lunedì 6 luglio 2009

LE INTERCETTAZIONI

pubblicata da “PRIMA comunicazione”, Giugno 2009

Tutti noi, persone di buon senso, speravamo che il provvedimento sulle intercettazioni finalmente tutelasse - bilanciandoli - i due valori costituzionalmente rilevanti per l’individuo e la società: la libertà di informazione e il diritto alla privacy. E, invece, dalla travagliata discussione parlamentare è venuto fuori un mostro legislativo che invece di garantire con le regole dello Stato di diritto le diverse componenti istituzionali e sociali, sembra appositamente formulato per fornire gli strumenti penali per vendicare, con spirito massimalistico, gli eccessi fin qui compiuti da inquirenti e giornalisti.
Sappiamo bene che i pubblici ministeri, con le macro-inchieste che spesso non hanno condotto ad alcunché, e i giornalisti, con le paginate riempite di scandali che hanno annichilito il cittadino indifeso, si sono attirati la vendetta di chi è capitato nel loro mirino. Quante volte noi garantisti abbiamo dovuto protestare per il protagonismo dei magistrati-sceriffi che, con la compiacenza della stampa, hanno dilagato salvo poi finire in politica all’insegna del giustizialismo? Ma l’attuale normativa butta via insieme con l’acqua sporca anche il bambino, il che significa che fa fuori, insieme agli abusi, anche la possibilità di indagare e di esercitare il diritto di cronaca, essenziali in democrazia.
Scrivevamo qualche mese fa su queste stesse pagine: “Che le intercettazioni in Italia siano troppe, e gestite in maniera abnorme da parte degli inquirenti, addirittura con la tecnica delle reti a strascico per cui si sparano mille colpi in maniera tale che alla fine qualcosa dovrà pur essere colpito, è inconfutabile”. E’ perciò che oggi ci facilitiamo limitatamente a due norme: l’obbligo per il giudice incaricato di un determinato provvedimento di astenersi dal rilasciare pubbliche dichiarazioni, e lo stop alla pubblicazione di nomi e immagini di magistrati relativamente ai procedimenti penali a loro affidati, salvo che l’immagine non sia indispensabile al diritto di cronaca. Ciò detto, però, con tutto il resto del provvedimento, si è andati decisamente fuori dal seminato.
Per la tutela della privacy dei cittadini sarebbe bastata una norma semplice: l’introduzione del divieto di pubblicare brani di intercettazioni ancora coperti dal segreto, irrilevanti per le indagini, riferiti a persone diverse dagli indagati. E, invece, con il riferimento agli “evidenti indizi di colpevolezza”, si sono colpite pesantemente sia le possibilità investigative da parte della magistratura, sia il diritto costituzionale all’informazione che riguarda non tanto quel che scrivono i giornalisti quanto quel che possono conoscere i cittadini attraverso i mezzi di comunicazione.
Dopo molti tira e molla, per autorizzare i magistrati ad intercettare, alla fine si è ricorsi alla formula “evidenti indizi di colpevolezza” sostituita all’altra “sufficienti indizi di colpevolezza” tali da rendere le intercettazioni “assolutamente indispensabili” con la restrizione temporale dei 60 giorni e la necessità dell’autorizzazione di un gip collegiale, condizioni tutte che provocheranno tante interpretazioni cavillose quanti sono i pubblici ministeri che le interpreteranno.
Sul fronte della stampa sono ancor meno convincenti le pene intimidatorie previste per i giornalisti e gli editori dei giornali. Per i cronisti che pubblicano intercettazioni sia integrali sia per riassunto fino al processo in aula, o rendono pubbliche intercettazioni di cui è stata ordinata la distruzione, è previsto il carcere da 6 mesi a 3 anni, pena chiaramente intimidatoria. E, ancor più inquietanti, appaiono le pene e le ammende pecuniarie previste per chi omette di “esercitare il controllo necessario ad impedire la indebita cognizione o pubblicazione delle intercettazioni”: una misura che può essere usata anche dagli editori per esercitare interferenze sul lavorio giornalistico.
Si era partiti con il piede giusto per ricondurre i magistrati nel recinto rigoroso e silenzioso, ma si è arrivati con un passo di stile autoritario che rischia di bloccare tutto e tutti in nome del diritto alla privacy. Vedremo ora cosa farà il presidente della Repubblica che ha a cuore la riconduzione della giustizia e della politica ai loro ambiti, eliminando le invasioni di campo a cui abbiamo dovuto assistere di questi tempi.

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