giovedì 28 febbraio 2013

LUNICA STRADA PERCORRIBILE

Ecco l'unica strada per uscire dalla palude.
Primo, Berlusconi è morto, questo dev’essere chiaro a tutti: Se lo condannano per la sua proclività a delinquere, se si veste di saio e come promesso restituisce l’Imu di tasca sua, se dovesse cedere colpito da una malattia grave, di lui non se ne parli più. Abbiamo perso vent’anni prendendolo sul serio, ora basta.
Secondo, ci sono solo due forze in campo, non Grillo e Bersani, ma gli attivisti e la sinistra, tocca a loro tirarci fuori. Le carte sono in mano a Bersani, che dopo aver ridotto abbondantemente il PD, ha fatto la prima mossa sbagliata, offrendo poltrone a una venticinquenne, come fosse una Pivetti qualunque, perchè la vergogna della Seconda Repubblica è finita.
Terzo, si forma un governo dei migliori, di tecnici e di persone perbene, trentenni o ottantenni non conta - non D’Alema, certo, nè Rosy Bindi, nè il corrotto Giuliano Amato - e si tratta un programma minimo, non solo con Grillo, ma facendo consultazioni con i parlamentari, i quali riferiscano dopo aver ricevuto appropriate istruzioni dalla base che li ha eletti.
Quarto, si decide insieme, con loro e naturalmente con i loro referenti sulla rete, non solo l’azzeramento dei costi della politica o il dimezzamento del numero dei parlamentari e del loro stipendio, ma anche l’abolizione delle province (sarebbero necessario anche delle regioni…), nonchè una nuova legge elettorale maggioritaria, non proporzionale, con la preferenza. 
Quanto all'urgente modifica della prima parte della Costituzione, si elimina il bicameralismo perfetto (e così anche le regioni si trasformano in un mero organo d'indirizzo, quale dovrebbero essere, e possono essere abolite), si elimina dalla Costituzione il pareggio di bilancio inserito da Monti col concorso del PDl e PD-L e si favorisce il sostegno alle piccole-medio imprese proibito da Maastricht.
Quinto, non urgentissimo ma necessario, si propone un referendum consultivo sull’euro, quindi si torna a votare, orgogliosi di essere italian (WE, THE PEOPLE)i.

mercoledì 27 febbraio 2013

Elezioni 2013: tutti vogliono l’Italia, tranne gli italiani

di

 Dopo l’esito delle elezioni leggendo i commenti nei social network sorrido. “Io faccio le valige e scappo i comunisti son tornati” twitta uno. I comunisti che mangiano i bambini credo non esistano da tempo, al più c’è una sinistra che ha vinto, una vittoria di Pirro, le elezioni. “E’ tornato il Berlu! Basta! che Italia di … io me ne vado!” un altro tuitt che non apprezza una scalata, sorprendente a mio avviso, del Pdl. Sembra che l’unico partito che non attira strali troppo critici sia il vero vincitore delle elezioni, il M5S.
Cervelli in fuga, capitali in fuga, pare che fuggano tutti dall’Italia. Un vero peccato perché sembra che l’Italia, malgrado le sue pecche politiche, sia oggetto attenzioni da parte di tutto il mondo: un bocconcino d’oro pronto per esser ingoiato. Non sono solo io a dirlo. Basta un piccolo giro in rete (che mi sono permesso di fare per voi).
Il mondo ci vuole. Tutti ci vogliono, o meglio tutti, per ragioni differenti, vogliono metter le mani negli affari italiani. Si comincia, in fase elettorale, con un eminente figura dell’Economist, tale Bill Emmot. L’inglese si cimenta in un molto “british” docufilm che, caso vuole sotto elezioni, offre un ritratto poco lusinghiero (lascio ai lettori un giudizio finale) di Silvio Berlusconi. Io non ricordo di un equivalente giornalista, in termini d’importanza e posizione in un media italiano quale il Sole 24 ore o il Corriere, che abbia osato intromettersi nella politica inglese in fase elettorale. Del resto l’esclamazione “Italians” (minuto 8.41) pronunciata dai due ufficiali inglesi nel film “Mediterraneo” rende l’idea della visione poshy inglese sull’Italia.
L’uscente presidente Napolitano va in visita in Usa e Obama gli fa presente che “non c’è la preoccupazione che l’Italia possa finire come la Grecia”. Fa piacere sapere che gli Usa ci tengono a noi, considerando che siamo la migliore piattaforma di lancio di interventi rapidi dalle basi date in prestito agli Usa e un ottimo sito di “ascolto”, di recente divenuto oggetto di attenzioni del Movimento 5 stelle in Sicilia.
Il vincente Bersani ha fatto un giro in Europa negli ultimi mesi per rassicurare tutti che “ci penserà lui”. In effetti le sue rassicurazioni hanno sortito un buon effetto se si considera che oggi il Sig Schulz si è permesso di dire riferendosi all’Italia “ C’è bisogno di un governo stabile. Quello che succede in Italia ha conseguenze in tutta Europa”. Il tedesco ha ragione considerando quanto, nel tempo, le banche Europee han investito nel debito pubblico italiano (forse si fidano molto di noi, o forse scommettevano sul nostro fallimento… mah). Pare che anche le banche Americane ci tengano a noi: Morgan Stanley pare estremamente preoccupata a legger questo articolo sul Forbes.  Non parliamo poi dei fondi sovrani che meditano un po’ di shopping a buon prezzo, invitati gentilmente dal Senatore Monti, alcuni mesi orsono, a dar “supporto “ all’Italia. Se leggerete tutti i link che ho riportato (e credetemi potrei continuare per molto) comprenderete una cosa molto chiara.
Tutto il mondo ci vuole bene, vuole bene alla nostra nazione, vuole bene al nostro debito pubblico, alla nostra posizione strategica nel mediterraneo, alle nostre risorse energetiche e al risparmio degli italiani (risparmio per lo più concentrato in immobili di proprietà, il cui valore si sta svalutando, causa, forse, delle scelte del precedente governo tecnico). Il mondo ama la nostra nazione e le sue ricchezze, spesso trascurate da noi italiani. Mi domando perché ci siano italiani che vogliano scappare quando mi sembra che tutto il mondo voglia un pezzo di Italia.

LE CAZZATE DI BEPPE. TRASCURABILI

2000
"Un computer pesa quindici chili, per farlo occorrono quindici tonnellate di materiali. Ogni sei mesi lo buttiamo nella spazzatura. E' la tecnologia più pesante che esista"

2007
Un Paese non può scaricare sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di rom della Romania che arrivano in Italia. E' un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Un governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa? Chi paga per questa insicurezza sono i più deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari. Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati


2011 
"Il Movimento Cinque Stelle è arrivato molto poco dalla Calabria. Abbiamo sempre riscontrato difficoltà a fare rete al Sud, al contrario di quello che invece avviene nelle regioni del Nord. Da cosa dipenderà? Forse è questione di carattere, ma può anche darsi che là siete più abituati al voto di scambio" 

2012
"La mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, si limita a prendere il pizzo"


2013
"Al papa è bastato lanciare due tweet in rete per capire che la struttura della Chiesa non funziona, che le chiese sono vuote, che i preti dovrebbero sposarsi e soprattutto che le pecorelle vogliono parlare col pastore. Non voglio neanche pensare che si sia dimesso per le banche, l’Mps e lo Ior"

Perché

di Chiara Appendino

Perché parlano da sempre di conflitto di interessi ma non hanno colto le occasioni che ci sono state per fare la legge;
perché erano assenti al momento della votazione sullo scudo fiscale che poteva far cadere B.;
perché D'Alema non sapeva che quella sopra fosse una votazione importante;
perché parlano di diritti e immigrazione ma i CIE li ha istituiti la legge Turco-Napolitano;
perché parlano di tagliare i costi della politica ma hanno votato per l'aumento dei fondi ai gruppi consiliari nella Regione Lazio;
perché hanno lasciato in un cassetto, fino alla loro decadenza, centinaia di migliaia di firme di cittadini che chiedevano che venisse discussa una loro proposta di legge;
perché ho sentito troppe volte dire no alla guerra per poi vedermi rifinanziate le missioni in Afghanistan;
perché hanno chi insulta le bidelle dopo essere andato a fare la spesa con la scorta come capolista al Senato;
perché hanno cambiato la costituzione inserendo il pareggio di bilancio senza nemmeno chiedersi cosa ne pensassero i cittadini;
perché mettono nel loro statuto delle regole che però poi sono soggette a mille deroghe;
perché Lusi e Penati hanno fatto tutto da soli e nessuno sapeva nulla;
perché, comunque andrà, si alleeranno con Monti;
perché parlano di ambiente ma gli inceneritori e il TAV si devono fare e basta;
perché parlano di partecipazione e volontà popolare ma non rispettano gli esiti referendari;
perché non c'entrano nulla col Monte dei Paschi;
perché questa lista non finisce qui.

martedì 26 febbraio 2013

SCACCO MATTO

di Paolo Becchi
 
  Non hanno capito niente! Vengono sconfitti, umiliati, e continuano a non capire. È un fenomeno che non ha precedenti, e che rivela la forza del MoVimento 5 Stelle, la sua novità assoluta. Ci vediamo in Parlamento!, ha sempre ripetuto Grillo: ed in Parlamento, ora, il MoVimento l’ha conquistato, imponendosi alla Camera ed al Senato. Ma loro continuano a non capire.
  Basta leggere le recenti dichiarazioni di Vendola: «Interlocuzione con Grillo è un dovere»; o di Moretti (Pd): «Dialogo possibile con loro». E pensano alla “responsabilità nazionale”, alle larghe intese, alle maggioranze trasversali. Possibile che non abbiano capito? Possibile che continuino a ragionare come se il MoVimento fosse un partito della Prima Repubblica? Possibile che non riescano a capire che siamo al tramonto, al collasso non della Prima, ma della Terza Repubblica?
  Ormai lo sappiamo quello che è avvenuto. Nei miei Nuovi Scritti Corsari l’ho ripetuto per un anno, seguendo i fatti che hanno portato dal colpo di Stato “sobrio” di Mario Monti fino al tentativo di Re Giorgio Napolitano di consolidare gli “equilibri” disegnati dall’esperienza del Governo dei tecnici. Ora, finalmente, è tutto finito. Sono finiti, non hanno più possibilità di salvarsi. Ma loro continuano a non capire. Ha ragione Grillo, quando scrive: «Non riescono a capire, non riescono a concepire. Bisogna che li analizzi psichiatricamente. Sono falliti». Non capiscono: continuano a parlare di coalizioni, di intese, di dialogo (ossia: di trattative, negoziati e compromessi tra i corridoi e le segreterie di partito). Pensano, ormai, che il MoVimento sia diventato un partito, come i loro, la cui forza sarebbero i seggi che ha conquistato in Parlamento. Pensano, come scrive Grillo, ad un «governissimo pdmenoelle - pdelle. Noi siamo l'ostacolo. Contro di noi non ce la possono più fare, che si mettano il cuore in pace». Ma perché non avete capito? Eppure Grillo, ancora oggi, ve lo ha detto: «Saremo 150 dentro e qualche milione fuori». Sono i milioni fuori dal Parlamento la forza del MoVimento.
  Il MoVimento 5 Stelle è e resterà una forza antiparlamentare (*), ora entrata in Parlamento per metterlo in scacco dall’interno. Una forza democratica, che non crede nei fallimenti e nelle illusioni della rappresentanza, ma nella partecipazione diretta di tutti i cittadini alla politica del Paese. È così semplice: i 150 sono dentro per trasformare la democrazia rappresentativa in democrazia diretta. Nessuna “intesa”, nessun “governissimo”: i partiti sono finiti, perché è iniziata la democrazia.

IL COLPO MORTALE ALLA PARTITOCRAZIA

Beppe Grillo da antipolitico ad amministratore? “Falsa impostazione: Grillo e’ sempre stato un politico puro, e la sua azione e’ antipartitica, non antipolitica”. Leonardo Facco, studioso dei partiti con forti radicamenti popolari come la Lega e ora il M5S, non ha dubbi sulle capacita’ dell’ex comico genovese di manovrare agevolmente nei palazzi del potere.
“Rappresenta la politica vera, quella che la gente vorrebbe finalmente attuata -dice Facco-. Adesso lo scenario piu’ plausibile e’ che lui faccia un governo insieme al Pd, cedendo magari su 4 o 5 punti che non gli sembrano essenziali ma mantenendo quelli fortemente simbolici, come la riduzione del numero dei parlamentari, delle spese per i partiti e del finanziamento pubblico. Questo smascherera’ il Pd, e Grillo raggiungera’ il suio obbiettivo: distruggere il sistema dei partiti”.
Questo perche’, ragiona ancora Facco, “sa benissimo che non potra’ mai raggiungere il 51% e agire da quella maggioranza. Un po’ come fece la Lega degli inizi, che si alleo’ con Berlusconi per poi farlo cadere su argomenti che erano per loro irrinunciabili”. Quanto a Berlusconi, dice, “resta sempre un magnifico populista, ma Grillo gli e’ superiore: e oltretutto sono due miliardari, solo che il primo entro’ in politica per salvare le sue aziende, il secondo non ha questi problemi, le loro motivazioni sono diversissime e i loro fini anche.
Grillo -ribadisce- vuole rompere gli schemi del parlamentarismo, e quindi e’ antipartitico, ma di sicuro non antipolitico: ed e’ l’unico che puo’ smascherare quelli che dicono di aver vinto”.

L'UNICO EDITORIALE CHE CI HA AZZECCATO

  da L'Osservatore Romano
Timori e incertezze caratterizzano l’attesa per le elezioni politiche ita liane. A preoccupare, anche i mercati e la comunità internazionale, è soprattutto la possibilità che dalle urne possa uscire un Parlamento frammentato, non in grado di esprimere un Governo stabile. Sul risultato delle consultazioni pesa inoltre l’incognita di quanti sono ancora indecisi e di quanti preferiranno astenersi. La sfiducia nella capacità della politica di emendarsi e di mettere mano alle riforme è un elemento che è destinato ad avere un forte peso nella scelta dei cittadini.
Tuttavia, nei programmi e soprattutto negli slogan, non tutti i partiti sembrano aver tenuto conto dei ambiamenti in corso nella società italiana, fra i quali la crisi del ruolo tradizionale dei partiti intesi come titolari esclusivi della mediazione politica. Eppure, fra gli elementi di novità della campagna elettorale si segnalano i milioni di elettori che hanno partecipato alle consultazioni primarie e alle “parlamentarie” così come pure le piazze colme per alcuni comizi. È una massa sul punto di diventare critica, fatta di persone che vogliono partecipare direttamente alla ricostruzione del Paese. Nella loro percezione, anche le proposte meno realistiche diventano strumentali al rovesciamento di un sistema da rifondare.
I contenuti della campagna elettorale hanno invece ruotato attorno al tema delle tasse e delle alleanze post elettorali nel tentativo di fare leva sull’identità politica degli elettori. Una logica di contrapposizione frontale che sarà necessariamente superata una volta chiuse le urne, dati gli effetti di una legge elettorale considerata, come minimo, inadeguata. Dalle previsioni più accreditate si deduce che alcune forze politiche saranno costrette a coalizzarsi per dare un Governo al Paese.
È altrettanto condivisa infatti l’opinione che l’Italia non possa permettersi di tornare alle urne entro pochi mesi, rendendo vane così le misure prese dall’Esecutivo uscente. Misure che, grazie ai sacrifici degli italiani, hanno permesso di uscire dalla tempesta finanziaria. Al tempo stesso, chi governerà è chiamato ad agire non più in una logica emergenziale ma ponendo le basi per riforme strutturali di medio e lungo periodo, tali da coinvolgere inevitabilmente l’identità stessa del Paese. Serve, insomma, un Governo che possa contare su una forte maggioranza politica e non solo numerica. E che sia espressione anche di una giusta sintesi fra le diverse sensibilità riformiste. La campagna elettorale non ha dato, in questo senso, indicazioni sufficientemente rassicuranti, fra promesse spregiudicate a danno delle categorie più fragili e confronti dialettici nei quali, con poche eccezioni, non ha avuto spazio la proposta di un progetto organico per l’Italia. Così come è rimasto sostanzialmente ignorato il grande tema della profonda crisi culturale e di valori, di cui l’evasione fiscale e un federalismo non solidale sono solo tra le manifestazioni più tangibili.
Gli schieramenti politici arrivano all’appuntamento di domenica e lunedì ciascuno con le proprie difficoltà. Il centrodestra di Silvio Ber lusconi, che ha incentrato la sua campagna elettorale sulla promessa della restituzione dell’Imu pagata lo scorso anno dagli italiani, ha rimandato a dopo il voto il confronto sul suo futuro e sulla stessa scelta del suo candidato alla presidenza del Consiglio, tanto che alcune analisi avanzano dubbi sulla reale tenuta del Popolo della libertà, nel caso che il centrodestra non ottenga la maggioranza di Camera e Senato.
Il centrosinistra di Pierluigi Bersani, che ha condotto una sobria campagna elettorale attorno al tema della lotta alla disoccupazione, paga in parte proprio gli effetti collaterali delle primarie, in termini di alleanza obbligata con la sinistra di Vendola. La presenza nello schieramento del segretario di Sinistra ecologia e libertà ha creato infatti non poche difficoltà a Bersani, impegnato ad accreditarsi come leader di un governo di stampo laburista e riformista, affidabile anche agli occhi dei mercati e della comunità internazionale.
Su questo punto in particolare ha insistito la campagna elettorale del presidente del Consiglio uscente. Mario Monti fatto oggetto dei prevedibili attacchi per le dure misure anticrisi che è stato chiamato a varare nel corso dei suoi mesi di Governo e che sono state votate dal Parlamento quasi all’unanimità  durante la campagna elettorale ha messo in luce quelle che a suo parere sono le contraddizioni esistenti all’interno del centrosinistra e del centrodestra, cercando di convincere gli elettori della necessità di continuare sulla strada delle riforme, anche se con maggiori interventi per favorire la ripresa dei consumi e della crescita economica.
Su tutti incombe l’incognita di quali dimensioni avrà il successo del Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo, un fenomeno trasver sale che con ancora troppa superficialità viene liquidato come espressione di antipolitica, di populismo o di demagogia, appellativi che, se possono ben adattarsi ad alcuni slogan lanciati durante i comizi, non rappresentano adeguatamente un elettorato che persegue anzitutto un rapporto diretto con i suoi rappresentanti, in un momento in cui, nonostante tutti i segnali che arrivano dalla società civile, la politica tradizionale è avvertita, spesso non a torto, desolatamente autoreferenziale.

Elezioni 2013, da Fassino a Ferrara: insulti e esorcismi di chi aveva capito

 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/26

Dopo l'Oscar della Lungimiranza col quale è stato premiato Piero Fassino nel luglio 2009,

Mandante. “Che accadrebbe se un mattino qualcuno, ascoltati gli insulti di Grillo, premesse il grilletto?” (Mauro Mazza, direttore Tg2, 9-9-2007).
Barbaro tiranno. “Fenomeno anarcoide e individualista, anacronistico, antipolitico… Chi inneggia al ‘Vaffanculo’ partecipa consapevolmente a quelle invasioni barbariche… Mi viene la pelle d’oca: dietro al grillismo vedo l’ombra del law & order più ripugnante; ci vedo dietro la dittatura…” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 10-9-07).
Bollito. “Il V-Day? Un carnevale plebeo e volgare… sentimenti beceri e forcaioli. L’irresistibile ascesa del comico-politico dura generalmente pochi mesi o anni e si spegne quando il pubblico si stanca di ascoltare sempre le stesse battute o si accorge che nessuna soluzione politica potrà mai venire dal mondo dell’avanspettacolo. Accadrà, suppongo, anche nel caso di Grillo” (Sergio Romano, Corriere, 13-9-07).
Duce. “Grillo mi ricorda Mussolini” (Giampaolo Pansa, l’Espresso, 16-9-07).
Basta non parlarne. “In un paese normale il V-Day sarebbe recensito nelle pagine di spettacolo” (Andrea Romano, Stampa, 10-9-07).
Berlusquadrista. “Berlusconi e Grillo uniti sotto spoglie diverse in un unico disegno… In un impeto suicida la festa dell’Unità ha aperto le porte all’appello squadristico di Grillo” (Mario Pirani, Repubblica, 20-9-07).
Peso piuma. “Grillo e il grillismo non hanno grande peso nella società” (Fausto Bertinotti, 20-9-07).
Mussolini folk. “Allo stato Grillo sembra un fenomeno di folklore che si esaurirà… Un movimento, si badi bene, potenzialmente eversivo… Si può paragonare Grillo a Mussolini? Con molte cautele, sì. Mussolini ha usato il manganello e l’olio di ricino, Grillo la volgarità” (Giuseppe Tamburrano, storico, l’Unità, 21-9-07).
Spregevoli. “Ho il massimo disprezzo per la maggioranza dei grillini… La risposta è: affanculo ci vada lui e quelli che lo sostengono” (Filippo Facci, Omnibus, 24-9-07).
Brutale e avido. “Grillo è un personaggio di brutale avidità” (Ernesto Galli della Loggia, Corriere, 25-9-07)
Il peggio del peggio. “La rete non esiste… La prevalenza della rete, che è quella che frequenta e commenta sul blog di Grillo, è il peggio di questo Paese” (Facci, Porta a Porta, 26-9-07).
Sansepolcrista. “Anche i fasci di combattimento fascisti, nel 1919, si proponevano di mandare a casa tutta la vecchia classe politica democratica e poi fondare nuovi partiti: ne fondarono uno solo e proibirono gli altri” (Scalfari, Tv7, 22-9-07)
Benito. “Benito Grillo” (Tony Damascelli, il Giornale, 26-4-08).
Finito. “Grillo è già in crisi e non riesce a far ridere” (Francesco Merlo, Repubblica, 26-4-2008).
Ostile. “Non è possibile la registrazione di Grillo nell’anagrafe del Pd perché egli si ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd” (Commissione di garanzia del Pd a Grillo che chiede di partecipare alle primarie per il nuovo segretario, 15-7-09).
Stercorario. “I Grillo, scarabei sterco-rari” (Facci, il Giornale, 11-11-08).
Demagogo. “No a una cieca sfiducia che dà fiato a qualche demagogo di turno” (Giorgio Napolitano, vigilia delle amministrative, 26-4-12).
Nazista e fasciocomunista. “Grillo mi ricorda i fascisti, anzi i nazisti: ha la violenza verbale di Goebbels. Un fascio-comunista” (Guido Crosetto, Fratelli d’Italia) 27-4-12).
Maiale. “Grillo urla, emette grugniti al posto di pensieri” (Nichi Vendola, 2-5-12)
Non pervenuto. “Il boom di Grillo? L’unico boom che ricordo è quello degli anni 60” (Napolitano, 8-5-12)
Dovrebbe piangere. “Il pagliaccio che ride ma dovrebbe piangere” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 3-6-12)
Mentana, attento a te. “Mentana sta esagerando… Le concioni e i vaffa di Grillo vengono ritrasmesse a sazietà… Che un giornalista democratico come lui sia diventato un supporter dell’antipolitica, questo ancora non l’avevamo mai visto… È sulla strada di diventare il pericolo pubblico di tutti i democratici di questo Paese” (Scalfari, l’Espresso, 21-6-12)
Anche se l’ammazzano… “Persino se lo trovassimo steso per terra, penseremmo: guarda cosa deve fare per tirare a campare un povero professionista del ridicolo” (Merlo, Repubblica, 4-9-12)
Fassista. “Fascista del web” (Pier Luigi Bersani, 25-8-12)
Ri-fassista. “D’accordo con Bersani: nel discorso di Grillo si trovano tracce di linguaggio fascista’” (Luigi Manconi, l’Unità, 7-9-12).
In crisi. “Grillo è in difficoltà” (Matteo Orfini, Pd, 26-8-12)
Ignoriamolo. “Abbandoniamo Grillo a se stesso perché la cosa che più dispiace a un comico è quando nessuno gli chiede il bis” (Beppe Fioroni, Pd, 27-8-12) Senzavoti. “Grillo riempie le piazze ma non le urne” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 17-10-12)
Oscuratelo. “Resta da capire perché mai alcune emittenti televisive si siano trasformate in amplificatori di questo populismo eversivo?” (Scalfari, Repubblica, 4-11-12)
Rosicone. “Grillo rosica. Appare improvvisamente come l’attore dopo la pièce, col trucco colato… Adesso è lui che, con malumore, insegue le agende altrui e minimizza gli altrui successi” (Ferrara, il Foglio, 28-11-12).
In calo. “Grillo perde consensi” (Libero, 1-12-12)
Puttaniere impotente. “Fa dichiarazioni da puttaniere, dimostra di avere un pisello piccolo” (Ferrara, Twitter, 16-7-12)
Crolla. “Grillo da profeta a dittatore: adesso è in caduta libera. Un fenomeno appannato” (il Giornale, 14-12-12)
Alla frutta. “La notizia è che Grillo, così come si è autocreato, si autodistruggerà” (Sara Ventroni, l’Unità, 14-12-12) Ridimensionato. “Il Grillo caduto dal piedistallo. Ridimensionato dalle primarie Pd e ridicolizzato dalle sue. In calo nei sondaggi” (Ferrara, Il Foglio, 5-12-12)
Ridicolo. “Grillo? Una risata lo seppellirà” (Il Giornale, 6-12-12)
Senza elettori. “Grillo ha quasi più candidati che elettori” (Maria Giovanna Maglie, Libero, 8-12-12)
Portaborse/1. “Portaborse e No Tav: ecco chi sono i candidati di Grillo” (Libero, 15-2-12)
Flop. “Grillo, chi è causa del suo flop pianga se stesso” (Panorama, 26-12-12)
Caduto. “5 Stelle in caduta libera” (Libero, 19-12-12)
Rottamato. “Grillo a terra, ora si rottama da solo” (Libero, 8-1-13)
Duce/2. “Il Duce Beppe” (Libero, 12-12-12)
Bulgaro. “L’editto bulgaro di Grillo” (Federico Mello, Pubblico, 12-12-12)
Stalin. “M5S: era un movimento, sembra il Pcus di Stalin. Il grillusconismo è veterobolscevico, brutto segnale per tutti” (Luca Telese, Pubblico, 13-12-12)
Kim il Sung. “Trasforma la democrazia dal basso in Corea del Nord” (Ferrara, Il Foglio, 12-12-02)
Chávez. “È l’Hugo Chávez di casa nostra” (Battista, Corriere, 5-11-12)
Filo-Monti. “Sbraita ma aiuta solo Monti” (Magdi Allam, Giornale, 11-2-13).
Filo-Lega. “Grillo e la Lega alleati” (l’Unità, 10-9-12)
Filo-nazi. “Quelle tracce destrorse, dalle nozze gay a Casa Pound” (Toni Jop, l’Unità, 8-2-13)
Filo-fascista. “Il camerata Grillo” (Repubblica, 29-8-12)
Filo-giacobino. “Lavora per un’uscita neogiacobina dalla crisi” (Michele Ciliberto, Unità, 30-8-12)
Filo-Br. “Grillo dalle 5 stelle alle 5 punte” (Libero, 3-1-12). “Grillo avvocato dei terroristi anti tasse” (Il Giornale, 3-1-12)
Comunista. “Grillo sta con i comunisti” (Alessandro Sallusti, Il Giornale, 2-11-12) Ladro. “A Grillo 10 milioni in nero per la festa dell’Unità” (Giovanni Guerisoli, ex Cisl, Radio24, 30-8-2012. Segue smentita)
Razzista. “Grillo anche razzista: schiaffi ai marocchini” (Toni Jop, l’Unità, 4-9-12. In realtà denunciava le botte di alcuni poliziotti a un immigrato)
Matusa. “Per le liste 5 Stelle spazio solo ai vecchi” (Jop, l’Unità, 31-10-12)
Filo-Pci. “Chi vota Grillo si ritrova falce e martello” (Sallusti, il Giornale, 9-2-13)
Filo-Br. “La linea politica è fissata con i comunicati che il famous comedian mette in rete con la numerazione progressiva, come le Br” (Merlo, Repubblica, 12-11-12)
Affamatore. “Luci spente e benzina vietata: ecco cosa accadrà a chi sceglie Grillo” (il Giornale, 10-2-13)
Quattro sfigati. “I suoi veri elettori sono pochi sfigati entusiasti del ‘vaffa’” (Filippo Facci, Libero, 17-5-12)
Buffone in calo. “La parabola del buffon prodigo… Il suo Rasputin Casaleggio, sta già trattando con Vespa… Nella fase negativa, quando in poppa sente calare il vento del consenso, Capitan Gradasso ricorre ai remi” (Merlo, Repubblica, 27-1-13. Naturalmente Grillo non andrà né da Vespa né in altre tv)
Scemo. “Un piccolo Grillo dalla zucca vuota” (Pansa, Libero, 17-6-12)
L’arma segreta/1. “Contro Grillo serve l’Udc” (Bersani, 30-10-12)
Flop. “Successo di Grillo in Sicilia? Cerchiamo di non scrivere cazzate. Un flop è un flop. Punto” (Ferrara, Twitter 29-10-12)
Fasciopataccaro. “Grillo, con tutto il suo populismo, trasversalismo ideologico, ‘casapoundismo’, antisindacalismo e antiparlamentarismo, il culto della persona, le nuotate nello Stretto fiume giallo, con tutto il suo ciarpame di rete e i suoi stracci da pataccaro internauta, i suoi argomenti da bar, la sua ‘cacolalia’… è l’erede di Berlusconi… È il Berlusconi dopo Berlusconi. Come le acciughe in salamoia” (Merlo, Repubblica, 27-1-13)
Antisemita. “I fan di Grillo e l’odio contro Israele” (Battista, Corriere, 26-11-12)
Stragista. “Volevano il morto e Grillo sta con loro” (il Giornale, 15-11-12)
Cattivo padre. “La figlia di Grillo presa con la coca” (Libero, 15-11-12)
Cattivo marito. “Lady Grillo prende casa a Malindi. I lussi della signora anti-Casta imbarazzano il comico” (Libero, 18-11-12)
Omicida. “Omicidio, Bin Laden e Islam: quello che non si dice di Grillo” (Annamaria Bernardini de Pace, ilGiornale, 8-11-12)
Golpista. “No global, violenti; così Grillo prepara il ‘golpe’” (il Giornale, 16-11-12)
Grill Laden. “Grill Laden sgancia missili su Israele” (Libero, 26-6-12)
Impostore. “Grillo non è un comico: è un grosso impostore… Fa la guerra… annuncia il bagno di sangue” (Adriano Sofri, Repubblica, 22-2-13)
Meglio la sinistra. “A Parma non voterei Grillo contro la sinistra” (Maurizio Lupi, Pdl, Corriere, 14-5-12)
Meglio B. “Preferisco che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo” (Enrico Letta, Pd, Corriere, 13-7-12)
In Grecia. “Con Grillo andremmo peggio della Grecia e usciamo dalla democrazia” (Bersani, 21-2-2013)
Black bloc. “Grillo porta in Parlamento i black bloc” (Berlusconi, 22-2-13)
Brigatista. “La sinistra eversiva ha scelto: ‘Votate 5 Stelle’. Amici dei brigatisti” (il Giornale, 23-2-13)
Fa paura. “Il Grillo che aizza le piazze è uno squadrista che fa paura” (Giuliano Ferrara, Il Giornale, 24-2-2012)
Ora. “Ora Grillo spaventa i partiti” (Corriere della Sera, 20-2-2013)

lunedì 25 febbraio 2013

“La Terra non si governa con l'economia”: l'appello degli accademici italiani

da http://www.tzetze.it/

La crisi economica iniziata nel 2008 sottende molti altri segnali di fragilità connessi con:
- esaurimento delle risorse petrolifere e minerarie di facile estrazione;
- riscaldamento globale, eventi climatici estremi
pressione insostenibile sulle risorse naturali, foreste, suolo coltivabile, pesca oceanica;
- instabilità della produzione alimentare globale;
- aumento popolazione (oggi 7 miliardi, 9 nel 2050);
- perdita di biodiversità - desertificazione;
- distruzione di suolo fertile;
- aumento del livello oceanico e acidificazione delle acque
squilibri nel ciclo dell’azoto e del fosforo;
- accumulo di rifiuti tossici e inquinamento persistente dell’aria, delle acque e dei suoli con conseguenze sanitarie per l’Uomo e altre specie viventi;
- difficoltà approvvigionamento acqua potabile in molte regioni del mondo.
La comunità scientifica internazionale negli ultimi vent’anni ha compiuto enormi progressi nell’analizzare questi elementi.
Milioni [1] di articoli rigorosi, avallati da accademie scientifiche internazionali, una su tutte l’International Council for Science, nonché numerosi programmi di ricerca nazionali e internazionali, mostrano la criticità della situazione globale e l’urgente necessità di un cambio di paradigma.
Il dominio culturale delle vecchie idee della crescita economica materiale, dell’aumento del Prodotto Interno Lordo delle Nazioni, della competitività e dell’accrescimento dei consumi persiste nei programmi dei governi come unica via d’uscita di questa crisi epocale. Queste strade sono irrealizzabili a causa dei limiti fisici planetari. Una regola di natura vuole che ad ogni crescita corrisponda una decrescita. La crescita economica, con i paradigmi attuali, segna la decrescita della naturalità del pianeta. I costi economici di queste scelte sono immani e le risorse finanziarie degli stati sono insufficienti a sostenerli. 
L’analisi dei problemi inerenti alla realtà fisica del mondo viene continuamente rimossa o minimizzata, rendendo vano l’enorme accumulo di sapere scientifico che potrebbe contribuire alla soluzione di problemi tuttavia sempre più complessi e irreversibili al trascorrere del tempo.
Chiediamo pertanto al mondo dell’informazione di rompere la cortina di indifferenza che impedisce un approfondito dibattito sulla più grande sfida della storia dell’Umanità: la sostenibilità ambientale, estremamente marginale nelle politiche nazionali degli ultimi 20 anni e ad oggi assente dalla campagna elettorale in corso.
Non si dia per scontato che il pensiero unico degli economisti ortodossi sia corretto per definizione. Si apra un confronto rigoroso e documentato con tutte le discipline che riguardano i fattori fondamentali che consentono la vita sulla Terra – i flussi di energia e di materia – e non soltanto i flussi di denaro che rappresentano una sovrastruttura culturale dell’Umanità ormai completamente disconnessa dalla realtà fisico-chimica-biologica. 
È quest’ultimo complesso di leggi naturali che governa insindacabilmente il pianeta da 4,5 miliardi di anni: non è disponibile a negoziati e non attende le lente decisioni umane.
1. Si ottiene con una semplice ricerca web di articoli scientifici sul tema Global Change.

mercoledì 20 febbraio 2013

Cosa c’è dietro la scelta di Benedetto XVI? Ior, Curia, Vatileaks…

(di Gianluigi Nuzzi)  
La rinuncia di Benedetto XVI è una notizia choc. Ci vorranno settimane, mesi per capire i motivi di una scelta che rimarrà indelebile nella storia della Chiesa riflettendosi sui suoi momenti cruciali, a iniziare dal prossimo conclave. Nell’ultimo anno sono accaduti due fatti impensabili a due persone unite dallo stesso destino. Il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, ha deciso di rendere note le spine della Curia Romana, consegnandomi decine di documenti che ho pubblicato nel libro “Sua Santità”. Ha deciso questo «per il bene della Chiesa», considerando la scelta come unica via «per aiutare il Papa», violando contraddittoriamente la sua fiducia.  Gabriele,  cattolico, devotissimo al pontefice tanto da vederlo come proprio padre, per aiutare la Chiesa ha compiuto un gesto estremo affinché tutti conoscano quanto accade e ciò permetta di superare quei problemi che lasciano in stallo la Curia. Pochi mesi dopo un’altra scelta, anche questa che stupisce il mondo ancor più, lasciando disorientata non solo la comunità cattolica ma tutti noi, credenti e non credenti. Un passo indietro «per il bene della Chiesa». Quando frequentavo Gabriele, per settimane, mesi, ho sempre percepito la sua inquietudine, il suo senso profondo di smarrimento e impotenza per vicende della Curia Romana che viveva con dolore come profonde ingiustizie. «Hai paura, Paolo?» gli ho chiesto un giorno. «Sì – mi rispose – temo che il Papa non abbia la forza per superare queste avversità, per cacciare i mercanti  dal tempio». Leggevamo insieme le carte con gli occhi lucidi, Gabriele temeva che questo magma nero potesse come togliere luce al suo pontefice. Studiando le carte ho percepito e condiviso questo suo stato d’animo, ritenendo la scelta di Gabriele figlia del suo amore. Mai avrei pensato che lo arrestassero, mai avrei pensato che Benedetto XVI facesse un passo indietro.
Però oggi va riconsiderato tutto quanto accaduto. Cerco di rileggerlo. E un episodio che tenevo nell’anticamera della memoria assume rilievo. Risale ai primi di giugno, pochi giorni dopo la visita di Benedetto XVI a Milano, nella città in cui vivo, per l’incontro mondiale delle Famiglie. Volli parlarne con il sindaco della città, Giuliano Pisapia, un avvocato ateo di sinistra, un professionista perbene, il primo cittadino che aveva avuto un colloquio privato con il pontefice. Incontrai Pisapia il giorno dopo il colloquio con Ratzinger. Il sindaco era scosso, turbato. Mi disse che aveva letto amore negli occhi del Papa, ma aggiunse: «Sono colpito da quello sguardo. Benedetto XVI ha paura». Gli chiesi: di cosa? «Ho avuto un profondo disagio, Ratzinger mi parlava ma era come impaurito. E poi sai, sul sagrato del Duomo avevamo previsto una sedia per lui, una per il cardinale Scola e un’altra per me. Solo poco prima della cerimonia ci hanno avvisato dal Vaticano che sarebbe stato presente anche il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e che bisognava aggiungere un’altra poltrona. Il cerimoniale  ha avuto poco tempo per adeguarsi a questo cambiamento».  Ho pensato all’inizio che forse Pisapia, il sindaco, si era emozionato, suggestionato, ma scartai subito questa ipotesi: è una persona razionale, pragmatica, che sa bene cos’è la paura avendola conosciuta per decenni negli occhi dei suoi clienti, nei tribunali, ovunque. È uno dei più conosciuti avvocati italiani, dopo decenni di tribunali capisci chi dice la verità, chi mente, chi teme. Ma di cosa ha paura il Papa? Forse della forza di quegli «individualismi», quelle «divisioni» che mostrano «una Chiesa deturpata dalle rivalità», come ha affermato il Santo Padre all’indomani dell’incredibile annuncio di fare un passo indietro. Ancora, la memoria si affolla di ricordi, frasi, di questi due protagonisti. Ripercorro gli incontri con  Gabriele: «Benedetto XVI non sempre viene tenuto informato di quanto accade in curia – mi diceva Gabriele – talvolta critica Bertone ma non ha alcuna intenzione di cambiare il proprio segretario di Stato. Anche perché questo getterebbe ombra sul pontificato, e poi dovrebbe trovare un sostituto. Secondo me non ne ha la forza». «Mandare a casa l’amico Bertone – mi confidava il cardinale De Paolis – è impensabile, certe figure non possono essere sostituite». La soluzione del problema ne creerebbe uno maggiore: «Sarebbe come mettere un sigillo di verità a tutte le accuse che gli vengono rivolte».
Ecco quindi una prima ipotesi per spiegare la paura. Una paura rispetto alla gestione di una Curia finita in stallo: da una parte il cambiamento, le riforme, dall’altra gli interessi opachi, una visione poco ratzingheriana del potere. La consapevolezza che fare un passo indietro avrebbe azzerato cariche e poteri, e che dal nuovo conclave deve uscire una maggioranza solida del 2/3 dei porporati. Una maggioranza che deve aritmeticamente superare i conflitti. Una paura più profonda, sicuramente in  Gabriele, visto che questo «è uno Stato, piccolo certo, ma dove puoi fare una strage e uscire impunito», così mi confidò una volta facendo riferimento alla strage delle guardie svizzere del 1998.
Criteri gestionali - E oggi? Sulla scrivania del Papa, nell’appartamento pontificio al terzo piano del palazzo Apostolico, rimangono gli ultimi dossier che dal 28 febbraio Benedetto XVI lascerà al camerlengo, il cardinale Tarcisio Bertone. Sarà proprio quest’ultimo a seguire l’ordinaria amministrazione di tutto il Vaticano fino alla conclusione del conclave. Per capire la scelta di Benedetto XVI bisogna partire quindi proprio da qui, dalla sua scrivania, dall’ufficio arredato con cura e semplicità. Se quelle quattro mura potessero parlare, oggi avremmo un quadro più nitido, preciso di quanto accaduto; parlano però i documenti, le carte che in questa vicenda complessa e dalle molteplici letture rimangono i pochi saldi punti di certezza.
Su quella scrivania fino a qualche giorno fa c’erano le carte della questione della nomina del presidente dello Ior – carica rimasta per mesi vacante dopo l’estromissione di Ettore Gotti Tedeschi. Ratzinger ha indicato poche ore dopo l’annuncio delle dimissioni che non intendeva procrastinare l’attesa.  Ha deciso subito la nomina del banchiere tedesco Ernst von Freyberg. Non poteva lasciare la decisione al pontefice che avremo tra un mese, dopo aver atteso tanto? Sulla scrivania c’è un altro fascicolo delicato: la  questione della riforma delle contabilità di alcuni enti benéfici. Questione costola della più complessa decisione non più rinviabile di trovare due soluzioni. La prima riguarda la risposta al calo delle offerte, che riducono i margini di azione. La seconda tocca i diversi criteri gestionali che si riscontrano nei bilanci dei singoli istituti, enti che compongono la Chiesa nel mondo. Da tempo si ritiene necessario omologare le scritture contabili, per evitare non solo usi impropri ma soprattutto dispersioni di ricchezza. Si teme tuttavia una  reazione dalle realtà territoriali, che potrebbero vivere questa scelta come un’ingerenza centrale. Il Papa segue quindi le vicende più rilevanti. Non è  dunque vero che è solo un fine teologo. Partecipa per quanto lo informano e, spesso, si trova di fronte a quegli scontri, quei blocchi di potere che, entrando in collisione tra loro, rallentano, anestetizzano l’opera riformatrice portata avanti.
È accaduto con la storia di monsignor Viganò, il numero due del governatorato, l’ente che segue  spese, appalti, forniture e servizi prestati nel piccolo Stato. Viganò denunciò casi di corruzione, spese gonfiate, appalti poco chiari, e poi si ritenne vittima di una congiura ai suoi danni ordita addirittura dal segretario di Stato Bertone. Viganò scrisse tutto al Papa, lettere pesantissime che segnalavano vicende oscure. Ci furono dei colloqui privati tra Viganò e Ratzinger. Colloqui che turbarono il Santo Padre tanto che, una volta salutato il monsignore, Ratzinger si confortava nella cappella privata a pregare, rinviando gli impegni in agenda.  Certo non per paura, ma per trovare conforto, indicazioni e guida nella preghiera.
Prelati compiacenti - Così lo Ior, la banca nevralgica per gli investimenti e per il lato più delicato che tocca questa teocrazia, ovvero il rapporto con il denaro. Eravamo nel 2009 quando proprio Ratzinger e Bertone scelsero Gotti Tedeschi, con l’incarico di mettere l’istituto al passo con le norme anti riciclaggio. Sono passati quattro anni e ancora oggi quella banca è come un grande profondo armadio pieno di scheletri. Ogni tanto emergono dagli angoli del pianeta vicende che vedono dei conti intestati a sacerdoti, suore, prestanomi, snodi essenziali di storie di corruzione, malversazione, truffe e di criminalità finanziaria. Per questo dei blocchi hanno cercato di porre un argine all’indispensabile richiesta di trasparenza che veniva dagli organi di controllo internazionali chiamati a valutare la bontà della banca. Perché non si svuotano invece i cassetti, rispondendo alle richieste di assistenza giudiziaria dei magistrati impegnati in inchieste che toccano la banca?  E soprattutto quanti, quali sono i conti scomodi di civili che hanno trovato sacerdoti compiacenti per far custodire nel caveau della banca del Papa i loro denari imbarazzanti?
Sono due questioni – Ior e Viganò-  che hanno pesato nella Curia Romana, e che sono arrivate sino alla scrivania del Papa. Non è un caso che una delle ultime riunioni prima dell’annuncio delle dimissioni avesse avuto al centro questioni economiche e finanziarie. Fino ai colloqui con esperti di queste vicende, come il cardinale Attilio Nicora – uno dei riformatori, ha portato avanti anche in solitudine la battaglia per la trasparenza – e Jean-Louis Tauran. Vicende che hanno contribuito – a mio avviso – alla sua umile scelta di fare un passo indietro.
Ci sono stati poi altri elementi che hanno determinato un’accelerazione: la fatica fisica, certo, magari persino una malattia data per certa da diverse fonti, e la conclusione dei cardinali della commissione sulla vicenda dei documenti riportati nel mio libro. Sui primi due non mi dilungo perché se n’è ampiamente scritto sui giornali nel mondo. Sulla relazione invece, in mano solo al Papa e ai cardinali che l’hanno scritta, può essere utile una riflessione. Quella relazione descrive un mondo diverso nella Curia romana dai colori pastello che leggiamo. E che necessita di un intervento forte, di riforma. Ma «il Santo Padre è stanco di quanto vede – mi confidava Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo del Papa già oltre un anno fa – ma non ha la forza di portare avanti certi cambiamenti. Deve essere così, perché altrimenti resta incomprensibile come mai non reagisce di fronte a quanto accade».
Per amore della Chiesa - Per una singolare coincidenza proprio in questi giorni Gabriele ha ripreso a lavorare, dopo la detenzione per avermi passato fotocopie di documenti e un periodo con la sua famiglia. Non più nell’appartamento pontificio, ovviamente, ma all’ospedale Bambin Gesù di Roma, di proprietà del Vaticano. Non ho più sentito Paolo da quando è iniziata questa vicenda. Mi dicono però che dipinge molto, recuperando l’esperienza del liceo artistico. Nature morte, arte figurativa. A volte ho avuto la tentazione di telefonargli, di incontrarlo. Ma non è il momento. Tutto quanto è accaduto nell’ultimo anno vuole ancora tempo per essere compreso in ogni sua luce e ombra. È ancora aperta su Gabriele l’inchiesta  vaticana, non voglio metterlo in imbarazzo. Mi è dispiaciuto solo che non si sia mai raccontato bene chi fosse Paolo Gabriele, uomo semplice ma genuino. Ha un fratello più grande, una sorella più piccola. Un passato come tanti: da adolescente aveva un rapporto un po’ tempestoso con il padre, dirigente nella pubblica amministrazione. Portava i capelli lunghi e il padre non voleva, tanto che qualche volta Paolo se ne andava da casa. Chiedeva ospitalità a casa di amici, come il figlio di un importante regista.  Al liceo ha conosciuto la moglie Manuela. Si amano da sempre, un matrimonio che prosegue da 18 anni, felice. Poi la prima occasione di lavorare nel grande mondo, la famiglia della Chiesa. È la chiesa dei polacchi a Roma vicino al Tevere, tanto cara a Wojtyla, dove va ad aiutare il parroco. Le leggende dicono che nello stesso periodo Gabriele puliva i bagni in Vaticano. Un giorno un alto prelato li trovò tanto puliti da voler conoscere chi li teneva così in ordine. Fu il passo che lo portò oltre le mura, nel cuore del Vaticano. A metà degli anni ’90, quando andò in pensione un membro della famiglia pontificia, Gabriele dopo la valutazione – un colloquio con l’attuale cardinale di Cracovia Stanislaw Dziwisz – vi entrò a far parte. Ho letto di tutto su di lui: faceva comodo farlo passare per un ladruncolo, come se la gente possa credere che si affida la cura del Santo Padre al primo che capita.  In realtà Paoletto era amato da tutti. Wojtyla gli era affezionato, lo chiamava Paulus e gli voleva bene, al punto che gli diceva che era stato il cuore misericordioso  di Maria Faustina Kowalska a mandarlo lì, la santa polacca canonizzata proprio da Giovanni Paolo II nel 2000. Gabriele era un servitore devoto di Wojtyla, amico del maggiordomo che lo precedette nell’incarico che coprì poi con Ratziger. Negli ultimi anni in tanti si rivolgevano a lui per segnalare un disservizio, un problema, qualcosa che non funzionava. Chiunque ha camminato con lui in Vaticano mi ripete che spesso qualcuno lo fermava per svelargli storie, retroscena, nella speranza che li condividesse poi con Benedetto XVI. Gabriele non era un maggiordomo che apriva la porta e reggeva l’ombrello. Aveva una sua scrivania elegante, uno scrittoio dove evadeva anche qualche piccola pratica di corrispondenza o di consegna di somme allo Ior secondo le indicazioni di monsignor Georg, il fedele indispensabile segretario di Ratzinger. Diversi anni fa, quando lui confessò che non era molto bravo a usare il computer e che temeva di non essere all’altezza, il Papa gli disse: «Noi ti scegliamo non per quello che sai fare, ma per quello che sei».
Essere vicini al Santo Padre deve dar luce. E ogni volta che ho incontrato Paolo, ho percepito la luce nei suoi occhi. Mille volte i giornalisti mi hanno chiesto perché mi ha consegnato alcuni dei documenti che ho pubblicato poi nel mio saggio. Ho sempre risposto con l’unica parola che ritengo giusta: per amore della Chiesa e del Santo Padre, sollevando superficiale stupore. Ma come, chi ama il Papa fotocopia i documenti e li porta a un giornalista, violando la sua fiducia? Pare impossibile. Ma sono giorni, settimane, mesi che spesso accadono fatti imprevedibili nella Chiesa, fatti di difficile interpretazione. E che rimarranno scolpiti per sempre. Anche oggi Ratzinger per il bene della Chiesa fa con umiltà un passo indietro, provocando  immenso stupore. E ieri pareva e pare impossibile che Gabriele fotocopiasse documenti dal 2006 senza che per anni nessuno se ne fosse mai accorto.  E quando uscì il libro venni attaccato per aver fatto il mio mestiere.
Voci di trame e complotti - Oggi la scelta viene riletta, il libro riesaminato cercando le dirompenti verità che possono aver spinto Benedetto XVI a una scelta inattesa. Ieri pur di non leggere quei documenti si è dato spazio a una campagna mediatica per trovare le fonti di Nuzzi, come se fosse più importante non esaminare le cose che non vanno, ma scoprire chi si permette di farle conoscere. Oggi si ritiene che quelle carte possano essere chiavi per capire cosa accade. Dentro e fuori le mura che proteggono il piccolo e potente Stato nel cuore di Roma. Per capire questo un giorno feci a Gabriele una intervista coperta per il mio programma su La7. C’eravamo visti per un saluto, tra due persone che stanno facendo una scelta senza ritorno. Mangiavamo una pizza nella cucina della mia casa romana, non lo avvisai in anticipo per non preoccuparlo e gli dissi all’ultimo minuto che in soggiorno c’era una mia troupe. «Paolo, dobbiamo spiegare quello che succede». Lui accettò per motivare un gesto. Era emozionato. Io quanto lui. Credevo che le sue risposte avrebbero fatto capire che di fronte al peso delle denunce, delle storie, dei documenti, si imponeva il desiderio primario di far conoscere tutto, perché solo l’emersione dei fatti aiuta nella trasparenza. Era accaduto già nel 2009 quando con il mio libro “Vaticano SpA”, con la storia della più grande tangente mai scoperta in Italia, pulita nella banca del Papa, venne mandato a casa dopo vent’anni l’allora presidente dello Ior Angelo Caloia. E proprio quel libro convinse Gabriele a contattarmi. Mi sbagliavo. L’intervista mandata in onda con il volto coperto e la voce modificata alimentò ancora la caccia alle mie fonti informative. Se si fosse saputo che era nata quasi per caso, che non c’era dietro alcuna cospirazione, forse la storia sarebbe andata diversamente. Forse. Come quando mesi dopo cacciarono il presidente dello Ior Gotti Tedeschi. Se in Vaticano non avessero sparso la voce velenosa dell’ennesimo complotto e trama contro la Chiesa e il Papa, ovvero che quel banchiere vicino all’Opus Dei voleva far commissariare lo Ior dalla banca centrale italiana, la storia sarebbe andata diversamente. Ma ormai siamo a poche settimane dal conclave, l’unica speranza che resta per ritrovare chiarezza è che la scelta dei cardinali abbia la stessa forza, lo stesso coraggio di quella fatta da Benedetto XVI. Che ora vuole «rimanere nascosto al mondo». Per il bene della Chiesa. Senza più paura.

Il colpo di stato di Mario Monti

Paolo Becchi


  Il governo Monti è destinato a «passare alla storia» più di quanto non lo sia il decennio berlusconiano appena trascorso. Ciò che, infatti, è avvenuto con il conferimento dell’incarico ad un tecnico di Bruxelles non è stato che un "coup d’état" deciso da «poteri forti» in parte estranei al nostro Paese e guidato dal presidente della Repubblica.

  Certo non un colpo «alla sudamericana», un golpe, con tanto di ingresso di fucili e militari nell’emiciclo del Parlamento. «Colpo di Stato», del resto, non indica di per sé un rivolgimento violento, quanto un’«esecuzione che precede la sentenza», come lo definì il libertino Naudé, che coniò l’espressione a metà del Seicento.

  Cosa significa? E cosa è accaduto in Italia, in questi mesi? Semplicemente quello che tutti (o quasi) si ostinano a negare. È accaduto che, con una manovra di palazzo, è stata realizzata la transizione costituzionale dalla Seconda alla Terza repubblica, da un sistema politico bipolare ad un ridimensionamento del potere dell’Assemblea a favore del presidente della Repubblica, dal parlamentarismo ad un presidenzialismo ancora da definire nei suoi contorni istituzionali, ma di fatto già all’opera con questo «governo del presidente». Non vi è infatti alcun dubbio sul fatto che il capo dello Stato da «custode della Costituzione» si è trasformato in guida politica dello Stato.

  Si doveva, ovviamente, iniziare con l’eliminazione di Berlusconi, il quale - a dispetto delle apparenze - è stato in Italia colui che ha compiuto, e parimenti portato alla sua dissoluzione, il potere parlamentare: mai il nostro Parlamento era stato più potente e, nel contempo, più bloccato. Il rovesciamento di questo potere è cominciato con un tentativo di erosione dall’interno: Gianfranco Fini. Si è poi tentato con l’assalto alla vita privata del capo del Governo, ma anche questo si è rilevato insufficiente. Berlusconi è stato, infine, sconfitto, per una sorta di quelle ironie della storia che sono tutt’altro che infrequenti, sul reale campo dal quale dipendeva: gli affari. Si è puntato alla rovina del fondamento economico del suo potere, attaccando le sue aziende e l’intera economia del Paese con lo spread aumentato ad arte (lo spread è iniziato a salire dai primi giorni di luglio, 244. È poi ridisceso, senza mai tornare ai valori di luglio, ad agosto, 298. Poi non si è più fermato. Punto massimo, la seconda settimana di novembre, 553).

  Berlusconi non ha reagito. Giulio Cesare lo avrebbe fatto se, come racconta Svetonio, ai giovani indebitati consigliava: «Per il vostro caso il rimedio è la guerra civile». Ma, se in Cesare - come scrive ancora Svetonio - «c’erano molti Marii» (multos Marios inesse), in Berlusconi ce n’era solo uno, di Mario: Monti.

  Monti sapeva benissimo che la sua entrata in campo poteva avere successo solo se lo spread continuava a salire: e infatti lo spread è salito. Ed il «colpo di Stato» è riuscito. Il potere parlamentare è stato portato al punto in cui si è rovesciato in modo indolore, con il suo stesso consenso. Si è così perfezionato il potere esecutivo, il quale è sorto in modo parassitario e antidemocratico come parassitario è, del resto, la base su cui poggia: l’aristocrazia finanziaria, la quale - a differenza della borghesia industriale - nelle sue forme di guadagno e nei suoi piaceri non è che «la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese», come aveva genialmente intuito Carlo Marx.

 Strane corrispondenze della storia, quando Marx descrive i poteri della Francia di Luigi Filippo, in cui «l’indebitamento dello Stato era l’interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all’aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull’orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli”.

  Certo, dobbiamo sostituire la parola «borghesia» (in Italia, del resto, c’è mai stata una borghesia?). Ma per il resto, dunque, niente di nuovo o quasi sotto il sole. Finora banchieri e finanzieri (Monti & Company) si erano limitati a governare indirettamente, nascondendosi dietro la maschera della rappresentanza dei politici, oggi hanno preso il posto ufficiale di questi ultimi: sono loro non più a ispirare, ma a governare.

  Bisognava però almeno salvare le apparenze. Con un atteggiamento tipico di tutti i «catilinari», la preoccupazione maggiore di Monti è stata quella di conquistare il potere con mezzi legali. In un’opera di Brecht, anche il capo di una banda di gangster comanda ai suoi seguaci: «Il lavoro dev’esse legale». A ben vedere, è tutto già spiegato nel pamphlet avanguardistico del 1931 di Curzio Malaparte, “Tecnica del Colpo di Stato”. Con la repentina nomina a senatore a vita (Paolo Emilio Taviani, nella Prima Repubblica, ci impiegò un anno e mezzo, il tecnico un paio di ore) Monti ha potuto, oltre che garantirsi l’immunità a vita, legittimarsi quale espressione, in qualche modo, della stessa Assemblea. Ed è così che il Parlamento diventa complice necessario del colpo di Stato: accetta il fatto compiuto, e lo legalizza formalmente. Come nella strategia bonapartista - cito ancora Malaparte - l’«obiettivo tattico» resta la conquista dello Stato attraverso il Parlamento, ossia attraverso la legalità (la farsa, a questo punto, del voto di fiducia, bulgaro, tipico dei regimi totalitari). Deve cadere un’ultima illusione: quella del presunto «stato di necessità» che avrebbe reso indispensabile questo colpo di Stato, come se si trattasse di una misura per la salus rei publicae (ndr: la salute della cosa pubblica). Come spiegava Malaparte, le circostanze favorevoli al colpo di Stato moderno non sono necessariamente di natura politica o sociale: nell’epoca della tecnica, il colpo di Stato è un problema eminentemente tecnico.

  Nel nostro caso, «tecnico» non significa di «tattica insurrezionale », ma che la riuscita di un colpo di Stato dipende dal coordinamento tecnico di decisioni prese al livello di quei poteri forti invisibili, impalpabili, ma onnipresenti, che ormai intervengono nella vita dei popoli quando e come vogliono. Nel momento in cui il potere politico si livella su quello finanziario, il colpo di Stato diventa sempre possibile, e a tal punto facile da realizzarsi che quasi nessuno se n’è reso conto

martedì 19 febbraio 2013

Loretta Napoleoni

Chi ci governa e secondo quali regole? La nostra crisi di rappresentanza è in realtà una diretta conseguenza della crisi economica.
L’economista più battagliera d’Europa spiega come la democrazia è diventata un lusso.
 Tutti sanno che il fior fiore degli economisti e dei politici del pianeta, per tacere degli euro-burocrati, da tre anni annaspano in questo marasma senza trovare una soluzione… Ebbene, è proprio questo il problema.
Tutte queste persone hanno contribuito al caos economico e finanziario attuale e quindi non possono pensare fuori della scatola che hanno costruito.
Il Fondo Monetario non può ammettere di aver perseguito una politica ambigua, usando due pesi e due misure per i Paesi occidentali e per tutti gli altri; la Banca centrale europea non può dichiarare che la proibizione di essere il prestatore di ultima istanza imposta dallo statuto le impedisce di agire con politiche anti recessive; i politici delle varie nazioni e gli euroburocrati non ammetteranno mai che l’euro ha inflazionato tutte le economie, meno quella tedesca, e ha aumentato la competitività di alcune economie a discapito di altre.
La Mission Impossible è la loro, il tentativo di aggiustare un meccanismo senza ammettere che funziona male, e probabilmente ha gravi difetti di fabbricazione.
E' quindi stato più facile del previsto rimboccarsi le maniche e buttarsi anima e corpo a studiare ogni aspetto di questa crisi.
È un’iniziativa positiva e propositiva. Anche se prima di arrivare ai capitoli finali, in cui si discutono le politiche alternative, abbiamo dovuto ripercorrere un tragitto di tre decadi che per l’Italia è stato disastroso, almeno alla fine abbiamo potuto vedere, e un po’ disegnare, una luce di speranza.
Accusare chi ha gestito così male la cosa pubblica, a livello nazionale e internazionale, non basta. Questa triste parabola va usata come trampolino di lancio per un futuro migliore.
Adesso che il lavoro iniziale è fatto vorremmo che la discussione si allargasse a tutti i lettori e ai cittadini, che questa iniziativa diventasse un piccolo tassello di un movimento rigenerativo più ampio per salvare il nostro Paese.
Se per mesi e mesi abbiamo lavorato insieme, per cercare di capire e far capire, allora chiunque può farlo.
In fondo lo spirito di chi scrisse la nostra Costituzione all’indomani della tragedia del fascismo e della guerra mondiale era simile al nostro: l’impegno civile, la militanza civile.
Ci siamo dimenticati che i padri fondatori di questa democrazia non avevano la scorta né le auto blu ma venivano picchiati e incarcerati dai fascisti; nessuno di loro aveva un programma radiofonico nè veniva pagato cifre da capogiro per far parlare gli amici della casta.
I padri fondatori erano cittadini che sognavano un Paese civile dove poter far crescere i figli.
Il divismo alla Berlusconi ha talmente tanto contagiato l’Italia che la gente ormai pensa che solo “chi conta” può fare qualcosa.
E invece è vero il contrario: se De Gasperi o Gramsci avessero pensato quello che molti italiani oggi pensano, quel periodo buio non sarebbe mai finito.
Abbiamo la possibilità di cancellare questi anni altrettanto bui. Non abbiamo avuto una guerra, ma questa crisi ne ha avuto in molti modi gli stessi effetti, ha fatto tante vittime, ha distrutto certezze e sistemi produttivi.
Ora comincia la ricostruzione, che dipenderà dalla nostra capacità di immaginare, di creare un futuro migliore.
Oscuriamo il televisore, non ascoltiamo il richiamo dei tirapiedi della casta ma apriamo la porta al nostro vicino e sediamoci con lui per scambiarci opinioni e idee. Riscopriamo la nostra dimensione civile.
Abbiamo, con la rete, un mezzo nuovo e straordinariamente efficace per farlo.
La crisi, la dittatura, la violenza possono essere fermate, riappropriandoci della nostra intelligenza collettiva.
Non siamo soli, siamo in tanti e allora uniamoci!
Un forte legame tra crisi economiche e l’avvento di dittature percorre la storia d’Europa. Quando le cose vanno male, sembra, non possiamo permetterci la democrazia: occorrono soluzioni rapide, prese da pochi per il bene di tutti.
Ma sono le soluzioni giuste? E il bene è davvero quello di tutti?
In questo nuovo pamphlet, Loretta Napoleoni indaga il legame tra l’aggravarsi della crisi e l’indebolirsi della sovranità nazionale e parlamentare.
Discute le responsabilità dell’euro, dei burocrati di Bruxelles e di un’unificazione fatta troppo in fretta.
Punta il dito contro una generazione di politici, quella dei baby boomers, che per decenni ha servito i propri interessi, privando di fatto della rappresentanza ampi strati della popolazione, primi fra tutti i giovani.
E indica un modo per salvare quel che resta della nostra democrazia.
Le crisi appartengono al passato. E’ quello che tutti pensano, solo dopo che la tempesta è passata si riesce ad analizzarne le cause con la freddezza scientifica necessaria. Oggi sappiamo quasi tutto sul ’29, sull’iperinflazione tedesca, sulla Grande depressione e siamo sicuri che questa conoscenza sia il prodotto di
lunghe analisi svolte ex-post.
Ebbene non è vero, tutte le grandi crisi economiche potevano essere evitate perchè i sintomi erano ben chiari, c’è sempre stato chi le ha previste ed anche chi ci ha guadagnato.
Ma questi pochi eletti non hanno potuto o voluto condividere la loro visione dei fatti con il resto del mondo.
Altro mito condiviso globalmente è che le vittime delle crisi siano sempre i poveri e la classe media, i ricchi se la cavano sempre.
In parte ciò è vero perchè costoro hanno più accesso ad informazioni importanti, ma e’ anche vero che tutte le grandi crisi distruggono e creano ricchezza, la redistribuiscono e producono nuovi ricchi.
  Dunque, queste tragedie sono grandi opportunità.
Ma per poterlo fare bisogna capire cosa sta succedendo ed i poveri e la classe media sono sempre all’oscuro di tutto, isolati dal mondo attraverso la propaganda mediatica e politica, drogati dai messaggi rassicuranti dei governi.
Democrazia Vendesi vuole sfatare tutti questi miti spiegando la crisi al presente, offrendo al lettore ed ai cittadini quella conoscenza dei fatti necessaria per capire costa sta succedendo oggi.
Perchè siamo sempre più poveri, perchè i nostri figli sono disoccupati, perchè ci vengono chiesti nuovi sacrifici?
E sulla base di queste informazioni, la speranza è che questa volta saranno i cittadini a decidere cosa fare, che direzione prendere, quale politica sostenere invece di farsi guidare da politici ciechi.
L’obiettivo è dunque diffondere la conoscenza e metterla nelle mani del lettore che poi altro non è che il principio democratico principe: esercitare la sovranità popolare.
In fondo il nostro paese non l’ha mai davvero fatto, dopo i decenni della Guerra fredda e gli anni di piombo è arrivata l’era della corruzione dalla quale ancora non ci siamo liberati.
Meritiamo un futuro migliore ma per conquistarlo dobbiamo cambiare il nostro presente, avere il coraggio di guardarci nello specchio e smettere di sognare. Eravamo più ricchi negli anni Settanta, è vero anche se tutti hanno in tasca uno smartphone e sono saliti spesso su un volo low-cost.
La ricchezza si misura anche con il metro del debito ed oggi stato, enti pubblici, aziende e famiglie sono tutti molto più indebitati che in passato.
Il risparmio accumulato durante gli anni del miracolo economico si sta prosciugando al punto che oggi è al disotto della media europea.
Si’ meritiamo un futuro migliore ed è con questa certezza che abbiamo deciso di unire i nostri sforzi per capire cosa sta succedendo e condividere con gli altri le nostre scoperte.

Tutte le balle di Boldrin

di Alberto Bagnai, autore di Goofynomics

 In un simpatico post del suo blog Paolo Manasse porta avanti un’argomentazione estremamente plausibile: quando si ha un problema, bisogna rivolgersi a uno specialista. Auguriamo al prof. Manasse di non aver mai un problema, perché leggendo il suo post si capisce quanto sia poco in grado di scegliere uno specialista.

 Sì, perché la lezioncina dello stimato collega quale scopo ha? Quello di dimostrare che nel dibattito che si è svolto recentemente fra Loretta Napoleoni e Michele Boldrin, il telespettatore ignaro deve dar ragione a Boldrin, poiché questo ce l’ha più lungo (il curriculum), e quindi è più esperto. Il simpatico Manasse, commette però uno scivolone logico.  Uno specialista, per definizione, è una persona dotata di competenze specifiche in un settore. Lo specialista non è quello che possiede “molta” competenza, ma quello che possiede la “specifica” competenza utile al caso.
 Immaginiamo il prof. Manasse il giorno in cui dovesse trovarsi nella spiacevole situazione che descrive nel suo post, quella di avere un tumore. “Presto, portatemi da uno specialista!” “Be’, ci sarebbe proprio qui, nel palazzo, lo studio di un internista...” “No, portatemi dall’ortopedico del terzo piano, ha molte più pubblicazioni, ed è primario di un reparto importante...” “Ma lui è esperto di rotule, tu hai un problema al fegato!” “No, no, fate come dico io, l’esperto di rotule si è sottoposto al severo vaglio della comunità scientifica internazionale”.
 Requiem aeternam...
 “Economista”, in realtà, non significa nulla, puoi anche essere un clarinettista con 10 dischi di platino al tuo attivo, ma se ti chiamano a suonare un preludio di Chopin per pianoforte sicuramente ti mancherà qualche nota. E se hai un cancro non vai da un ortopedico, a meno che tu non sia Manasse.
 Ora, io non so Loretta Napoleoni di cosa si occupi. Sicuramente Boldrin non si occupa di economia internazionale: lo dimostra la sua copiosa produzione scientifica (tutta in altri campi dell’economia), e lo dimostrano soprattutto le perle che profonde nei dibattiti televisivi. Quindi il povero Manasse incassa, con la sua deludente caduta di stile, un autogol di proporzioni cosmiche. E a noi piace ricordarlo così, muto di fronte a Claudio Borghi Aquilini...
 Non vorrei sottrarvi troppo tempo, ma due o tre dettagli vorrei farveli notare, ricordandovi le bellissime parole del padrone di casa: “chi non ha tempo, non ha neppure speranza”. Ecco, prendetevi un po’ di tempo. Comincerei dalla fine.
 Al minuto 10:50 del video si scatena una amena gazzarra su quanto abbiamo svalutato nel 1992 e su cosa sia effettivamente successo: è stato il 12%? È stato il 40%? E veramente non è successo nulla, come entrambi i contendenti affermano? O è successo qualcosa?
 Guardate che il punto non è di dettaglio. Questo fatto storico, cioè l’uscita dell’Italia dal Sistema Monetario Europeo (SME) di cambi fissi nel 1992, viene regolarmente travisato dai media, con intenti terroristici. Volete un esempio? Sentitevi quest’altro espertone di economia internazionale, l’on. Tabacci, secondo il quale uscire oggi significherebbe dare “in una notte” una stangata del 50% alla nuova lira, “tosando le pecore”, perché il giorno dopo per andare a fare la spesa ci vorrebbe “la sporta doppia di monete” (argomento tipico dei nostri politici da avanspettacolo). Un po’ quello che dice Boldrin, il quale, con la coerenza alla quale ci ha abituati nei suoi interventi, prima ci dice al minuto 9:20 svalutare “sarebbe una tragedia per i lavoratori italiani” (si vede quanto gli stanno a cuore!), poi ci dice che l’ultima volta che lo abbiamo fatto non successe nulla. Tutto e il contrario di tutto in un minuto e mezzo.
 Vi dico subito quali sono i due errori marchiani dei nostri due espertoni. Il primo è quello di voler veicolare il messaggio che la svalutazione sarebbe istantanea: 12%, 50%, 10000% (chi offre di più?) in una sola notte! Il secondo è quello di confondere sistematicamente la perdita di valore sui mercati finanziari internazionali (la svalutazione) con la perdita di valore sui mercati reali interni (l’inflazione). Ora, se occorrono più euro (o più lire) per acquistare un dollaro, non è detto che per questo occorrano più euro (o più lire) per acquistare un giornale o un filone di pane.
 Vogliamo guardare i dati, così, per fare una cosa originale? La Fig. 1 riporta il tasso di cambio lira/ECU dal 1990 al 1998.
Tasso di cambio Lira/Ecu Alberto Bagnai Loretta Napoleoni Michele Boldrin
 Perché uso questo cambio? Vi ricordo che l’ECU, European Currency Unit, era una unità di conto costruita considerando una media delle valute aderenti allo SME. L’ECU serviva da punto di riferimento per i cambi dello SME e fu il precursore diretto dell’euro: il cambio di 1936.27 al quale entrammo nell’euro nel gennaio 1999 era appunto quello che ci legava all’Ecu nel dicembre 1998 (ma tutto questo Boldrin non lo sa, come ho documentato qui). Quindi, se parliamo di svalutazione della lira nel contesto dello SME, il cambio lira/ECU è la scelta più naturale.
 Intanto, dai dati si vede che la fluttuazione della lira andò avanti dal settembre 1992 al novembre 1996, come ci ricorda l’ottima cronologia della Banca dei Regolamenti Internazionali.
 Nell’agosto del 1992 ci volevano 1545 lire per un Ecu (vi risparmio i decimali) e dopo lo sganciamento, nell’ottobre, ce ne volevano 1731, cioè circa il 12% in più. Quindi il prof. Boldrin riesce in un pezzo di incredibile virtuosismo: mentire, dicendo la verità!
 Perché è sì vero che nell’immediato la svalutazione fu del 12%, ma è pure vero che non fu un blip, come dice lui per fare l’amerikano, cioè un fenomeno transitorio. Al contrario, proseguì fino all’aprile del 1995, quando, per un Ecu, ci volevano 2295 lire, cioè il 48% in più che nell’agosto del 1992. Nel giro di meno di tre anni svalutammo quasi  il 50% rispetto all’Ecu (la cifra evocata dall’ineffabile Tabacci), e, se volete saperlo, del 55% rispetto al dollaro.
 Chissà che iperinflazione, chissà che perdita di potere d’acquisto, chissà che “tosata” per i lavoratori, per dirla con Tabacci! Sicuramente il loro potere d’acquisto sarà calato del 50%, cioè i prezzi dei beni sui mercati interni saranno aumentati (a spanna) del 50%, visto che, con il dollaro più costoso del 50%, l’aumento dei prezzi delle materie prime avrà schiacciato l’economia italiana.
 Invece no. L’impatto della svalutazione sui prezzi fu minimo. Lo vediamo nella Fig. 2, che riporta l’indice dei prezzi al consumo, la statistica che misura il costo della vita.
Indice dei prezzi al consumo Alberto Bagnai Loretta Napoleoni Michele Boldrin
 Vedete? I prezzi al consumo seguirono una bella traiettoria liscia e regolare, per nulla influenzata dalla svalutazione del cambio: mentre questo si impenna e poi precipita (Fig. 1), i prezzi (Fig. 2) vanno su paciosi. Se, come nel grafico, mettiamo pari a 100 l’indice nell’agosto del 1992, vediamo che nell’aprile del 1995, quando la lira si era svalutata di quasi il 50%, l’indice era aumentato di appena il 13% (giungendo a 112.7).
 Quindi i lavoratori furono tosati del 50%, come afferma l’espertone Tabacci?
 No, evidentemente no, né in una notte, come dice per farvi paura, né in tre anni. L’indice del salario reale, cioè dei salari divisi per i prezzi, e quindi del reale potere d’acquisto degli italiani, tratto dal database AMECO è piuttosto chiaro: dal 1992 al 1995 l’indice diminuì, ma del 4%, cioè più o meno quello che ha perso negli ultimi quattro anni, ora che abbiamo l’euro che ci protegge. L’inflazione c’entrò poco o nulla, c’entrarono molto le misure di austerità, prese anche allora per il nobile scopo di entrare in Europa.
 Ora, i fatti sono questi, e magari ad alcuni sembreranno stravaganti, convinti che se, poniamo, il dollaro ci costa del 50% in più, immediatamente il petrolio costa del 50% in più, e quindi tutto costa del 50% in più, nel giro di una notte (come se tutto fosse fatto di petrolio...). In questo caso la svalutazione sarebbe inutile, perché è vero che i nostri clienti esteri pagherebbero del 50% in meno (a spanna) la nostra valuta, ma l’inflazione interna farebbe costare del 50% in più i nostri prodotti, e i due effetti si annullerebbero. Così, continuano, inutile tornare al cambio flessibile: è inefficace come strumento, e di converso, quindi, la rigidità dell’euro non è colpevole della situazione nella quale ci troviamo
 Ma le cose non stanno così: lo ha chiarito nel 1997 Maurice Obstfeld dell’Università di Berkeley, sui Brookings Papers on Economic Activity, e lo ha confermato nel 2012 Alexis Antoniades, della Georgetown University, sulla  International Economic Review (se vi interessano i curriculum). Obstfeld, nel suo articolo intitolato “L’azzardo dell’euro”, chiarisce che l’aggiustamento del cambio è importante, anche se non si trasferisce ai salari reali, cioè anche se i lavoratori non vengono “tosati”, o magari “pagati come in Cina”. Il motivo è che se i produttori fissano i prezzi nella valuta del proprio paese (producer currency pricing), la svalutazione li avvantaggia comunque sui mercati esteri, anche a parità di costo del lavoro nazionale. Quindi, per un paese europeo rinunciare alla flessibilità del cambio ha un costo importante in termini di prolungamento delle crisi economiche (come stiamo vedendo). Il lavoro di Antoniades conferma che le imprese applicano in modo prevalente il producer currency pricing,  e conclude confermando quello che era facile capire anche prima, cioè che “le preoccupazioni espresse da Obstfeld sui benefici dell’euro sono fondate”.
 Certo, i mortali possono ignorare queste ricerche specialistiche, ma il prof. Boldrin no, e certamente non le ignora. Anche perché, sempre nel 1997, a margine dell’articolo di Obstfeld, un altro economista rincara la dose: “Sono più pessimista di Obstfeld: secondo me, l’euro è un rischio che non dovremmo prendere”. Sapete chi era? Alberto Alesina, che oggi appoggia l’austerità montiana, a difesa di quello stesso euro da lui definito nel 1996 un bluff, per motivi che trovo limpidi e tuttora validissimi. Vi pare possibile che il prof. Boldrin non conosca l’opera del prof. Alesina? La leggiamo perfino noi a Pescara!
 È vero invece quello che afferma nel dibattito la Napoleoni, cioè che le politiche di deflazione intraprese, quelle sì, stanno riducendo a mal partito i cittadini italiani. Il motivo è semplice, e lo ha tanto limpidamente espresso uno degli economisti di punta del PUDE (Partito Unico Dell’Euro), Stefano Fassina: non potendo svalutare la moneta, si svaluta il lavoro. Vi sembra il contrario di quello che dicono Tabacci e Boldrin? Sì, è esattamente il contrario, ma è anche quello che sta succedendo, e lo vediamo tutti, anche voi: credete ai vostri occhi!
 È inutile girarci intorno. Quello di ridurre il resto dell’Europa come la Cina, sbriciolando i redditi e i diritti dei lavoratori per contare su un serbatoio di manodopera a buon mercato, si sta ormai palesando come il disegno, più o meno lucido, della leadership tedesca. Guardate, non ci vuole molto a capirlo: vogliono fare con il resto dell’Eurozona quello che gli è riuscito con la Germania Est.
 Ve lo ricordate?
 Vi rubo ancora un attimo, vale la pena: il cambio fra marco dell’Est e marco dell’Ovest era di tre a uno, ma fu presa la decisione di fissare il cambio uno a uno, dotando i “cugini” dell’Est di una moneta tre volte più “pesante” di quella di cui disponevano. Risultato: i consumi all’Est aumentarono (e con loro le importazioni), ma la competitività delle imprese fu sbriciolata (e con lei le esportazioni). Quasi 1300 miliardi di euro passarono dall’Ovest all’Est, per colmare lo squilibrio commerciale e finanziare la ripresa, ma a distanza di vent’anni i risultati apparivano deludenti non secondo “il professorino di Pescara”: secondo lo Spiegel! Che vuol dire “deludenti”? Ma, ad esempio che nel 2008 il reddito di una famiglia dell’Est era ancora solo il 53% di quello di una famiglia dell’Ovest (sempre lo Spiegel). I greci, agli imprenditori della Germania Ovest, costeranno ancora meno, quando la loro economia sarà stata definitivamente distrutta. Poi toccherà agli altri, fra cui noi.
 Solo sganciandoci dal giogo della moneta unica e ripristinando la flessibilità del cambio (come auspicavano il premio Nobel James Meade nel 1957, o Alberto Alesina nel 1997) si può garantire un futuro a questo continente. Non parlo di futuro economico: parlo di futuro e basta, perché l’irrazionalità economica dell’euro rischia di condurci alla catastrofe politica, come diceva, ancora una volta, Alberto Alesina nel 1997: “si può pensare che la probabilità di conflitti aumenterà se più paesi sono costretti a coordinarsi e a venire a compromessi su diversi argomenti a causa di una inutile unione monetaria”.
 Quindi, quando difendono l’euro, Tabacci forse no (diamogli il beneficio del dubbio, visto che non è del mestiere e visibilmente non sa di cosa parla), ma Alesina e Boldrin sono certamente consapevoli di divulgare delle “lievi imprecisioni”. È la leadership degli eurocrati che vuole portarci a competere al ribasso con la Cina in tema di diritti e redditi, e questo loro lo sanno. Siamo certi che la loro convinzione nel sostenere questo progetto suicida per il loro paese gli spianerà la strada di una brillante carriera politica.
 Dipende da voi...

sabato 16 febbraio 2013

Il Ballo dei Cialtroni

Berlusconi, Monti, Bersani. Grandi dichiarazioni di intenti e programmi chiari per tornare ad avere un futuro:
Monti:”Cialtroni” rivolto al governo precedente.
Berlusconi: “Politicante” rivolto a Monti
Bersani: “la Destra ci ha portato alla catastrofe morale” riferendosi ai recenti fatti di cronaca giudiziaria (escluso MPS immagino?).o
Mentre la triplice partitica discute di alta politica, la fiera e “giusta” azione della magistratura ci ha fatto perdere mezzo miliardo di euro di commesse in India. E indovinate un pochino chi è volato in India a vendere elicotteri, aerei e cannoni? Ma l’amico socialista Holande!
Sempre sul fronte giudiziario, “guarda caso” le 4 ore di Mussari davanti ai PM sono state “secretate”,  non si deve sapere nulla prima delle elezioni di quella faccenda. Non sia mai che Banca PD venga coinvolta direttamente, al massimo lo si saprà a nuovo governo in carica.
Poi sono arrivati i dati Banca d’Italia su entrate fiscali e debito pubblico: +80 miliardi il debito pubblico e dopo un massacro di tasse la sempre meno studiata curva di Laffer pare abbia fatto un egregio lavoro limitando l’aumento delle entrate a un miserrimo +1,7%.
Il 2013 intanto si apre con un buco di 150 milioni di euro di mancati introiti dalla vendita di prodotti derivati dal petrolio, 150 milioni al mese signore e signori, ovvero un buco di 1,8 mld all’anno almeno. Salvo altri crolli nel consumo di carburanti (scommettiamo che…).
Concludo indicando il vero motivo per cui Monti è tanto stimato dalla Germania. Dovete sapere che 30 degli 80 miliardi di maggior debito pubblico sono serviti per “salvare” Grecia e Spagna, o meglio… salvare i creditori di Grecia e Spagna, che in maggiore misura sono le banche tedesche e francesi.
Ecco la ragione per la quale non voterò per nessuna delle 3 coalizioni mainstream.
Peraltro sono certo che ove non bastassero i voti a Bersani arriveranno i Senatori di Monti, ove (come probabile) non bastassero quelli di Monti, arriveranno quelli di Berlusconi: perchè è l’Europa a chiederlo.
Dunque mandiamoli a casa, io penso che le prossime elezioni siano anche una sorta di referendum e per una volta abbiamo qualcosa di interessante da scegliere. Indico due partiti: anzitutto il Movimento 5 Stelle dal quale mi aspetto una vera opposizione e una puntuale documentazione sul web delle porcate consociative che hanno caratterizzato i 20 anni di seconda repubblica. Poi c’è Giannino e il suo Fare per Fermare il Declino, nella mia opinione forte del miglior programma economico tra i partiti che concorrono alle elezioni. Certo che l’Italia deve uscire dall’Euro e tornare alla sovranità monetaria in mano al Tesoro (e non alla Banca d’Italia), come insegna Contante Libero.
E' vero che sia comunque difficile sentirsi interamente rappresentati dal M5s o da Giannino, ma qualcuno qui si sentirebbe anche solo parzialmente rappresentato da Bersani o da Monti o da Berlusconi?

 http://www.rischiocalcolato.it/2013/02/il-ballo-dei-cialtroni-il-vomitevole-teatrino-pre-elettorale.html

venerdì 15 febbraio 2013

Grecia al tracollo e alla fame

da http://www.lindipendenza.com/grecia-al-tracollo-e-alla-fame-e-non-stiamo-parlando-di-balle/


In effetti non ci si capisce piu’ nulla, vai in rete e le ultime notizie che trovi della Grecia risalgono a Novembre del 2012. Non e’ successo piu’ nulla dopo ? Difficile crederci. Da  qualche giorno questo blog ha iniziato a diffondere notizie su quanto accade in Grecia, notizie raccolte in rete, quasi di straforo, prese per buone perche’ conoscevamo le fonti. Persone serie. Qualcuno in Italia non l’ha presa bene, non e’ piaciuto loro quanto andavamo dicendo, secondo questi tipi la Grecia e’ tranquilla, quasi fosse  soddisfatta della sua condizione miserabile o addirittura contenta di morire. Con qualcuno di questi tizi ho avuto anche da dire, un confronto aspro, di quelli che piacciono a me. A muso duro. sono volate parole grosse. Assai. E sono rimasto della mia idea,   credo piu’ alle fonti dove ho attinto le notizie che a gente come quella, che parla cosi’, tanto per aprire bocca  ma ho deciso comunque  di andare a fondo a questa storia. Per noi italiani e per i greci. Un mio collega del Giornale d’Italia, Federico Campoli,   e’ andato la’, a vedere di persona, ed e’ ad Atene in questo momento per conto del nostro quotidiano.  Lo sento per telefono e mi racconta con la voce incrinata per la rabbia e  quel che mi racconta e’ quello che ha verificato, che  sta vedendo adesso con i suoi occhi e quello che ode con le sue orecchie. Non sono voci riportate, non e’ sentito dire, non sono “boatos” del Web, tipo il mandato di cattura per il Papa che ci ha deliziato tutto ieri, a riprova che non sanno piu’ cosa inventare per distrarci. E’ dolorosa  cronaca sul campo, dalla quale emerge lo spaccato di  una societa’ in totale disfacimento,  ferita a morte nei suoi punti vitali. In molte delle cose descritte si  vede chiaramente un pezzo dell’Italia di oggi ed in altri si intravede un pezzo dell’Italia di domani, di quella che verra’. Di quella in preparazione da parte del benemerito Partito Unico dell’Euro e dei suoi seguaci in Italia. Se qualcuno intende smentire  e minimizzare per non guastare la kermesse elettorale in corso da noi,  che prenda un aereo e vada giu’ a verificare prima di aprire bocca. Altrimenti taccia.
Ed ecco il racconto di Campoli e spero di avere reso al meglio il suo pensiero con la mia prosa. E’ difficile tradurre in parole le emozioni di un’altra persona e vorrete perdonarmi se non ci saro’ riuscito perfettamente.
“Non siamo in Uganda o nel Darfur. Siamo in Grecia, più precisamente nella capitale, Atene, e una roba così non si vedeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Un camion si ferma in una delle tante strade della capitale. Apre i portelloni. Le persone a bordo cominciano a tirare fuori frutta e verdura. La distribuiscono gratuitamente alle decine di persone che si sono raccolte attorno al mezzo. Tra loro ci sono persone anziane, donne con bambini in braccio, ma anche giovani, ragazzi dal viso pulito non più grandi di 30 anni. Insomma, tutta gente che ha grosse  difficoltà ad arrivare a fine giornata. Dopo pochi minuti la calca comincia a farsi sempre più pressante. Volano spintoni, qualche insulto, poi parte la scazzottata per chi arriva primo a prendere il cibo. Il giornalista della Bbc, che sta riprendendo la scena, viene colpito nella ressa. A distribuire frutta e verdura sono  i ragazzi di “Alba Dorata” che girano incessantemente per i quartieri piu’ poveri tentando di portare un minimo di conforto ai propri concittadini che ormai vivono di stenti. Una persona su quattro in Grecia è disoccupata.  Molti di quelli che riescono a mantenere il proprio posto di lavoro non riescono comunque ad arrivare a fine mese. I  lavoratori hanno assistito impotenti ad una riduzione del salario del 22% solo nell’ultimo anno. Il salario  medio ora arriva a 586 Euro al mese. Ben al di sotto della soglia di poverta’. Da Bruxelles continuano ad arrivare i cosiddetti “aiuti europei”, ma ogni volta che viene sbloccata una nuova tranche le cose vanno peggio di prima. Adesso, i signori dell’Ue non possono più mentire. La Grecia è praticamente fallita. La penisola ellenica è a un passo dal crollo definitivo, a causa del peso dei debiti contratti per salvarsi.  Hanno preso cento miliardi e sono peggiorati di centotrenta. E’ la ricetta dell’FMI. Qualcuno se ne e’ accorto anche  al Consiglio d’Europa e alla Bce e sta timidamente suggerendo l’ uscita della grecia dall’euro, con una conseguente svalutazione della dracma del 20-30%. Ma  sono in pochi ad avere sale in zucca o ad essere in buonafede. La maggior parte ragiona come Jeroen Dijsselbloem, nuovo presidente dell’eurogruppo, l’alfiere del “cauto ottimismo” che ha avuto la faccia di bronzo di affermare in una recente intervista di essere favorevole all’austerity e ai “conti in pareggio” e di compiacersi della “stretta collaborazione tra il Governo ellenico e la troika” per concludere poi affermando di aver individuato “alcuni segnali tali da giustificare un certo ottimismo”. Mi guardo intorno per coglierne i segnali, se si compiace dovrebbe essere facile individuarli, ma le uniche differenze visibili rispetto alla Grecia allegra e solare che ricordavo sono i reparti antisommossa che presidiano  gli incroci ed una cappa  asfissiante di fumi misti a cenere che avvolge la capitale, dalla collina del Ligabetto giu’ fino al Pireo. Ormai da qualche mese Atene vive coperta da una  fitta coltre  di smog puzzolente,  prodotto dal fumo dei camini e delle stufe a legna. I suoi miasmi impregnano persone e cose. Niente piu’ odore di mare, di spiedini arrostiti, di mousaka, di salse allo yogurth con aglio. Solo questa puzza terribile che ti entra nella bocca e non va piu’ via. La puzza della morte stessa, la morte di un popolo. Non è un fenomeno  solo ateniese, ma di tutta la Grecia le città sono avvolte da un odore acre dei  fumi della  legna e della cenere, mischiati a tutti i tipi di sostanze tossiche bruciate. Questa è una delle piaghe sociali arrivate con il “salvataggio”, è il risultato diretto dell’austerità selvaggia imposta dalla troika e dal governo greco che non è mai stato capace di proteggere i suoi cittadini. La troika ha chiesto,  e il governo greco ha eseguito, aumentando le tasse sul gasolio da riscaldamento, quello che usano in quasi tutti gli edifici greci, portandolo allo stesso prezzo del  gasolio-auto. Già il prezzo di un litro di benzina alla pompa in Grecia era il più alto d’Europa, nel rispetto degli ordini ricevuti dalla troika. In Grecia il prezzo del gasolio è salito di oltre il 50% dal 2009, soprattutto per l’aumento delle accise. Questo fatto, combinato con un calo del reddito medio reale del  40-50%, ha determinato una diminuzione delle entrate fiscali  sul gasolio per un miliardo e mezzo di euro, visto che adesso il combustibile per riscaldamento è diventato un lusso che la maggior parte della gente non può piu’ permettersi,  il  crollo dei consumi è sceso fino all’80%.  Quindi quasi tutti hanno dovuto trovare alternative al riscaldamento centrale e  molti hanno preso  stufette  elettriche, griglie a benzina o altre soluzioni pasticciate che costano meno del gasolio anche se, bruciando qualsiasi cosa nei camini o nella vecchie stufe a legna, si produce un degrado ambientale incredibile ed  a volte  anche tragiche conseguenze per le persone.  Fa male,  malissimo, alla lunga e nemmeno tanto, uccide,ma la gente, quando ha veramente freddo, brucia mobili, plastica, materiali da costruzione e persino le scarpe vecchie  pur di riscaldarsi,  e tutto questo rende ancora più micidiale e dannoso per la salute il mix tossico dei fumi che avvolgono le maggiori città. Dovreste vedere a cosa e’ ridotta l’atmosfera qui. Sky TV   ieri sera ha  ammonito: “Un gruppo di scienziati di sette centri di ricerca entro il 20 febbraio dovranno analizzare lo smog in diverse città per valutare l’impatto ambientale di un maggior uso di camini e stufe a legna.  Gli scienziati, insieme al Centro per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione, hanno verificato che bruciare legna in casa provoca un inquinamento dell’aria 30 volte maggiore rispetto all’utilizzo di combustibili bruciati in caldaie con manutenzione controllata.  Hanno scoperto  anche che le concentrazioni di particolato di fumo da legna nell’atmosfera è aumentato del 200% da dicembre 2010 a dicembre 2012, e di notte ancora di più. Il Centro di Controllo è preoccupato perché l’aumento dell’inquinamento dell’aria può provocare problemi respiratori e allergie che aggravandosi arrecano danni al sistema neurologico e riproduttivo.” Il prezzo della legna da ardere,  naturalmente, è raddoppiato rispetto all’anno scorso e l’incentivo ad abbattere gli alberi di foreste e parchi è grande, tanto che sia i parchi che le riserve naturali hanno già subito gravi perdite.  Per effetto delle rigide temperature invernali, questa tendenza si sta assestando un duro colpo all’ambiente e le colline diventano sempre più spoglie mentre nuvole di smog si sprigionano dagli incendi che avvelenano l’aria di Atene e delle altre città con tutti i rischi che possono provocare sulla salute pubblica. Il Ministero dell’Ambiente ha dichiarato che il numero di casi di disboscamento illegale è aumentato a dismisura nel 2012, come documentano le oltre 3.000 denunce e il sequestro di  13 mila tonnellate di alberi tagliati illegalmente. Un disboscamento così esteso in Grecia avvenne solo durante la brutale occupazione nazista del 1940, a questo punto hanno portato i cinque anni di recessione e le drastiche misure di austerità messe in atto.I distributori di carburante protestano per  un calo delle vendite del 75-80% nell’ultimo trimestre 2012, rispetto al 2011,  e come logica conseguenza c’è stato anche un crollo delle entrate fiscali per  400 milioni di euro solo per le mancate vendite di gasolio per riscaldamento. Il Ministro delle Finanze, Yiannis Stournaras, professore di economia e banchiere, tanto per cambiare, ed ex capo della IOBE, l’Associazione Economica degli industriali greci , è stato comunque irremovibile, pur avendo un quadro della situazione economica  greca molto chiaro, continua a negare l’agghiacciante evidenza che appare  ormai evidente  a qualsiasi cittadino del paese:  rifiuta ancora qualsiasi aiuto anche per le famiglie più povere, ma consiglia di “essere pazienti per un altro anno” e di aspettare che il freddo passi. Aspettare che il freddo passi….. geniale davvero! Ma poi ha anche detto che il crollo delle entrate sui carburanti per riscaldamento è dovuto all’”accumulo fatto lo scorso anno”, senza dare importanza al calo delle vendite dell’ 80%. Ovviamente il culto del suo credo economico, che lo fa tanto rassomigliare a Mario Monti ed ai suoi stolti discepoli, non gli consente di prendere atto di alcuni effetti collaterali, ad esempio sulla salute, sui rischi di incendio e sul taglio illegale dei boschi. La troika sembra comunque soddisfatta dei risultati che ha ottenuto, quindi , come si permettono le vittime delle sue scelte politiche di non essere d’accordo e protestare ?  Gia’—-perche’ bisogna anche soffrire in silenzio ed anche morire tacendo se occorre. Poveri carabinieri d’Europa. Per le persone che adesso consumano più energia elettrica per il riscaldamento, c’è in ogni caso anche la possibilità di godersi  pure  un pizzico dell’effetto della “liberalizzazione del settore dell’energia”, ( in Italia lo stiamo attendendo come il decantato salvatore ) tanto che la spesa sta diventando insostenibile, e le bollette hanno subito un aumento del 9%  (di più per i piccoli consumi, di meno per i consumi maggiori, secondo la vecchia regola del togliere di piu’ a chi ha di meno che ben conosciamo anche da noi ), in attesa dell’aumento del 20%, che dovrebbe essere approvato entro quest’anno. Intanto le società che forniscono l’energia pubblica, ogni mese stanno tagliando  gas e luce a 30.000  utenti  che non possono pagare le bollette! Mille famiglie al giorno….In pratica in Grecia  da 300 a 500 mila famiglie vivono  già letteralmente al buio. Saranno questi i segnali incoraggianti di Jeroen Dijsselbloem ? Di contro  il prof. Hans Werner Sinn, consigliere personale di Angela Merkel,  insieme ad altri 50 nomi del mondo dell’economia e sostenuto da Moorald Choudry, vice-presidente della Royal Bank of Scotland (la quartabanca del mondo) ha presentato un rapportourgente al Consiglio d’Europa  ealla Bce sostenendo la tesi della fuoriuscita, almeno temporanea. Non solo, ma nel rapporto si legge testualmente che “l’economia (greca) è arrivata ad un punto di tale degrado da poter essere considerata come tragedia umanitaria e quindi si può cominciare aventilare l’ipotesi di chiedere l’intervento dell’Onu”.Intanto, è iniziato il diciassettesimo giorno di protesta per gli agricoltori, incredibile ma e’ cosi’, stanno veramente protestando ed anche veementemente  ed oltre a distribuire cibo al popolo  chiedono la riduzione del prezzodel gasolio per i mezzi agricoli, un abbassamento dell’Iva e, soprattutto, chiedono che le banche rilascinocredito. Ma non sono solo gli agricoltori che regalano i propri prodotti. Molte aziende alimentari distribuiscono gratis in piazza, tramite Alba Dorata, quello che non sono riusciti a vendere. In teoria, la cosa sarebbe illegale  ma arrivati a questo punto sono in molti ad operare una netta  distinzione tra ciò che è legale e ciò che è giusto. La situazione si fa sempre più disperata. La sensazione che ho e’ molto nitida, mai come ora la Grecia  rischia la guerra civile. E i numeri confermano l’inarrestabile crescita del disagio sociale ed economico. Le rapine,negli ultimi mesi, sono aumentate del 600%. In parecchi inoltre si danno al saccheggio di metallo, da rivendere per qualche spicciolo. La gente e ridotta alla fame e si vede ed ormai farebbe qualsiasi cosa per mettere in tavola qualcosa di caldo da mangiare. Ammesso che si abbia ancora una tavola o un tetto sotto il quale stare.  Anche il numero dei senzatetto è aumentato in maniera spropositata. Le ultime stime parlano di 40mila persone costrette a vivere nei cartoni agli angoli delle strade. Ne ho visti tanti passeggiando per le vie di una Atene spettrale, fredda ed avvolta da una cappa fetida. Una delle immagini più significative ritrae un antico anfiteatro greco, sulle cui scalinate dormono decine di senzatetto, avvolti da scatoloni di cartone. Anche Amnesty International ha stilato il suo rapporto, in cui denuncia le condizioni di estrema povertà della gente e degli abusi ricorrenti di una polizia male attrezzata, che tenta di mantenere il controllo  di una nazione ormai alla deriva e ben avviata verso la guerra civile. Insomma, nè le strabilianti cifre di denaro elargite del trio Fmi-Bce-Ue, né le varie direttive della  razza padrona che ci tiranneggia da Bruxelles sono riuscite a ristabilire le sorti del popolo greco, né tanto meno, dello Stato. Ma non era questo che volevano, infatti.  Ovviamente, i soldi sono finiti nelle mani delle banche e da lì non sembra si siano mai mossi. La scusa è sempre la stessa ed è quella abusata che usano anche da noi. Salvare le banche per salvare il popolo. Viene veramente da piangere a guardarsi intorno, i risultati dell’ideologia della ricapitalizzazione bancaria sono devastanti ed insopportabili allo sguardo. Ma oltre ai soliti istituti di credito ci sono anche altri che sono riusciti a trarre un profitto da questa situazione. La crisi ha portato infatti ad una netta riduzione del costo del lavoro, nonché ad una liquidazione coatta  dei diritti dei lavoratori.  Tra i vari tagli operati dal governo rientrano quelli per l’indennità di fine rapporto dei lavoratori, la malattia e gli straordinari.  Insomma, le multinazionali nord europee stanno realizzando una piccola Cina, nel cuore dell’Europa, governata direttamente da loro. Ecco il fine ultimo del lavorio frenetico della Troika, tornare ai tempi della “Compagnia delle Indie” e farlo in Europa. Proprio dove e’ nata la civilta’ occidentale: Atene e Roma. Distruggere la nostra cultura ed anche il ricordo di cio’ che fummo. Questi lavoratori vengono  pagati una miseria, senza che siano assicurati  loro nemmeno i diritti fondamentali. Come se non bastasse, il 95% dei prodotti di queste società finiscono all’estero. In pratica, la penisola diventa semplicemente una base di produzione a basso costo da cui far partire le proprie merci verso i mercati che ancora sono in condizione di consumare “.
Il racconto di Campoli finisce qui ma proseguira’ nei prossimi giorni, nel frattempo su internet è esplosa la contesa sulla veridicità di alcune notizie (come quella degli assalti ai supermercati) e sul fatto che i media ufficiali in Europa stiano tacendo sulla drammatica situazione ellenica. C’è chi grida ad una manovra studiata ad hoc. Ninete di piu’ facile.  In Italia siamo in campagna elettorale e non farebbe comodo a nessuno dei grandi partiti il fatto che le misure europee abbiano condotto un paese allo sfacelo. E non farebbe comodo nemmeno ad Hollande principale fautore delle politiche comunitarie. Senza parlare della Merkel, dato che in Germania il principale motivo di protesta riguarda la questione dei soldi dei “paesi ricchi” che finiscono nelle banche di “quelli poveri”. Insomma, effettivamente la questione greca non fa comodo a nessuno. Che muoiano dunque in silenzio, senza disturbare le prossime vittime. Non ci credete che e’ cosi’ ? Venite a vedere.