martedì 27 ottobre 2009

Il meno amato dagli italiani

di Beppe Grillo

L'Italia non è un Paese, ma un fantastico reality show. Con lo psiconano e le sue ballerine di governo e di opposizione siamo diventati tutti protagonisti. Bisogna pensare positivo, Chiunque può avere il suo quarto d'ora di celebrità. Dal viareggino arso vivo,all'abruzzese sotto le macerie, agli abitanti di Messina travolti dal fango, sono tutte grandi opportunità per mettersi in luce. Non avviene ovunque di potersi arrampicare sui tetti o di dormire sulle gru per difendere il posto di lavoro.
E' un fatto di sensibilità democratica, di grande visibilità personale. Persino la
disgrazia è un'opportunità in Italia. Qualcuno, finalmente, si accorge nel
momento del bisogno e poi tira dritto. Siamo tutti grandi fratelli. La verità che è
sotto i nostri occhi, ogni giorno, diventa tale solo in televisione. Senza quella
conferma non esiste. Lo stesso vale per noi, comparse di un film di terz'ordine. Il
ponte di Messina, la crisi che non c'è mai stata, le "risorse economiche incredibili"
a disposizione del governo. Un Paese di fantasia. Una lotteria dell'immagine. Una
storia infinita nella quale la balla di oggi sostituisce quella di ieri nell'indifferenza
generale. L'apparenza in Italia non inganna, è invece tutto quello che c'è.

giovedì 1 ottobre 2009

Appello a tutti gli uomini pubblici

di Salvatore Bragantini

Niente fermerà il panzer dello scudo ter, il governo chiede la fiducia; evidentemente alla maggioranza manca quella in se stessa. Come limitare in qualche modo, sul piano dell’etica pubblica, i danni? Ci viene detto che si deve contribuire al risanamento dei conti.
Prendiamola per buona, ma allora c’è una contropartita, pur minima, che il governo— imponendo con la fiducia l’obbrobrio — ha il dovere almeno di offrire al Paese: l’impegno solenne di tutti i suoi componenti, e dei loro stretti congiunti, a non farsene scudo. Meglio se lo stesso fosse assunto dai parlamentari, e da chiunque abbia un ruolo pubblico o istituzionale nel Paese.
Insieme alla promessa di dimettersi ove mai si provasse che quell’impegno è stato disatteso. Il danno che questa legge causa al livello civile del Paese è tale da richiederlo.
Lo scudo, infatti, non è degno dell’Italia. Nessun Paese civile ha votato una sanatoria che consente agli evasori di pagare un decimo di quanto dovevano. Davvero sono i conti pubblici ad imporre una misura iniqua ma necessaria?
Eppure nel Regno Unito e negli Usa chi vuol regolarizzare la propria posizione deve pagare almeno l’imposta evasa: dieci volte quanto l’evasore italico. E sì che i conti di questi Paesi, dato l’enorme ammontare di risorse che essi spendono per la crisi, non sono messi tanto meglio dei nostri, come il ministro Tremonti giustamente non si stanca di dire. Perché allora trattare i nostri evasori in modo così smaccatamente più favorevole di Usa e Regno Unito? Il Dna italiano è forse differente? Il ministro non si rende conto di sbagliare quando sostiene imperterrito che il nostro scudo somiglia a quegli altri; non è così, va detto a voce alta. In tal modo egli nuoce alla credibilità propria e del Paese.
Il boccone più prelibato, che solo il nostro scudo offre agli evasori, è l’anonimato.
Con l’obolo del 5% si conquista l’indulgenza plenaria senza nemmeno svelarsi al confessore. Se attaccato dal fisco cattivo, il povero inerme evasore brandirà lo scudo facendo braccetto. Per di più, abbiamo tolto ogni preoccupazione sulle ricadute penali del rimpatrio dei fondi (dal falso in bilancio in poi), ed esentato gli intermediari dall’obbligo di segnalare casi di riciclaggio.
Solleciti come siamo della tranquillità dei sonni degli evasori, pare che teniamo in serbo una chicca. Lo scudo proteggerebbe anche i mariti che non vogliono pagare alle ex mogli alimenti proporzionati alle imposte evase: così imparano ad invecchiare!
Gira già l’idea di estendere la scadenza dello scudo oltre il 15 dicembre, ma perché non renderlo permanente? Si può sempre far meglio: i vigili di Milano hanno sequestrato, su un autobus «cellulare», delle persone senza permesso di soggiorno. Dato che sono tantissimi, perché non consentire a chi fra loro abbia esportato fondi, magari frutto di reati banali come lo spaccio o l’estorsione, di mettersi in regola pagando il 5% del bottino? I conti pubblici migliorerebbero ulteriormente, Bossi si darà pace.
Siamo ben lontani dalla fine di una crisi dovuta anche alle crescenti disuguaglianze, fenomeno specialmente grave negli Usa e in Italia; lo attesta l’indice di Gini che le misura.
Lo scudo ter è una bizzarra risposta a questo stato di cose, e questa nuova mazzata convincerà tutti che l’illegalità, perfino il crimine, pagano purché si abbia cura di allinearsi al sentire del Paese, per cui l’evasione è una birichinata, quando non la doverosa difesa dallo Stato predone. Il tutto per un provvedimento che non assicura affatto che i denari siano utilizzati a sostegno dell’economia del Paese; il 5% va allo Stato, che non lo usa a riduzione del debito, ma sul 95% non ci sono obblighi di sorta. Se i fondi erano investiti in azioni o titoli di Stato stranieri, ad esempio, potranno tranquillamente continuare ad esserlo.
Già diversi birichini stranieri stanno chiedendo residenze fiscali di comodo in Italia, per parcheggiare qui le loro birichinate, fino a quando non potranno più essere contestate dalle loro autorità fiscali. Mentre diciamo che i paradisi fiscali sono alla fine, noi ci apprestiamo, zitti zitti, a diventarlo. Non ci meritiamo questo scempio. Aspettiamo almeno l’impegno di chi ce lo impone a non utilizzarlo.

lunedì 28 settembre 2009

La resa dei conti con l'informazione

di CURZIO MALTESE


Non è normale in nessuna democrazia che un governo rivendichi la concessione di nullaosta per questo o quel programma della tv pubblica. Per la verità, sarebbe illegale anche da noi, visto che la vigilanza sulla Rai spetta di diritto alla commissione parlamentare. Che è sempre presieduta da un esponente dell'opposizione, proprio per garantire l'indipendenza della tv pubblica dal potere esecutivo. Così era quando la destra era all'opposizione. Ma ora che è al governo, Berlusconi ha deciso che le garanzie non valgono più e deve essere il governo a vigilare sulla Rai, su se stesso, su tutto, e a decidere quali programmi mandare in onda. Per farlo ha mandato in campo il ministro dello Sviluppo Economico, Scajola, il quale, invece di occuparsi di uno sviluppo che non c'è, apre un'inchiesta sull'ultima puntata di Annozero. Accusata dal medesimo di spargere "spazzatura, vergogna, infamia, porcherie".
L'accusa è talmente generica che si ha quasi voglia di dar ragione al ministro. In effetti nell'ultima puntata di Santoro hanno parlato quasi soltanto voci del centrodestra: il presidente del Consiglio, il ministro Renato Brunetta, il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, l'ex opinionista di corte Filippo Facci e la famosa Patrizia D'Addario, che come qualcuno forse non ricorda, oltre a essere un'amante del premier, è stata candidata del centrodestra alle elezioni amministrative della primavera scorsa. Sono questi "spazzatura, vergogna, infamia, porcherie"? Può darsi, Ma si tratta di spazzatura portata sulla scena pubblica da Berlusconi, compreso l'amico Giampaolo Tarantini, oggetto del ben documentato monologo di Marco Travaglio.
Ma si tratta appena di un pretesto. Con la sua iniziativa Berlusconi, attraverso il ministro Scajola, vuol imporre qualcosa di ancora peggio di una censura. Vuole stabilire un precedente sulla base del quale da ora in poi sarà il governo, cioè il premier, a stabilire i palinsesti Rai. Contro la legge, la decenza (Berlusconi è sempre il padrone di Mediaset) e la celebre volontà popolare, certificata dal primato di audience, della quale all'occorrenza il plebiscitario leader dimostra di fregarsene altamente.
Non bastasse, il padrone ha dato ordine ai giornali sottostanti, Giornale e Libero all'unisono, di lanciare una campagna contro il canone Rai. Anche questa indecente e illegale, perfino per una maggioranza amica degli evasori fiscali, coccolati con infiniti condoni.
Qualcuno poi dovrebbe spiegare come mai il ministro dello Sviluppo, il sottosegretario alle Comunicazioni, la stessa Rai, perfino il cacciatore di fannulloni Brunetta, non aprono una bella inchiesta sui collaboratori di Giornale e Libero che con la sinistra lestamente prendono lauti stipendi da viale Mazzini e con la destra firmano per giornali impegnati nel boicottaggio della Rai. Tanto per non far nomi, il neo vice direttore di RaiUno, Gianluigi Paragone, autore di un editoriale che campeggia nella prima pagina di Libero dedicata a "come non pagare il canone". Non solo la destra ha piazzato nella mangiatoia della tv pubblica lottizzati d'infimo profilo, ma pretende pure che a pagarli siano i soli elettori del centrosinistra.
L'obiettivo di imbavagliare la stampa d'opposizione viene perseguito con questi metodi frettolosamente sgangherati, quasi provocatori, da servitù affannata per esaudire, in un modo o nell'altro, i desideri del capo. L'urgenza di Berlusconi di nascondere la sua vera "storia di un italiano" è tale che non c'è più tempo per mediazioni, per i ricami diplomatici di un Letta o i cavilli giuridici di un Ghedini. Il potere berlusconiano va avanti di spada per tagliare l'ultimo nodo democratico, la stampa d'opposizione, che lo separa dall'egemonia assoluta. Si tratta di un disegno tanto chiaro che potrebbe capirlo perfino l'opposizione politica, pur nel suo marasma ideologico. Se passano questi sistemi, non ci sarà più margine di trattativa, ma una disonorevole resa. Si gioca molto o tutto in pochi giorni, da qui a sabato. Poi rimane solo il cartello di fine trasmissioni.

venerdì 10 luglio 2009

L'ITALIA VISTA DAGLI ALTRI

di Gian Antonio Stella

«Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?», si chie­deva Donatien- Alphon­se- François marchese de Sade.
Montesquieu scri­veva che «ognuno non pensa che a ingannare gli altri, a men­­tire, a negare i fatti».
Flaubert mette­va nero su bianco che le donne napole­tane "sono sempre in eccitazione, fottono co­me un asino sbarda­to".
«Dobbiamo ammettere che i nostri scandali mancano di brio rispetto a quel­li dei nostri vicini. Per esempio noi potremmo cercare invano un personaggio così pittoresco come Berlusconi», spiega Ge­rard Dupuy su «Liberation».
Il premio Nobel José Saramago avverte: «Ma nella ter­ra della mafia e della camorra, che importanza può avere il fat­to provato che il primo mini­stro sia un delinquente?»
«Ci sono Paesi che non si me­ritano i loro governanti. Quasi nessuno. Però l'Italia, per poco che stimi la politica, dovrebbe comportarsi più degnamente», accusa un giorno Antonio Gala su «El Mundo».
Eva Erman, sul quoti­diano svedese Dagens Nyhe­ter:«Forse è davve­ro giunto il momento di un par­ricidio per cercare di fare entra­re un po' di aria fresca nello sti­vale dell'Europa e togliere l'odo­re del più puzzolente sudore del piede».

lunedì 6 luglio 2009

LE INTERCETTAZIONI

pubblicata da “PRIMA comunicazione”, Giugno 2009

Tutti noi, persone di buon senso, speravamo che il provvedimento sulle intercettazioni finalmente tutelasse - bilanciandoli - i due valori costituzionalmente rilevanti per l’individuo e la società: la libertà di informazione e il diritto alla privacy. E, invece, dalla travagliata discussione parlamentare è venuto fuori un mostro legislativo che invece di garantire con le regole dello Stato di diritto le diverse componenti istituzionali e sociali, sembra appositamente formulato per fornire gli strumenti penali per vendicare, con spirito massimalistico, gli eccessi fin qui compiuti da inquirenti e giornalisti.
Sappiamo bene che i pubblici ministeri, con le macro-inchieste che spesso non hanno condotto ad alcunché, e i giornalisti, con le paginate riempite di scandali che hanno annichilito il cittadino indifeso, si sono attirati la vendetta di chi è capitato nel loro mirino. Quante volte noi garantisti abbiamo dovuto protestare per il protagonismo dei magistrati-sceriffi che, con la compiacenza della stampa, hanno dilagato salvo poi finire in politica all’insegna del giustizialismo? Ma l’attuale normativa butta via insieme con l’acqua sporca anche il bambino, il che significa che fa fuori, insieme agli abusi, anche la possibilità di indagare e di esercitare il diritto di cronaca, essenziali in democrazia.
Scrivevamo qualche mese fa su queste stesse pagine: “Che le intercettazioni in Italia siano troppe, e gestite in maniera abnorme da parte degli inquirenti, addirittura con la tecnica delle reti a strascico per cui si sparano mille colpi in maniera tale che alla fine qualcosa dovrà pur essere colpito, è inconfutabile”. E’ perciò che oggi ci facilitiamo limitatamente a due norme: l’obbligo per il giudice incaricato di un determinato provvedimento di astenersi dal rilasciare pubbliche dichiarazioni, e lo stop alla pubblicazione di nomi e immagini di magistrati relativamente ai procedimenti penali a loro affidati, salvo che l’immagine non sia indispensabile al diritto di cronaca. Ciò detto, però, con tutto il resto del provvedimento, si è andati decisamente fuori dal seminato.
Per la tutela della privacy dei cittadini sarebbe bastata una norma semplice: l’introduzione del divieto di pubblicare brani di intercettazioni ancora coperti dal segreto, irrilevanti per le indagini, riferiti a persone diverse dagli indagati. E, invece, con il riferimento agli “evidenti indizi di colpevolezza”, si sono colpite pesantemente sia le possibilità investigative da parte della magistratura, sia il diritto costituzionale all’informazione che riguarda non tanto quel che scrivono i giornalisti quanto quel che possono conoscere i cittadini attraverso i mezzi di comunicazione.
Dopo molti tira e molla, per autorizzare i magistrati ad intercettare, alla fine si è ricorsi alla formula “evidenti indizi di colpevolezza” sostituita all’altra “sufficienti indizi di colpevolezza” tali da rendere le intercettazioni “assolutamente indispensabili” con la restrizione temporale dei 60 giorni e la necessità dell’autorizzazione di un gip collegiale, condizioni tutte che provocheranno tante interpretazioni cavillose quanti sono i pubblici ministeri che le interpreteranno.
Sul fronte della stampa sono ancor meno convincenti le pene intimidatorie previste per i giornalisti e gli editori dei giornali. Per i cronisti che pubblicano intercettazioni sia integrali sia per riassunto fino al processo in aula, o rendono pubbliche intercettazioni di cui è stata ordinata la distruzione, è previsto il carcere da 6 mesi a 3 anni, pena chiaramente intimidatoria. E, ancor più inquietanti, appaiono le pene e le ammende pecuniarie previste per chi omette di “esercitare il controllo necessario ad impedire la indebita cognizione o pubblicazione delle intercettazioni”: una misura che può essere usata anche dagli editori per esercitare interferenze sul lavorio giornalistico.
Si era partiti con il piede giusto per ricondurre i magistrati nel recinto rigoroso e silenzioso, ma si è arrivati con un passo di stile autoritario che rischia di bloccare tutto e tutti in nome del diritto alla privacy. Vedremo ora cosa farà il presidente della Repubblica che ha a cuore la riconduzione della giustizia e della politica ai loro ambiti, eliminando le invasioni di campo a cui abbiamo dovuto assistere di questi tempi.

QUI ACERRA

A 103 giorni esatti dall'inaugurazione del Termovalorizzatore di Acerra il valore delle PM10 (Il valore giornaliero di 50 μg/m3 non può essere superato più di 35 volte nell’arco dell’anno civile - ARPAC Campania) è stato superato nell'area della zona industriale di Acerra di ben 33 volte...venerdì 3 luglio è arrivato a 55,7 μg/m3!

E intanto nessuno ne parla!

PRESIDENZA DEL PARLAMENTO EUROPEO

Joseph Daul ha tenuto a ringraziare in modo particolare il Presidente Berlusconi per questo gesto di unità e di coesione della famiglia politica del PPE.
"Ancora una volta, Silvio Berlusconi e il suo partito il Popolo della Libertà, dimostrano il loro attaccamento ai valori di un'Europa responsabile e solidale. Saluto il segnale positivo dato dal PDL italiano che permetterà al nostro Gruppo, la forza più influente del Parlamento Europeo, di designare in un clima di grande serenità il nostro candidato alla presidenza del Parlamento Europeo", ha dichiarato Joseph Daul.

"Voglio ancora una volta sottolineare quanto gli europei siano debitori all'Italia, paese fondatore dell'Unione, e voglio altresi' ringraziare il popolo italiano per il forte sostegno manifestato in favore della costruzione europea con un tasso di partecipazione record alle ultime elezioni europee. La vittoria ottenuta dai nostri partiti del centro-destra italiano permette al PPE di rimanere la maggiore forza politica in Europa, e non dubito che i miei colleghi italiani eserciteranno delle responsabilita' importanti nella nuova legislatura al Parlamento Europeo", ha sottolineato il Presidente del Gruppo PPE.
Voglio altresì salutare calorosamente il mio collega e amico Mario Mauro del quale ho sempre ammirato il coraggio e l'attacamento ai principi e agli ideali etici umanisti e pro-europei che condivido pienamente. Lo ringrazio di aver accettato di ritirare la sua candidatura nello spirito di compromesso e di solidarietà europea, facilitando così il processo di nomina del nostro candidato alla successione di Hans-Gert Poettering. Sono sicuro che Mario Mauro continuerà ad essere nei mesi e negli anni a venire, un protagonista impegnato e riconosciuto all'interno del Gruppo PPE e sulla scena politica europea", ha dichiarato Joseph Daul.
Il Gruppo PPE designerà il 7 luglio prossimo, il suo candidato alla Presidenza del Parlamento Europeo per la prima parte della legislatura.

L´attacco finale alla democrazia

Berlusconi e i suoi sferrano il colpo definitivo alla libertà della rete internet per metterla sotto controllo. Nel voto finale al Senato che ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (disegno di legge 733), tra gli altri provvedimenti scellerati come l´obbligo di denuncia per i medici dei pazienti che sono immigrati clandestini e la schedatura dei senta tetto, con un emendamento del senatore Gianpiero D´ Alia (UDC), è stato introdotto l`articolo 50-bis, “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”, che nel testo approdato alla Camera l´articolo è diventato il nr. 60. Anche se D´Alia non fa parte della maggioranza al Governo, la trasversalità del disegno liberticida è chiaro a tutti.
In pratica se un qualunque cittadino che magari scrive un blog dovesse invitare a disobbedire a una legge che ritiene ingiusta, i provider dovranno bloccarlo. Questo provvedimento può obbligare i provider a oscurare un sito ovunque si trovi, anche se all´estero.
Il Ministro dell´interno, in seguito a comunicazione dell´autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l´interruzione della attività del blogger, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. L´attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore.
La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000 per i provider e il carcere per i blogger da 1 a 5 anni per l´istigazione a delinquere e per l´apologia di reato, da 6 mesi a 5 anni per l´istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all´odio fra le classi sociali.
Si stanno dotando delle armi per bloccare in Italia Facebook, Youtube, Twitter e tutta l´informazione libera che viaggia in rete e che nel nostro Paese è ormai l´unica fonte informativa non censurata. Il nostro è l´unico Paese al mondo, dove una media company ha chiesto 500 milioni di risarcimento a YouTube.
Quindi il Governo interviene per l´ennesima volta, in una materia che vede un´impresa del presidente del Consiglio in conflitto giudiziario e d´interessi.
Dopo la proposta di legge Cassinelli e l´istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra poco meno di 60 giorni dovrà presentare al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al “pacchetto sicurezza” di fatto rende esplicito il progetto del Governo di “normalizzare” il fenomeno che intorno ad internet sta facendo crescere un sistema di relazioni e informazioni sempre più capillari che non si riesce a dominare.
L'talia come la Cina e la Birmania? Oggi gli unici media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati Beppe Grillo e la rivista specializzata Punto Informatico.
Far girare questa notizia è un dovere perchè è in gioco la democrazia.

L'ITALIANO DI QUALCHE DECENNIO FA

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”

(Ottobre 1912 – Dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli USA)