI' RICORDARE UNA NOTIZIA PASSATA QUASI INOSSERVATA
In gran silenzio, scrive “L’Espresso”, il 3 gennaio – alla vigilia
dell’Epifania – il ministero di via XX Settembre ha “estinto” una
posizione in derivati che aveva con una delle grandi investment bank
americane, facendo scendere l’esposizione verso l’Italia da oltre 6.000
a meno di 3.000 miliardi di dollari. Né Morgan Stanley né il Tesoro
hanno voluto spiegare a “L’Espresso” il senso dell’operazione. «Inutile
dire che la banca aveva un credito nei confronti dello Stato italiano e
che il Tesoro era evidentemente tenuto a rimborsarlo». Molti contratti
sui derivati, aggiunge Carabini, prevedono che, dopo un certo numero di
anni, una delle due parti possa chiedere la chiusura della posizione: ma
non accade spesso. «Altre volte sono previsti dei “termination event”,
ovvero fatti che possono innescare la soluzione del contratto: per esempio il downgrade dell’Italia da parte di Standard & Poor’s».
Secondo fonti di mercato, il Tesoro avrebbe limitato i danni
ricorrendo a una triangolazione: Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo)
sarebbe infatti subentrata a Morgan Stanley, consentendo agli americani
di “alleggerirsi” rispetto alla Repubblica italiana. Poco prima, ricorda
sempre “L’Espresso”, aveva fatto scalpore la riduzione della posizione
in titoli italiani da parte della Deutsche Bank, seguita poi da altri
grandi istituti finanziari, specie francesi: nel primo semestre del
2011, la banca tedesca si liberò di oltre 7 miliardi di euro in Btp. Per
Mario Monti e il suo vice-ministro all’economia
Vittorio Grilli, ex direttore generale del Tesoro, entrambi impegnati a
“riportare la fiducia dei mercati” sul debitore-Italia, la richiesta di
Morgan Stanley (la cui branca italiana è diretta dall’ex direttore
generale del Tesoro, Domenico Siniscalco) dev’essere stata una brutta
sorpresa: «L’episodio – scrive Carabini – riapre la questione della
trasparenza delle operazioni in derivati che sono gestite dal Tesoro
nella più totale opacità».
Nessuno, aggiunge “L’Espresso”, sa esattamente a quanto ammonti il
peso dei “derivati”: una volta all’anno viene comunicato (agli uffici di
statistica) il guadagno o la perdita complessivamente registrata su
quel tipo di operazioni. «Infine c’è un problema di immagine per quello
che è spesso chiamato il “governo dei banchieri”: dare 2,567 miliardi a
Morgan Stanley mentre si stangano i pensionati e si stanziano 50 milioni
per la social card non suona bene». A conti fatti, si
tratterebbe di una somma colossale, pari a quasi la metà dell’Iva che
gli italiani dovranno versare nel 2012: perché la grande stampa non se
n’è praticamente “accorta”? Semplice, risponde Mazzalai su
“IcebergFinanza”: impegnati nell’opera di “redenzione internazionale”
del nostro paese, sia Monti che i giornali sapevano che una simile
notizia – debitamente amplificata – avrebbe potuto produrre un
ulteriore danno all’immagine della nostra traballante gestione
contabile.
Dunque: se il lontano regista del contratto “anomalo” è Draghi, perché
si scelse di favorire – a nostre spese – proprio la Morgan Stanley?
Insieme al colosso di Wall Street, scrive Stefania Tamburello sul “Corriere della Sera”
il 17 marzo, anche Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e Jp
Morgan Chase hanno un’enorme esposizione sui derivati nei confronti
dell’Italia: stando ai dati di “Bloomberg”, vantano un credito di 19,5
miliardi di dollari. «Cifra che, sommata agli importi relativi alle
banche europee rese note nel corso degli “stress test” condotti dalla
European Banking Authority, fanno salire l’ammontare complessivo a 31
miliardi di dollari». Una montagna di soldi: è come giocare con un
candelotto di dinamite, sostiene “IcebergFinanza”. Che insiste: perché,
poi, fare speciali condizioni di favore proprio alla Morgan Stanley? Un
caso più unico che raro, segnala la Reuters.
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