di Paolo Crecchi (crecchi@ilsecoloxix.it)
Sarà il faccione barbuto di Beppe Grillo a campeggiare nei cartelloni
del Movimento Cinque Stelle, nei giorni roventi della prossima campagna
elettorale, anche se il Vate di Sant’Ilario non diventerà mai presidente
del consiglio. A spiegare perché è Paolo Becchi, professore di
filosofia del diritto a Giurisprudenza e intellettuale d’area, si
sarebbe detto una volta: «I partiti e i gruppi politici che si candidano
a governare», spiega citando l’articolo 14 bis del cosiddetto
Porcellum, «depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il
nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza
politica. Non premier, capo: le stesse parole usate da Grillo
all’indomani del trionfo siciliano, quando spiegò che la sua figura
sarebbe stata quella del garante».
Una mossa geniale ma del resto, dal punto di vista del marketing, il duo
Grillo & Casaleggio sono dei maestri. Becchi è qualcosa di più,
però, docente universitario di pensiero lucido, specializzato in temi
scabrosi come eutanasia, clonazione, morte cerebrale. Solo una persona
curiosa e intellettualmente onesta come lui poteva scovare quello che
pensava Norberto Bobbio, e dunque un padre della
patria, a proposito della tanto vituperata democrazia diretta. Utopia?
Ma certo, «salvo a fare l’ipotesi (e non escludo che un giorno ci si
arrivi) di un immenso computer cui ogni cittadino, standosene a casa o
andando al più vicino terminal, possa trasmettere il suo voto premendo
un bottone». Il grande filosofo lo scriveva nel 1976, in un saggio
pubblicato da Einaudi dal titolo oggi improponibile, «Quale
socialismo?».
Difficile continuare a bollare il Movimento come antipolitico, dunque,
se si considera che Bobbio - al di là di qualche scivolone, come
l’orgogliosa professione di fascismo esternata per lettera a Mussolini
allo scopo di ottenere una cattedra - è sempre stato considerato un
punto di riferimento per la democrazia. «Io non li conoscevo, Grillo e
Casaleggio. Mai parlato con nessuno dei due. Poi mi telefona uno dei
Cinque Stelle e mi chiede se può farmi un’intervista. Quando vuole,
rispondo. Le domande sono sul governo Monti, sull’euro, sui modelli
alternativi di sviluppo. Domande intelligenti, che presuppongono una
preparazione. Credo che non troveremo mai una Minetti nel Movimento, e
già questo è qualcosa». Il professor Becchi parla nell’ufficio che fu
di Giovanni Tarello, il filosofo del diritto scomparso a soli 52 anni
per un tumore ai polmoni. Ricorda sospirando come nei cassetti e sugli
scaffali continuassero a essere ritrovate, fino a pochi anni fa, stecche
di Gauloises blu. «Grillo e i suoi», riflette, «sono molto legati ai
bisogni del territorio. Hanno occupato il posto di un ecologismo che in
Italia non c’è mai stato, o quanto meno non è mai stato degnamente
interpretato dai Verdi. Oggi rappresentano tutto meno che
l’antipolitica, anzi sono la massima espressione della voglia di far
politica. Vedete, la tanto sbandierata democrazia rappresentativa è un
feticcio, ha partorito una classe dirigente convinta che la sua sia una
professione. Avete presente Montaldo, l’assessore regionale alla sanità?
Ha sempre fatto l’assessore, anche in Comune, crede che il suo mestiere
sia quello di fare l’assessore. Sarà meglio oppure no un gruppo di
lavoro che elabora una proposta di legge confidando su esperti, studi,
ricerche e poi l’affida a un politico a tempo, che funziona da
portavoce?».
Secondo Becchi la legge elettorale in via di elaborazione ha l’unico
scopo di fermare il Movimento. «C’è in giro un malessere diffuso, ci si
comincia a rendere conto che la politica di Monti e la subalternità
all’euro hanno bruciato i destini di almeno due generazioni. E la
partitocrazia anziché riflettere su se stessa studia come fermare
Grillo, ha compreso che se arriva al 25 o 30 per cento il premio di
maggioranza è suo... Secondo me la legge elettorale non la cambiano più,
però. Il centrodestra è imploso, al limite potrebbe favorire soltanto
Bersani: gli altri non ci staranno mai».
«Dicono che nel Movimento non c’è democrazia. Ma a parte il fatto che i
militanti hanno una testa, e sicuramente migliore di quella delle varie
Minetti che ci hanno governato di recente, com’è che tutti parlano
della Salsi a Bologna e nessuno di Bugani, uno che dalla mattina alla sera fa quello che gli è stato chiesto dagli elettori anziché andare a perdere tempo in televisione? Lo spiego io: perché il sistema sta cercando di aprire una breccia nel Movimento.
Pensate a Santoro, Floris, Vespa senza gli attori del teatrino. Cosa
fanno? E pensate agli attori del teatrino che vanno a pavoneggiarsi in
televisione mentre gli altri lavorano in Parlamento. Finisce un’era,
capite»?
Becchi sostiene che «se la Rete incontra la piazza allora Napolitano
Primo lo sente eccome, il boom». Un presidente della Repubblica che ha
già deciso come deve andare, «perché nella loro testa sono il capo dello
stato e i partiti che devono legittimare il governo, mica i cittadini.
Così Monti non deve candidarsi, perché la sua eventuale legittimazione
passerà attraverso gli accordi di palazzo».
Cinquantasei anni, una barba bianca d’altri tempi, il Movimento si è
trovato in casa un ideologo più presentabile di Casaleggio, personaggio
che resta ambiguo e ogni tanto scivola nel visionario. «Alla peggio, in
parlamento ci sarà una grande forza di opposizione. Qualcosa cambierà
comunque: io li voto.».
lunedì 24 dicembre 2012
Le dieci regole per il controllo sociale
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della
distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai
problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed
economiche.
Noam Chomsky
1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.
Noam Chomsky
Noam Chomsky
1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.
Noam Chomsky
sabato 22 dicembre 2012
Dieci gravi errori di Monti e del suo governo
da @paolomadron
Natale, fine anno, tempo di bilanci. Specie adesso che Mario Monti si è dimesso. In attesa di scendere in campo dismettendo la casacca del tecnico o invece, ma questo lo sapremo ufficialmente domenica 23 settembre nel suo discorso alla nazione, decidere di non compiere quel gesto che sono in molti (noi compresi, nel nostro piccolo) a sconsigliare.
STABILITÀ, VASO DI PANDORA. Intanto, attorno a lui, dentro i palazzi del potere, le dimissioni hanno scatenato un liberi tutti le cui conseguenze si sono viste nel disegno di legge sulla Stabilità, che alla fine è diventato un vaso di Pandora dove è stato infilato dentro di tutto.
Alla faccia della spending review, del rigore, della sobrietà che dovevano essere le cifre connotanti di un esecutivo, malgrè soi, impantanatosi nella palude della partitocrazia.
Di seguito, quelli che a nostro avviso sono stati i 10 errori che più hanno inficiato l’azione di Monti, cui peraltro va il merito (ma glielo riconoscono tutti tranne una parte) di aver ridato all’Italia la perduta credibilità internazionale.
1. L’aver messo sin dall’inizio troppa carne al fuoco in un governo nato per rispondere a una ben precisa emergenza finanziaria, sulla cui onda il Paese rischiava il default. Il risultato è un pacchetto di riforme alcune delle quali (in primis quella del lavoro) si sono mostrate, oltre che complicate, inefficaci.
2. Non avere eletto la questione del debito pubblico come la più urgente da risolvere, mettendo in campo tutte le azioni (e le proposte in questo senso erano molte) per il suo contenimento e, in prospettiva, al sua drastica riduzione. Conseguenza: a ottobre l’ammontare di quel debito ha sfondato la soglia monstre dei 2 mila miliardi di euro, record di sempre.
3. Aver fatto molto sulla carta, ma poco nella realtà, per la riduzione della spesa pubblica, che del debito di cui sopra è il motore vorace. Anche qui, al di là del proclami, contano i numeri, che sono impietosi. Questo a fronte di una pressione fiscale, diretta e indiretta, la cui entità ha assunto dimensioni vessatorie.
4. Aver fatto poco o nulla per stimolare la crescita economica, che è una delle sottostanti fondamentali per avviare un percorso virtuoso sulla riduzione del debito. Il tanto sbandierato omonimo piano, la cui stima di intervento enfaticamente parlava di 80 miliardi, si è via via ridotto col passare dei mesi a ben poca cosa. Così, alla fine, non solo il Paese non è cresciuto ma ha registrato una performance peggiore di quelle dei principali partner dell’Eurozona.
5. Le liberalizzazioni. Poche, scadenti, spesso confuse o rimaste a metà. Da questo punto di vista ci si aspettavano grandi novità, non fosse altro che un governo tecnico, libero dalla preoccupazione del consenso, poteva agire infischiandosene dei rigurgiti corporativi. Dai taxi alle farmacie, ad altri settori della vita pubblica, così non è stato.
6. L’inefficacia dell’intervento sui costi della politica. Di questo per la verità il governo Monti non porta interamente la colpa, visto che la fine anticipata della legislatura ha determinato la sospensione dell’iter di provvedimenti (come la riduzione delle Province) che andavano nella giusta direzione. L’esecutivo però sul tema si è comunque mosso tardi, e solo quando gli scandali di mala spesa dei soldi pubblici da parte della politica hanno evidenziato l’improcrastinabilità del suo intervento.
7. Il ritardo con cui sono state affrontate fondamentali questioni di politica industriale, verso le quali da un lato il governo ha mostrato passività se non peggio inettitudine (la vicenda Fiat). Dall’altro, come nel caso Ilva, è intervenuto sull’esplodere della loro emergenza. Anche in materia di aziende pubbliche, Monti è sembrato troppo remissivo.
Non è intervenuto su Finmeccanica, anche alla luce degli scandali giudiziari che hanno investito l’azienda. È intervenuto, male, sulla Rai, cambiandone d’imperio i vertici ma lasciando intatto l’anomalo meccanismo di governance che ha reso la tivù di Stato esclusivo terreno di pascolo dei partiti.
8. Ha sbagliato nella scelta di alcuni ministri, Elsa Fornero su tutti. Di altri non ha saputo tenere a freno la smania di protagonismo, la tendenza a fare annunci poi rivelatisi intempestivi, quando non veri. In alcuni casi, e proprio il ministro del Lavoro è buon testimone, portatori di un’arroganza pari se non superiore alla loro sprovvedutezza.
9. L’aver avuto e reiterato l’Eurocrazia come unica stella polare, come se Monti non fosse il primo ministro degli italiani, ma il loro commissario straordinario per conto di Bruxelles e delle sue istituzioni. Ciò ha reso ancora più evidente quella perdita di sovranità che fu uno dei motivi, anzi, il principale, del suo arrivo a Palazzo Chigi. Insomma, il Professore ha sempre dato l’impressione che gli importasse più quanto pensavano Angela Merkel, Herman Van Rompuy, José Manuel Durão Barroso e compagnia che non i suoi concittadini.
10. L’aver ridotto la politica a una mera rendicontazione finanziaria, come se il cuore pulsante del Paese fosse stato sostituito da un algoritmo che ne catalizza tutte le energie e ne condiziona ogni mossa. Non importa se questo ha aperto laceranti ferite nel tessuto connettivo della nazione, percepita come qualcosa sacrificabile sull’altare di una visione accademica di un’Europa che è di là da venire.
Sabato, 22 Dicembre 2012
Natale, fine anno, tempo di bilanci. Specie adesso che Mario Monti si è dimesso. In attesa di scendere in campo dismettendo la casacca del tecnico o invece, ma questo lo sapremo ufficialmente domenica 23 settembre nel suo discorso alla nazione, decidere di non compiere quel gesto che sono in molti (noi compresi, nel nostro piccolo) a sconsigliare.
STABILITÀ, VASO DI PANDORA. Intanto, attorno a lui, dentro i palazzi del potere, le dimissioni hanno scatenato un liberi tutti le cui conseguenze si sono viste nel disegno di legge sulla Stabilità, che alla fine è diventato un vaso di Pandora dove è stato infilato dentro di tutto.
Alla faccia della spending review, del rigore, della sobrietà che dovevano essere le cifre connotanti di un esecutivo, malgrè soi, impantanatosi nella palude della partitocrazia.
Di seguito, quelli che a nostro avviso sono stati i 10 errori che più hanno inficiato l’azione di Monti, cui peraltro va il merito (ma glielo riconoscono tutti tranne una parte) di aver ridato all’Italia la perduta credibilità internazionale.
1. L’aver messo sin dall’inizio troppa carne al fuoco in un governo nato per rispondere a una ben precisa emergenza finanziaria, sulla cui onda il Paese rischiava il default. Il risultato è un pacchetto di riforme alcune delle quali (in primis quella del lavoro) si sono mostrate, oltre che complicate, inefficaci.
2. Non avere eletto la questione del debito pubblico come la più urgente da risolvere, mettendo in campo tutte le azioni (e le proposte in questo senso erano molte) per il suo contenimento e, in prospettiva, al sua drastica riduzione. Conseguenza: a ottobre l’ammontare di quel debito ha sfondato la soglia monstre dei 2 mila miliardi di euro, record di sempre.
3. Aver fatto molto sulla carta, ma poco nella realtà, per la riduzione della spesa pubblica, che del debito di cui sopra è il motore vorace. Anche qui, al di là del proclami, contano i numeri, che sono impietosi. Questo a fronte di una pressione fiscale, diretta e indiretta, la cui entità ha assunto dimensioni vessatorie.
4. Aver fatto poco o nulla per stimolare la crescita economica, che è una delle sottostanti fondamentali per avviare un percorso virtuoso sulla riduzione del debito. Il tanto sbandierato omonimo piano, la cui stima di intervento enfaticamente parlava di 80 miliardi, si è via via ridotto col passare dei mesi a ben poca cosa. Così, alla fine, non solo il Paese non è cresciuto ma ha registrato una performance peggiore di quelle dei principali partner dell’Eurozona.
5. Le liberalizzazioni. Poche, scadenti, spesso confuse o rimaste a metà. Da questo punto di vista ci si aspettavano grandi novità, non fosse altro che un governo tecnico, libero dalla preoccupazione del consenso, poteva agire infischiandosene dei rigurgiti corporativi. Dai taxi alle farmacie, ad altri settori della vita pubblica, così non è stato.
6. L’inefficacia dell’intervento sui costi della politica. Di questo per la verità il governo Monti non porta interamente la colpa, visto che la fine anticipata della legislatura ha determinato la sospensione dell’iter di provvedimenti (come la riduzione delle Province) che andavano nella giusta direzione. L’esecutivo però sul tema si è comunque mosso tardi, e solo quando gli scandali di mala spesa dei soldi pubblici da parte della politica hanno evidenziato l’improcrastinabilità del suo intervento.
7. Il ritardo con cui sono state affrontate fondamentali questioni di politica industriale, verso le quali da un lato il governo ha mostrato passività se non peggio inettitudine (la vicenda Fiat). Dall’altro, come nel caso Ilva, è intervenuto sull’esplodere della loro emergenza. Anche in materia di aziende pubbliche, Monti è sembrato troppo remissivo.
Non è intervenuto su Finmeccanica, anche alla luce degli scandali giudiziari che hanno investito l’azienda. È intervenuto, male, sulla Rai, cambiandone d’imperio i vertici ma lasciando intatto l’anomalo meccanismo di governance che ha reso la tivù di Stato esclusivo terreno di pascolo dei partiti.
8. Ha sbagliato nella scelta di alcuni ministri, Elsa Fornero su tutti. Di altri non ha saputo tenere a freno la smania di protagonismo, la tendenza a fare annunci poi rivelatisi intempestivi, quando non veri. In alcuni casi, e proprio il ministro del Lavoro è buon testimone, portatori di un’arroganza pari se non superiore alla loro sprovvedutezza.
9. L’aver avuto e reiterato l’Eurocrazia come unica stella polare, come se Monti non fosse il primo ministro degli italiani, ma il loro commissario straordinario per conto di Bruxelles e delle sue istituzioni. Ciò ha reso ancora più evidente quella perdita di sovranità che fu uno dei motivi, anzi, il principale, del suo arrivo a Palazzo Chigi. Insomma, il Professore ha sempre dato l’impressione che gli importasse più quanto pensavano Angela Merkel, Herman Van Rompuy, José Manuel Durão Barroso e compagnia che non i suoi concittadini.
10. L’aver ridotto la politica a una mera rendicontazione finanziaria, come se il cuore pulsante del Paese fosse stato sostituito da un algoritmo che ne catalizza tutte le energie e ne condiziona ogni mossa. Non importa se questo ha aperto laceranti ferite nel tessuto connettivo della nazione, percepita come qualcosa sacrificabile sull’altare di una visione accademica di un’Europa che è di là da venire.
Sabato, 22 Dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
Siete in grado di reggere?
Federica Salsi e Giovanni Favia non avevano "altre idee" su programmi o progetti da realizzare all'interno del Movimento Cinque Stelle: per quello esistono piattaforme locali che ogni gruppo utilizza per far emergere e poi votare le singole proposte, la maggior parte delle quali sono assolutamente sconosciute sia a Grillo che a Casaleggio. Per esempio, il gruppo del Movimento Cinque Stelle della Regione Lombardia sta costruendo il suo programma regionale online, oltre che le sue personali primarie, senza che nessuno ci metta becco (e nessuno li intervista). Anzi Grillo, a differenza di Bersani che organizza "parlamentarie" dove la maggior parte dei seggi sono già assegnati alla solita vecchia nomenclatura di partito, non conosce che pochissimi di quelli che si sono candidati alle Parlamentarie del Movimento Cinque Stelle e che poi hanno vinto.
Quello che la Salsi e Favia hanno fatto, con tutti i distinguo del caso, non era avere "altre idee" su programmi da proporre costruttivamente, ma era avere "altre idee" su cosa dovesse essere il Movimento, ovvero volevano farne un'altra cosa, forse più funzionale alle loro esigenze personali. Per esempio, immagino che il limite dei due mandati potesse andare stretto. O magari, la possibile realizzazione di strutture di potere intermedio, come organi dirigenziali che sarebbero presto diventati gangli distributori di prebende, benedizioni e scomuniche. Ma sopattutto, hanno definito Grillo, Casaleggio e il Movimento Cinque Stelle in tutti i modi possibili, da feroci dittatori a Scientology, passando per interviste "presumibilmente" rubate, a dichiarazioni spontanee, a ospitate su tutti i media compiacenti, alla faccia dell'uno vale uno. In un "partito", per molto meno e molto prima, sarebbero stati cacciati via a calci.
Già, perché in altri "partiti" non si viene cacciati perché si violano punti precisi dello statuto, ma anche solo perché si denunciano attività palesemente illegali del partito stesso, anche se si definisce "democratico" (come una certa democrazia d'altri tempi, mai estinta, si definiva "cristiana"), per le quali si verificano epurazioni di massa che al confronto le fosse ardeatine erano niente (con tutto il rispetto per le vittime di quella disgraziata parentesi storica). Oppure perché semplicemente, come è accaduto ad alcuni colleghi sindaci di Renzi, in Toscana, non si è d'accordo con il club di affari (quelli veri) che si scambiano le figurine per costruire la TAV.
Conti alla mano, gli attivisti del Movimento Cinque Stelle cui Grillo ha ritirato l'uso del simbolo saranno una decina o giù di lì. Il totale degli attivisti è invece di 250mila persone. Parliamo dello 0,004 per cento. Di cui neppure sono state richieste le dimissioni, perché continuano a fare il loro lavoro. Se fate attenzione, sono sempre loro: Favia, Salsi, Tavolazzi (ex Partito Comunista Italiano, tanto per capirci sul modo di intendere la gestione della politica), declinati dai media in tutte le salse e riproposti con interviste continue, ossessive, quasi quotidianamente. Abbiamo capito che loro "dissentono" ma, se me lo consentite, c'è dell'altro? Dopo vent'anni di Berlusconi e di democrazia violata a livello istituzionale, dopo trent'anni di Piano di Rinascita Democratica che ha palesemente raggiunto l'obiettivo di annullare ogni forma di opposizione, mediante un simulacro bipartitico che doveva "dare l'illusione della democrazia" (guardatevi Il Discepolo 1816), dopo tonnellate di vere epurazioni da parte di tutti i partiti di ogni ordine e grado, di cui la maggior parte "epurazioni a monte", cioè l'impossibilità stessa di tesserarsi se non si dimostra assoluta e cieca conformità ai valori della spartizione dei fondi e del potere, vassalleggiando a destra e a manca, adesso vuoi vedere che il problema fondamentale di tutti i media è quello 0,004 percento di persone allontanate in maniera trasparente, cioè mediante pubblicazione in rete e senza aspettare sagaci e costose inchieste ad orologeria di qualche giornalista con la schiena dritta, ma orientata a piacere?
Come mai tutta questa attenzione sconfinata verso lo 0,004% di un Movimento che ha fatto eleggere i suoi candidati al Parlamento, quando tutti gli altri hanno solo "nominati", e che ha rifiutato centinaia di milioni di euro in rimborsi elettorali, ragion per cui ora è chiaramente in affanno nella realizzazione dei progetti tecnici a sostegno (come le piattaforme di partecipazione condivise a livello nazionale, che arriveranno presto)? Qui non è questione di essere di parte, qui è questione di avere senso di equità e giustizia. E' questione di accendere quel residuo di capacità critica che 60 anni di televisione potrebbero non avere ancora annichilito del tutto e rimetterlo in funzione. Il Movimento Cinque Stelle è libero di stabilire i suoi progammi e i suoi rappresentanti in completa e totale autonomia. Ma è come un'autostrada: sei libero di farvi transitare sopra le merci che preferisci, di stabilire a che velocità andare e dove dirigerti, ma non puoi metterti a spaccare i guard rails, così come all'interno di una cellula esiste il libero scambio di elementi con l'esterno, secondo i principi dell'osmosi, ma esiste comunque una membrana che la identifica e non la puoi smantellare a tuo piacimento senza uccidere la cellula stessa e il suo dna interno.
Guardate e fate vedere il video qui sotto a tutti: se non siete completamente disonesti, soprattutto con voi stessi, non potrete riconsiderare le cose nella loro giusta prospettiva.
Quando tre anni fa è nato il Movimento Cinque Stelle, si era prefisso uno scopo: arrivare in Parlamento. Mancano due mesi. Mi rivolgo ai suoi attivisti e ai suoi simpatizzanti (tra questi ultimi mi annovero io). Avete la forza psicologica di reggere alla carica dei due minuti di odio orwelliani che il sistema vi sta rovesciando addosso? Perché se non ce l'avete, allora mollate tutto e lasciate pure l'Italia com'è, nelle mani di quelli che l'hanno portata al punto in cui ci troviamo oggi.
L'insostenibile pesantezza di Monti
Un'occhiata ai sondaggi
http://www.tzetze.it/2012/12/infografica-pd-pdl-m5s-sondaggi-elettorali-a-confronto.html
e un'occhiata www.beppegrillo.it
La legge finanziaria per il 2013 si chiama Legge di stabilità. E' scritto da dei pazzi in libertà. Chi la legge rischia l'insanità mentale. Un esempio tra i tanti, l'inizio del comma 11 dell'articolo "Finanziamento di esigenze indifferibili": "Al fine di finanziare interventi di natura assistenziale in favore delle categorie di lavoratori di cui gli articoli 24, commi 14 e 15, del decreto legge 6 dicembre 2011, n, 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.214, 6. comma 2-ter, del decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14 e 22 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135... ". Ieri sera, la Legge è stata approvata dalla Commissione di Bilancio del Senato con le opportune modifiche dell'ultim'ora per amici, parenti, lobby e quant'altro. La scrittura del Testo pur nella sua oscurità montiana, nel suo stile kafkiano, nella sua neolingua propria dei burosauri, non riesce a rendere il minestrone legislativo di Rigor Montis del tutto intellegibile. Qualcosa trapela, dagli indizi si riesce a dedurre qualche dato. E quello che si capisce è sconvolgente. Tagli alla Sanità, articolo "Razionalizzazione e riduzione della spesa nel settore sanitario", comma 2, ridotti di 600 milioni per il 2013 e 1.000 milioni di euro a partire dal 2014. Tagli necessari per finanziare l'editoria fallita, con un incremento di 40 milioni rispetto all'anno precedente, e l'inutile Tav in Val di Susa, con due miliardi e 200 milioni in 15 anni. I fondi per le Università sono stati incrementati di soli 100 milioni contro i 400 previsti e per risparmiare si spengono anche i lampioni, si torna ai secoli bui, articolo "Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni", comma 25, punto a, "Spegnimento dell'illuminazione ovvero suo affievolimento, anche automatico, attraverso appositi dispositivi, durante tutte o parte delle ore notturne" per favorire la criminalità. Imperdibile all'articolo "Finanziamento di spese indifferibili", comma 2, punto f, il "Fondo Speciale per lo Sviluppo della Banca per lo Sviluppo dei Caraibi per complessivi euro 4.753.000...". Fondamentale per lo sviluppo economico del Paese l'avvio immediato delle gare per nuove sale da gioco per rimpinguare la finanza pubblica. Meno salute, meno istruzione, più cemento, più Stato biscazziere, più pennivendoli a pagamento. Questa è la finanziaria dello Statista che tutte le banche ci invidiano. Ci vediamo in Parlamento. Fuori o dentro sarà un piacere.
Ps: I cittadini contribuenti, sono loro a pagare la Finanziaria, hanno diritto a un documento comprensibile, di non più di dieci pagine, con nuove spese, tagli e motivazioni in termini di ritorni sociali e economici di ogni articolo. Troppo complicato per il governo dei tecnici?
mercoledì 19 dicembre 2012
La delega a vita
Sono stupito dallo stupore col quale viene accolta la notizia
dell’espulsione di alcuni militanti dal M5S da parte del proprietario
del movimento. Non capisco perchè si gridi allo scandalo, perchè si
richiamino concetti come la democrazia. Forse perchè siamo di fronte
alla fine di qualcosa che assomiglia molto ad un’illusione alla quale
proprio non vogliamo rassegnarci.
Siamo proprio strani. Invece di essere contenti perchè i fatti che stanno avvenendo, diradando la nebbia ci permettono di leggere chiaramente la realtà, siamo tutti in allarme, sfiduciati, se non in preda al panico. Si è rotto l’incantesimo, ancora una volta è svanita l’illusione, come era normale che avvenisse e noi siamo lì a disperarci. Quale illusione? Quella di continuare a pensare (cambiando sigle, metodi, approcci, leader e tecnologie) che delegare i propri problemi a qualcuno, considerato più o meno affidabile dei concorrenti in campo, sia di per sè una soluzione. Pensavamo di poter evitare ancora una volta i sacrifici e invece dobbiamo ricominciare tutto daccapo è questo ci frustra.
Non vogliamo proprio metterci in testa che si può cambiare solamente agendo quotidianamente nel nostro piccolo mondo, sacrificando un pò del nostro tempo, dei nostri soldi, delle nostre idee, delle nostre passioni per un’idea, un obiettivo, uno scopo molto piccolo e molto vicino a noi. Non vogliamo capire che la politica, l’ambiente, il lavoro, la salute, la cultura non sono argomenti a camere stagne da delegare a qualcuno ma sono eventi che attraversano le nostre vite e che se non ce ne interessiamo in prima persona non lo farà nessun altro per noi.
Non ce lo vogliamo mettere in testa perchè siamo un popolo perennemente immaturo e inadeguato. Viviamo nel 2012 ma con una mentalità da fine ’800 che ci impedisce di uscire fuori da schemi tanto consolidati quanto obsoleti. Non abbiamo alcuna voglia di fare sacrifici, non abbiamo un barlume di idea, non abbiamo un metodo, non abbiamo fiducia reciproca e continuiamo a delegare tutto ad altri da cui pretendiamo poi onestà, correttezza, responsabilità, democrazia, lealtà, tutte qualità che non ci appartengono. Agli ambientalisti deleghiamo l’ambiente, ai geometri il paesaggio, ai politici il lavoro, ai medici la salute, ai sacerdoti la religione, alla scuola l’educazione e così via.
La nostra è una delega a vita. Abbiamo bisogno di una balia per muovere qualsiasi passo ma soprattutto abbiamo bisogno di un carnefice a cui addossare tutte le colpe, tutte le responsabilità per la nostra incapacità o ignavia, abbiamo bisogno di vestire, da perfetti immaturi, i panni delle vittime.
Un Paese che si lamenta è un Paese che non vuole cambiare, questa è l’Italia. Chi vuole cambiare agisce, chi non vuole cambiare si lamenta, va alla ricerca di cavilli, di nemici, ha bisogno di creare problemi.
C’è una parte, una grossa parte, di questa nazione che si alza ogni mattina per cambiarla e ce n’è un’altra che si alza la mattina per chiosare, denigrare, ostacolare ciò che fa la parte che agisce. E’ come se le persone che si trovano su una barca remassero ciascuna per conto proprio, la barca gira su se stessa.
Se non ci decidiamo una volta per tutte a prendere in mano il nostro destino lo farà qualcun altro e non sarà particolarmente attento ai nostri bisogni ed alle nostre esigenze.
Non sono solo i partiti ad essere al capolinea ma il concetto, o per meglio dire l’artificio, della “democrazia rappresentativa” che ha fin qui regolato i rapporti tra gli individui e che non funziona più perchè il mondo è cambiato, i bisogni delle persone sono cambiati, il modello e gli strumenti che hanno regolato fin qui i nostri rapporti è cambiato. Il problema siamo noi, sempre più uguali a noi stessi.
Massimiliano Capalbo
Siamo proprio strani. Invece di essere contenti perchè i fatti che stanno avvenendo, diradando la nebbia ci permettono di leggere chiaramente la realtà, siamo tutti in allarme, sfiduciati, se non in preda al panico. Si è rotto l’incantesimo, ancora una volta è svanita l’illusione, come era normale che avvenisse e noi siamo lì a disperarci. Quale illusione? Quella di continuare a pensare (cambiando sigle, metodi, approcci, leader e tecnologie) che delegare i propri problemi a qualcuno, considerato più o meno affidabile dei concorrenti in campo, sia di per sè una soluzione. Pensavamo di poter evitare ancora una volta i sacrifici e invece dobbiamo ricominciare tutto daccapo è questo ci frustra.
Non vogliamo proprio metterci in testa che si può cambiare solamente agendo quotidianamente nel nostro piccolo mondo, sacrificando un pò del nostro tempo, dei nostri soldi, delle nostre idee, delle nostre passioni per un’idea, un obiettivo, uno scopo molto piccolo e molto vicino a noi. Non vogliamo capire che la politica, l’ambiente, il lavoro, la salute, la cultura non sono argomenti a camere stagne da delegare a qualcuno ma sono eventi che attraversano le nostre vite e che se non ce ne interessiamo in prima persona non lo farà nessun altro per noi.
Non ce lo vogliamo mettere in testa perchè siamo un popolo perennemente immaturo e inadeguato. Viviamo nel 2012 ma con una mentalità da fine ’800 che ci impedisce di uscire fuori da schemi tanto consolidati quanto obsoleti. Non abbiamo alcuna voglia di fare sacrifici, non abbiamo un barlume di idea, non abbiamo un metodo, non abbiamo fiducia reciproca e continuiamo a delegare tutto ad altri da cui pretendiamo poi onestà, correttezza, responsabilità, democrazia, lealtà, tutte qualità che non ci appartengono. Agli ambientalisti deleghiamo l’ambiente, ai geometri il paesaggio, ai politici il lavoro, ai medici la salute, ai sacerdoti la religione, alla scuola l’educazione e così via.
La nostra è una delega a vita. Abbiamo bisogno di una balia per muovere qualsiasi passo ma soprattutto abbiamo bisogno di un carnefice a cui addossare tutte le colpe, tutte le responsabilità per la nostra incapacità o ignavia, abbiamo bisogno di vestire, da perfetti immaturi, i panni delle vittime.
Un Paese che si lamenta è un Paese che non vuole cambiare, questa è l’Italia. Chi vuole cambiare agisce, chi non vuole cambiare si lamenta, va alla ricerca di cavilli, di nemici, ha bisogno di creare problemi.
C’è una parte, una grossa parte, di questa nazione che si alza ogni mattina per cambiarla e ce n’è un’altra che si alza la mattina per chiosare, denigrare, ostacolare ciò che fa la parte che agisce. E’ come se le persone che si trovano su una barca remassero ciascuna per conto proprio, la barca gira su se stessa.
Se non ci decidiamo una volta per tutte a prendere in mano il nostro destino lo farà qualcun altro e non sarà particolarmente attento ai nostri bisogni ed alle nostre esigenze.
Non sono solo i partiti ad essere al capolinea ma il concetto, o per meglio dire l’artificio, della “democrazia rappresentativa” che ha fin qui regolato i rapporti tra gli individui e che non funziona più perchè il mondo è cambiato, i bisogni delle persone sono cambiati, il modello e gli strumenti che hanno regolato fin qui i nostri rapporti è cambiato. Il problema siamo noi, sempre più uguali a noi stessi.
Massimiliano Capalbo
martedì 18 dicembre 2012
ME-MMT e M5S
di Paolo Barnard
Parlo alle persone del Movimento Cinque Stelle, vi parlo come Paolo Barnard ma soprattutto a nome della Mosler Economics MMT.
Voglio veramente chiudere una questione, o, se accadrà, aprirla con
voi. L’incipit di questa lettera è duretto, ma solo per fini di memoria
storica. Poi arriviamo alla sostanza.
Diverso tempo fa a Bologna il noto grillino Giovanni Favia mi incontra in una gelateria e mi dice “Salve Barnard, lei sa chi sono?”. Rispondo: “Sì”. Favia riprende: “Noi tutti seguiamo il suo lavoro”.
Ringrazio e fine. Da allora la sequela di contatti con esponenti del
M5S è diventata un fiume, una fiumana. Mi hanno scritto, mi hanno
fermato ai miei convegni, in numeri che ormai saranno centinaia di M5S
chiedendomi, richiedendomi, supplicandomi in diversi di casi, di portare
la ME-MMT nel loro movimento. La mia risposta è sempre stata questa: “No,
siete una manica di inauditi deficienti che hanno l’indipendenza di
pensiero dei Testimoni di Geova. Da voi comanda Casaleggio, voi siete
delle intontite nullità strumentali al suo progetto commerciale”.
Sono
parole sprezzanti e respingenti come poche, lo ammetto appieno. Però ne
sono sempre stato convinto. Addirittura scrissi un finto post di offerta
a Grillo di un Ministero dell’Economia ombra con tutti i nostri
esperti, certo del suo silenzio e per dimostrare che quell’uomo non è
libero di considerare nulla che non sia Casaleggio-friendly, neppure una
discussione con un autorevole movimento di macroeconomisti
internazionali su un tema vitale come l’economia in questa crisi
orrenda.
Ma gli
aderenti al M5S non si sono arresi. Continuano a contattarmi, e,
soprattutto, la cosa che non mi può lasciare indifferente è che
continuano a insistere che “non è vero, siamo in tantissimi
nel M5S con una dignità, con un cervello pensante, e con distanza
critica da Grillo e da Casaleggio”.
Qui io
vado in crisi. L’idea che l’arroganza mi abbia, in questo caso, preso e
accecato su un comportamento profondamente ingiusto verso molte persone
mi tormenta, lo dico qui con sincerità. Ma peggio: l’idea che una mia
arroganza stia impedendo a molte persone impegnate di usufruire
dell’economia salva vite e salva nazione che è la ME-MMT non mi è tollerabile. E allora, cari M5S, ora facciamo la cosa giusta.
L’onere della prova sta dalla vostra parte.
Grillo
non ha alcuna idea che neppure si qualifichi come idea per salvare il
Paese dalla più grave crisi economica dal 1948 a oggi, che significa
crisi della democrazia come mai dal 1948 a oggi. Il vostro movimento non
ha un singolo tecnico in grado domattina di gestire un’asta di titoli, domattina
di controllare un tasso di sconto, di capire e fermare un Target 2 che
può far saltare le banche italiane con tutti i correntisti, o come
rispondere agli obblighi delle Outright Monetary Transactions della BCE.
Non avete un singolo economista in grado domattina di
implementare un programma di piena occupazione, di liquidare la Fiat e
gli altri parassiti dell’economia italiana, di usare la moneta per i
servizi pubblici, di garantire che i mutui stiano a un tasso vicini allo
zero. Di contrastare il golpe finanziario dei Trattati europei con le
loro migliaia di pagine di cavilli legali. Non scherziamo, no! Qui si
parla della vita di milioni di italiani, che va gestita la mattina dopo che siete entrati in parlamento. Con cosa farete tutto questo? Con gli sbraiti di Grillo? E gli elettori cosa vi diranno poi?
Allora ecco: Paolo Barnard, Warren Mosler, Alain Parguez, Mathew Forstater, il Programma ME-MMT di Salvezza Economica Nazionale e 100 anni di macroeconomia di livello mondiale, con tutto il gruppo italiano della ME-MMT, sono a vostra disposizione. Va bene, ok.
Dimostrateci ora che siete “in tantissimi nel M5S con una dignità, con un cervello pensante, e con distanza critica da Grillo e da Casaleggio”.
Portateci i vostri leader regionali, i vostri candidati, la vostra
militanza, riuniteli tutti, con Grillo o senza Grillo, affittate una
sala, pagate le spese, e noi saremo lì per voi a porvi gli strumenti per
governare la cosa che governa tutto nella democrazia, cioè l’economia.
Aspettiamo l’invito, la lista dettagliata di chi fra i vostri leader
saranno presenti, chi fra i vostri candidati, e quanti aderenti al M5S
parteciperanno. Con Beppe o senza Beppe.
Poi, qualsiasi cosa accadrà da ora, avremo appianato per sempre la questione, in una direzione o nell’altra. GrazieFUORI DALLA FINANZA MONDIALE!
di Viviana Vivarelli
Eppure è semplice.
Basterebbe che i media cominciassero a dire la verità, invece di strisciare sotto padrone.
Io lo ripeterò fino alla morte anche se i TROLL continuano a bannarmi, ma la verità alla fine prevarrà su tutti i TROLL di questo mondo:
La famosa Europa è solo l’Europa delle banche
I famosi mercati sono solo le 20 banche maggiori
L’Unione Europea è la realizzazione di un ultraliberismo assassino che tenta di imporre al mondo la dittatura del sistema bancario perché possa continuare impunito a macinare migliaia di miliardi, sottraendoli alla vita della gente per investirli in speculazioni sregolate, dando sempre più potere a una ristretta oligarchia di magnati, a scapito dei diritti e della sopravvivenza di tutti. Noi siamo come i Cristiani al Colosseo, destinati a morte per far divertire una banda di maniaci, che DEVONO GIOCARE!!!!!!
Draghi, Monti, Papademos e i leader europei lavorano solo al servizio di interessi bancari che hanno già avuto 1.019 miliardi di € all’1% per investirli al 6 o 7% in titoli di Stato, per cui lo spread, i rating, le manovre sugli interessi sul debito servono solo a maggiorare quello che intascano le banche nella differenza.
Monti serve a questo, a garantire il massimo di utili alla maggiore banca americana, la Goldman Sachs da cui dipende, e alle banche europee che alimenta, con un prelievo feroce di ricchezza dalle tasche dei cittadini, abbattendone i diritti e portandoli a livelli da Terzo Mondo, così che gli azionisti e gli speculatori del mondo finanziario ricevano il massimo di profitto, ricchezza fatta contro l’economia reale del mondo per l’economia fittizia della finanza. Distruzione di tutti per i giochi perversi di pochi.
A questi turpi giochi i grandi organismi internazionali come il Fondo Monetario o la Banca Mondiale o la Bce si prestano come dittatori che coartano i popoli e li mettono al loro servizio.
Si pensi che la FED (Banca federale americana) ha stampato 16.000 miliardi di dollari per pasturare le banche, senza nemmeno un controllo o un permesso del Congresso americano. ‘Ab soluta’, sciolta da vincoli e limitazioni, peggio del re Sole. E in un Paese che ha fatto del suo primo atto di propaganda l’esaltazione della democrazia!
Il potere bancario domina il mondo, comanda la politica e governa gli Stati tramite i suoi esecutori.
Che Bersani voglia ubbidire uno di questi servi del grande capitalismo è ORRIBILE!
Che gli elettori italiani non lo capiscano è DISASTROSO!
Eppure è semplice.
Basterebbe che i media cominciassero a dire la verità, invece di strisciare sotto padrone.
Io lo ripeterò fino alla morte anche se i TROLL continuano a bannarmi, ma la verità alla fine prevarrà su tutti i TROLL di questo mondo:
La famosa Europa è solo l’Europa delle banche
I famosi mercati sono solo le 20 banche maggiori
L’Unione Europea è la realizzazione di un ultraliberismo assassino che tenta di imporre al mondo la dittatura del sistema bancario perché possa continuare impunito a macinare migliaia di miliardi, sottraendoli alla vita della gente per investirli in speculazioni sregolate, dando sempre più potere a una ristretta oligarchia di magnati, a scapito dei diritti e della sopravvivenza di tutti. Noi siamo come i Cristiani al Colosseo, destinati a morte per far divertire una banda di maniaci, che DEVONO GIOCARE!!!!!!
Draghi, Monti, Papademos e i leader europei lavorano solo al servizio di interessi bancari che hanno già avuto 1.019 miliardi di € all’1% per investirli al 6 o 7% in titoli di Stato, per cui lo spread, i rating, le manovre sugli interessi sul debito servono solo a maggiorare quello che intascano le banche nella differenza.
Monti serve a questo, a garantire il massimo di utili alla maggiore banca americana, la Goldman Sachs da cui dipende, e alle banche europee che alimenta, con un prelievo feroce di ricchezza dalle tasche dei cittadini, abbattendone i diritti e portandoli a livelli da Terzo Mondo, così che gli azionisti e gli speculatori del mondo finanziario ricevano il massimo di profitto, ricchezza fatta contro l’economia reale del mondo per l’economia fittizia della finanza. Distruzione di tutti per i giochi perversi di pochi.
A questi turpi giochi i grandi organismi internazionali come il Fondo Monetario o la Banca Mondiale o la Bce si prestano come dittatori che coartano i popoli e li mettono al loro servizio.
Si pensi che la FED (Banca federale americana) ha stampato 16.000 miliardi di dollari per pasturare le banche, senza nemmeno un controllo o un permesso del Congresso americano. ‘Ab soluta’, sciolta da vincoli e limitazioni, peggio del re Sole. E in un Paese che ha fatto del suo primo atto di propaganda l’esaltazione della democrazia!
Il potere bancario domina il mondo, comanda la politica e governa gli Stati tramite i suoi esecutori.
Che Bersani voglia ubbidire uno di questi servi del grande capitalismo è ORRIBILE!
Che gli elettori italiani non lo capiscano è DISASTROSO!
venerdì 14 dicembre 2012
Monti, agenda o libro dei morti?
Per chi ne avesse voglia e tempo, ecco una piccola rassegna di articoli di esperti economici (in gran parte stranieri, uno di loro Premio Nobel) sulle ragioni del fallimento dell'agenda Monti:
Monti, agenda o libro dei morti? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/13/monti-agenda-o-libro-dei-morti/444970/
Krugman: l’austerità dell’Europa e di Monti è un salasso medioevale http://www.gadlerner.it/2012/12/12/krugman-lausterita-delleuropa-e-di-monti-e-un-salasso-medioevale
Monti se ne è andato? Meglio così. Krugman, Munchau, Evans Pritchard http://keynesblog.com/2012/12/12/monti-se-ne-e-andato-meglio-cosi-krugman-munchau-evans-pritchard/
Mario Monti non deve affrontare una crisi del debito bensì una stagnazione e L'Italia non dovrebbe stare in un sistema monetario fatto dalla Germania http://www.loccidentale.it/node/111357
Ft: Le dimissioni di Monti per salvare l’euro http://www.gadlerner.it/2012/06/26/ft-le-dimissioni-di-monti-per-salvare-leuro
Financial Times: La Politica fa Scoppiare la Bolla Monti http://www.investireoggi.it/economia/financial-times-la-politica-fa-scoppiare-la-bolla-monti/#ixzz2F1Oukv1C
C’è ben altro oltre al budget http://www.presseurop.eu/it/content/article/3079371-c-e-ben-altro-oltre-al-budget
La più grave violazione della sovranità nazionale http://www.byoblu.com/post/2012/12/14/La-piu-grave-violazione-della-sovranita-nazionale.aspx
“Loro” lo sanno che il debito pubblico si può cancellare http://www.libreidee.org/2012/10/loro-lo-sanno-che-il-debito-pubblico-si-puo-cancellare/
Debito, verità-choc: l’Italia è più virtuosa della Germania http://www.libreidee.org/2011/11/debito-verita-choc-litalia-e-piu-virtuosa-della-germania/
giovedì 13 dicembre 2012
BENE, ANZI MALISSIMO
http://www.wallstreetitalia.com/immagine/45884.jpg/0/le-previsioni-di-crescita-stilate-dal-settimanale-the-economist.aspx
Platone, oltre ad essere un grande filosofo, è stato
anche un acuto osservatore dello Stato, e quanto alla democrazia, afferma che: «la
democrazia nasce quando i poveri, dopo aver riportata la vittoria,
ammazzano alcuni avversari, altri ne cacciano in esilio e dividono con i
rimanenti, a condizioni di parità, il governo e le cariche pubbliche, e
queste vi sono determinate per lo più col sorteggio».
Sembrerebbe
proprio quello che è accaduto in Italia dopo il fascismo: il re in
esilio, i partigiani che sono saliti al potere raggruppati nei partiti
principali come il Psi, Dc, PdA, etc... e la successiva spartizione del
potere e del territorio.
La democrazia però ha in sé i germi della sua malattia: si ammala di sé stessa perché diventa vittima della sua stessa libertà.
Platone,
infatti, afferma che uno stato spesso confonde la libertà con la
licenza, approfittando della libertà stessa ma svincolandola dal dovere
nei confronti degli altri, e così si avvia ad un lento declino.
Una frase de La Repubblica, colpisce per la sua attualità: «In
un ambiente siffatto, […] in cui chi comanda finge, per comandare
sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga,
per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri
sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche
tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione,
ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha
più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella
molteplicità e moltiplicazione dei favori».
Un
testo del 370 a. C. descrive esattamente quello che è accaduto dal
dopoguerra ad oggi: un'inesorabile discesa nell’egoismo
individuale, nell’ingiustizia condivisa e accettata perché tutti ne
guadagnano qualcosa, nell’assenza di meritocrazia e soprattutto nel connubio perverso che si instaura tra cittadini e centri del potere.
Tutti
i politici sono corrotti perché tutti i cittadini lo sono ma al tempo
stesso si indigna in quanto si fa schifo di se stessa.
Infine la democrazia si ammala di anarchia e di indifferenza, cui subentra, secondo Platone, la dittatura:
«la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale
disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la
violenza che della dittatura è pronuba e levatrice »
Il
dramma dell’Italia è questo: la democrazia è malata, come recuperarla dal declino, senza affondare nel
totalitarismo, più che politico, economico-finanziario-bancario?
mentecritica.com
mercoledì 12 dicembre 2012
martedì 11 dicembre 2012
Quanti errori, professor Monti
di Marco Travaglio
Immaginiamo un governo politico, di destra o di centro o di sinistra, che l'8 gennaio promette di mettere mano alla Rai "entro poche settimane" e poi non fa nulla per tre mesi e mezzo, anche dopo che il 28 marzo è scaduto il Cda; si dice "disponibile a un decreto" per tagliare i fondi pubblici ai partiti e poi non muove un dito; annuncia che le province saranno abolite, poi si scopre che restano, ma i consiglieri non li eleggono più i cittadini, bensì li nominano i consiglieri comunali; alza l'età pensionabile a 68 anni mentre ogni anno decine di migliaia di lavoratori vengono rottamati a 50, e poi s'accorge che così centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio né pensione; annuncia che gli "esodati" sono 65 mila perché i soldi bastano solo per questi, salvo scoprire che sono 350 mila; ripristina la tassa sulla prima casa (Imu), esentando le fondazioni bancarie, ma non le case di vecchi e invalidi ricoverati in ospizio; divide l'Imu prima in due poi in tre rate e annuncia aliquote più alte ma senza fissarle, gettando i contribuenti nel caos e beccandosi l'accusa di incostituzionalità dai tecnici della Camera.
Ma non è finita: abolisce le imposte sulle borse di studio fino a 11.500 euro, ma non per i 25 mila medici specializzandi scippandogli il 20 per cento di quel poco che lo Stato concede loro per finire gli studi; abolisce dall'articolo 18 il reintegro giudiziario per i licenziati ingiustamente con la scusa dei motivi economici, poi annuncia che la riforma è immodificabile, infine fa retromarcia alla prima minaccia di sciopero; lancia il decreto liberalizzazioni e poi lo lascia svuotare in Parlamento dalle solite lobby, mentre la Ragioneria dello Stato segnala la mancanza di copertura finanziaria per alcune norme; dà parere favorevole a un emendamento Pd che cancella le commissioni bancarie, salvo poi accorgersene e cancellarlo con un altro decreto; lascia passare un altro emendamento Pd che tassa gli alcolici per assumere 10 mila precari della scuola, poi lo fa bocciare in extremis; annuncia la ritassazione dei capitali scudati, ma senza spiegare come si paga, così nessuno riesce a pagarla nemmeno se vuole; tassa le ville all'estero, ma si scorda quelle intestate a società, che sono la maggioranza, così non paga quasi nessuno; toglie ai disoccupati l'esenzione dal ticket sanitario e poi la ripristina scusandosi per il "refuso".
E ancora: vara il decreto "svuotacarceri" per sfollare le celle, col risultato che i detenuti aumentano (66.632 fine febbraio, 66.695 fine marzo); annuncia la tassa di 2 centesimi sugli sms per finanziare la Protezione civile, poi se la rimangia e aumenta le accise sulla benzina; annuncia due volte nella Delega fiscale un "fondo taglia-tasse" per abbassare le aliquote e abolire l'Irap coi proventi della lotta all'evasione, ma due volte lo cancella; depenalizza le condotte "ascrivibili all'elusione fiscale" con "abuso del diritto" che vedono imputati Dolce e Gabbana, indagati dirigenti di Unicredit e Barclays e multati dal fisco Intesa Sanpaolo per 270 milioni e Montepaschi per 260 (lodo salva-banche); inventa una tassa sulle barche di lusso, ma cambia tre volte le regole così pochi la pagano e quasi tutti portano gli yacht all'estero ("lodo Briatore"); nella riforma della Protezione civile scrive che "il soggetto incaricato dell'attività di previsione e prevenzione del rischio è responsabile solo in caso di dolo o colpa grave", rischiando di mandare in fumo il processo in corso a L'Aquila contro la Commissione grandi rischi per omicidio colposo e le indagini sulla mancata prevenzione nel sisma del 2009 (lodo salva-Bertolaso & C.); nel pacchetto anticorruzione Severino cambia il nome e riduce la pena (e la prescrizione: da 15 a 10 anni) alla concussione per induzione, reato contestato a Berlusconi nel processo Ruby (lodo salva-Silvio).
Ecco, in uno a caso di tutti questi casi, che si direbbe di questo governo politico? Che ci vogliono dei tecnici per ripararne tutti i guasti. Ma se questi guasti li fa il governo tecnico, chi li ripara?
Immaginiamo un governo politico, di destra o di centro o di sinistra, che l'8 gennaio promette di mettere mano alla Rai "entro poche settimane" e poi non fa nulla per tre mesi e mezzo, anche dopo che il 28 marzo è scaduto il Cda; si dice "disponibile a un decreto" per tagliare i fondi pubblici ai partiti e poi non muove un dito; annuncia che le province saranno abolite, poi si scopre che restano, ma i consiglieri non li eleggono più i cittadini, bensì li nominano i consiglieri comunali; alza l'età pensionabile a 68 anni mentre ogni anno decine di migliaia di lavoratori vengono rottamati a 50, e poi s'accorge che così centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio né pensione; annuncia che gli "esodati" sono 65 mila perché i soldi bastano solo per questi, salvo scoprire che sono 350 mila; ripristina la tassa sulla prima casa (Imu), esentando le fondazioni bancarie, ma non le case di vecchi e invalidi ricoverati in ospizio; divide l'Imu prima in due poi in tre rate e annuncia aliquote più alte ma senza fissarle, gettando i contribuenti nel caos e beccandosi l'accusa di incostituzionalità dai tecnici della Camera.
Ma non è finita: abolisce le imposte sulle borse di studio fino a 11.500 euro, ma non per i 25 mila medici specializzandi scippandogli il 20 per cento di quel poco che lo Stato concede loro per finire gli studi; abolisce dall'articolo 18 il reintegro giudiziario per i licenziati ingiustamente con la scusa dei motivi economici, poi annuncia che la riforma è immodificabile, infine fa retromarcia alla prima minaccia di sciopero; lancia il decreto liberalizzazioni e poi lo lascia svuotare in Parlamento dalle solite lobby, mentre la Ragioneria dello Stato segnala la mancanza di copertura finanziaria per alcune norme; dà parere favorevole a un emendamento Pd che cancella le commissioni bancarie, salvo poi accorgersene e cancellarlo con un altro decreto; lascia passare un altro emendamento Pd che tassa gli alcolici per assumere 10 mila precari della scuola, poi lo fa bocciare in extremis; annuncia la ritassazione dei capitali scudati, ma senza spiegare come si paga, così nessuno riesce a pagarla nemmeno se vuole; tassa le ville all'estero, ma si scorda quelle intestate a società, che sono la maggioranza, così non paga quasi nessuno; toglie ai disoccupati l'esenzione dal ticket sanitario e poi la ripristina scusandosi per il "refuso".
E ancora: vara il decreto "svuotacarceri" per sfollare le celle, col risultato che i detenuti aumentano (66.632 fine febbraio, 66.695 fine marzo); annuncia la tassa di 2 centesimi sugli sms per finanziare la Protezione civile, poi se la rimangia e aumenta le accise sulla benzina; annuncia due volte nella Delega fiscale un "fondo taglia-tasse" per abbassare le aliquote e abolire l'Irap coi proventi della lotta all'evasione, ma due volte lo cancella; depenalizza le condotte "ascrivibili all'elusione fiscale" con "abuso del diritto" che vedono imputati Dolce e Gabbana, indagati dirigenti di Unicredit e Barclays e multati dal fisco Intesa Sanpaolo per 270 milioni e Montepaschi per 260 (lodo salva-banche); inventa una tassa sulle barche di lusso, ma cambia tre volte le regole così pochi la pagano e quasi tutti portano gli yacht all'estero ("lodo Briatore"); nella riforma della Protezione civile scrive che "il soggetto incaricato dell'attività di previsione e prevenzione del rischio è responsabile solo in caso di dolo o colpa grave", rischiando di mandare in fumo il processo in corso a L'Aquila contro la Commissione grandi rischi per omicidio colposo e le indagini sulla mancata prevenzione nel sisma del 2009 (lodo salva-Bertolaso & C.); nel pacchetto anticorruzione Severino cambia il nome e riduce la pena (e la prescrizione: da 15 a 10 anni) alla concussione per induzione, reato contestato a Berlusconi nel processo Ruby (lodo salva-Silvio).
Ecco, in uno a caso di tutti questi casi, che si direbbe di questo governo politico? Che ci vogliono dei tecnici per ripararne tutti i guasti. Ma se questi guasti li fa il governo tecnico, chi li ripara?
domenica 9 dicembre 2012
Matteo Renzi (parte 2)
Pranzi e cene in ristoranti di lusso, vacanze, viaggi in aereo, conti
astronomici in bar e enoteche, pernottamenti costosi in alberghi, e
ancora regali e spot in tv e sui giornali. Per un totale di ben 20
milioni di euro, tutti a spese del contribuente.
Nei cinque anni in cui è stato presidente della provincia di Firenze, dal 2004 al 2009, Matteo Renzi non si è fatto mancare proprio nulla. Il “rottamatore” del Pd non ha niente da invidiare a un qualsiasi Lusi o Belsito in quanto a gestione allegra dei soldi pubblici, con la differenza che Renzi oggi si è creato l’immagine di “moralizzatore” della politica.
Il vero “big bang”, però, sono le oltre 250 fatture che indicano le “spese di rappresentanza” sostenute dal presidente Matteo Renzi tramite utilizzo di carta di credito personale. Spese che la provincia ha liquidato e rimborsato, approvandone tutte le motivazioni.
Naturalmente non possiamo pubblicare tutte le fatture in un solo articolo, ma come primo “assaggio” possono bastare alcune chicche: i due viaggi in Usa nel 2007, con tanto di giornalista al seguito pagato dal contribuente, totalmente rimborsati dalla provincia. Dagli alberghi alle consumazioni nei bar: Renzi in totale spende 70.000 euro per i due viaggi “di rappresentanza”. E c’è pure una cifra “strana”, pari a 3.000 euro pagati con la carta di credito in un albergo di Boston, senza alcuna voce di spesa. Cosa può costare 3.000 euro, di notte, in un albergo?
Le spese in bar ed enoteche spesso sfiorano il clamoroso, con conti pari a 600 euro. Cosa berrà, Matteo Renzi, a spese del contribuente?
Anche negli Usa non era da meno
Per non parlare di ristoranti e trattorie. Ecco un piccolo assaggio solo del 2008
Ma i conti della provincia, sotto la gestione Renzi, saranno tutti limpidi e cristallini? Nient’affatto.
Per finanziare una manifestazione culturale come il “Genio fiorentino”, la provincia di Firenze guidata da Renzi spende in media 2 milioni di euro ogni anno: di questi, 707.000 euro finiranno nelle casse della Cult-er, associazione con sede legale presso uno studio di commercialisti a Prato ma totalmente priva di strutture. 100.000 euro finiranno pure nelle casse del giornale “La Nazione”.
Per parlare bene del Genio Fiorentino?
100.000 euro nel 2005 finiscono nelle casse di un ”Circo per la Pimpa, spettacolo dedicato al simpatico cane a pois dei fumetti, creato dalla penna di Francesco Tullio Altan, in occasione del trentesimo compleanno della Pimpa. Il ricavato è però inferiore alle attese. Parte dell’incasso avrebbe dovuto finire in beneficenza nelle casse dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, ma non se ne farà nulla.
Non sarebbe stato meglio, per la provincia, donare direttamente la somma all’ospedale?
E ancora: nel 2005 Matteo Renzi crea “Florence Multimedia”, società partecipata al 100% dalla provincia di Firenze e quindi controllate direttamente da lui. Contemporaneamente, smantella l’ufficio stampa della provincia, non sufficientemente idoneo a valorizzare l’immagine personale del “rottamatore”. La sede viene collocata in una struttura della provincia e data in locazione con un pagamento di un canone simbolico pari a 1.000 euro all’anno. Florence Multimedia diventa operativa nel 2006, nel 2007 le viene affidato anche l’ufficio stampa della provincia. Nel solo anno 2008 la provincia di Firenze bonificherà le casse di Florence Multimedia con ben 4 milioni 387mila 453 euro. Per cosa? Per diventare negli anni lo strumento di propaganda personale di Matteo Renzi, nonché il metodo per ingraziarsi giornali e tv locali: gran parte dei milioni di euro finiscono infatti nelle casse delle concessionarie di pubblicità dei giornali. Uno strumento talmente “ad personam” da essere smantellato “casualmente” alla fine della legislatura di Renzi.
Ma su questo la Corte dei Conti sta indagando.
Nei cinque anni in cui è stato presidente della provincia di Firenze, dal 2004 al 2009, Matteo Renzi non si è fatto mancare proprio nulla. Il “rottamatore” del Pd non ha niente da invidiare a un qualsiasi Lusi o Belsito in quanto a gestione allegra dei soldi pubblici, con la differenza che Renzi oggi si è creato l’immagine di “moralizzatore” della politica.
Il vero “big bang”, però, sono le oltre 250 fatture che indicano le “spese di rappresentanza” sostenute dal presidente Matteo Renzi tramite utilizzo di carta di credito personale. Spese che la provincia ha liquidato e rimborsato, approvandone tutte le motivazioni.
Naturalmente non possiamo pubblicare tutte le fatture in un solo articolo, ma come primo “assaggio” possono bastare alcune chicche: i due viaggi in Usa nel 2007, con tanto di giornalista al seguito pagato dal contribuente, totalmente rimborsati dalla provincia. Dagli alberghi alle consumazioni nei bar: Renzi in totale spende 70.000 euro per i due viaggi “di rappresentanza”. E c’è pure una cifra “strana”, pari a 3.000 euro pagati con la carta di credito in un albergo di Boston, senza alcuna voce di spesa. Cosa può costare 3.000 euro, di notte, in un albergo?
Le spese in bar ed enoteche spesso sfiorano il clamoroso, con conti pari a 600 euro. Cosa berrà, Matteo Renzi, a spese del contribuente?
Anche negli Usa non era da meno
Per non parlare di ristoranti e trattorie. Ecco un piccolo assaggio solo del 2008
Ma i conti della provincia, sotto la gestione Renzi, saranno tutti limpidi e cristallini? Nient’affatto.
Per finanziare una manifestazione culturale come il “Genio fiorentino”, la provincia di Firenze guidata da Renzi spende in media 2 milioni di euro ogni anno: di questi, 707.000 euro finiranno nelle casse della Cult-er, associazione con sede legale presso uno studio di commercialisti a Prato ma totalmente priva di strutture. 100.000 euro finiranno pure nelle casse del giornale “La Nazione”.
Per parlare bene del Genio Fiorentino?
100.000 euro nel 2005 finiscono nelle casse di un ”Circo per la Pimpa, spettacolo dedicato al simpatico cane a pois dei fumetti, creato dalla penna di Francesco Tullio Altan, in occasione del trentesimo compleanno della Pimpa. Il ricavato è però inferiore alle attese. Parte dell’incasso avrebbe dovuto finire in beneficenza nelle casse dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, ma non se ne farà nulla.
Non sarebbe stato meglio, per la provincia, donare direttamente la somma all’ospedale?
E ancora: nel 2005 Matteo Renzi crea “Florence Multimedia”, società partecipata al 100% dalla provincia di Firenze e quindi controllate direttamente da lui. Contemporaneamente, smantella l’ufficio stampa della provincia, non sufficientemente idoneo a valorizzare l’immagine personale del “rottamatore”. La sede viene collocata in una struttura della provincia e data in locazione con un pagamento di un canone simbolico pari a 1.000 euro all’anno. Florence Multimedia diventa operativa nel 2006, nel 2007 le viene affidato anche l’ufficio stampa della provincia. Nel solo anno 2008 la provincia di Firenze bonificherà le casse di Florence Multimedia con ben 4 milioni 387mila 453 euro. Per cosa? Per diventare negli anni lo strumento di propaganda personale di Matteo Renzi, nonché il metodo per ingraziarsi giornali e tv locali: gran parte dei milioni di euro finiscono infatti nelle casse delle concessionarie di pubblicità dei giornali. Uno strumento talmente “ad personam” da essere smantellato “casualmente” alla fine della legislatura di Renzi.
Ma su questo la Corte dei Conti sta indagando.
Ecco il debito pubblico questo sconosciuto
da lindipendenza:
-Le regioni tosco-padano-venete sono spremute peggio che le colonie africane del secolo scorso. Ogni anno lasciamo nelle casse romane un valore doppio rispetto a quello di tutti i diamanti estratti, raffinati e venduti al mondo. Roma grazie ai nostri sforzi dispone di un portafoglio del valore di 125 Miliardi di euro ogni anno!
-Già oggi le regioni tosco-padano-venete pagano tutti gli interessi sul debito pubblico. (circa 75 miliardi)
-Le regioni tosco-padano-venete sussidiano il tenore di vita dell’Italia mediterranea. (circa 25 miliardi trasferiti al sud ogni anno)
-Roma spende per l’apparato istituzionale e diplomatico più di quello che resta (oltre 25 miliardi ogni anno)
-Roma finanzia la spesa in eccesso rastrellando risparmio privato, in altre parole vendendo titoli del debito pubblico. Dopo decenni di spese incontrollate, l’importo dei capitali privati affidati allo stato italiano ha raggiunto l’astronomica cifra di 2 Mila Miliardi.
I risparmiatori privati hanno volontariamente sottoscritto i titoli di stato. Ovvero hanno dato a prestito allo stato i loro risparmi in cambio di una promessa: riavere indietro i soldi ad una scadenza stabilita ed avere una piccola rendita periodica sotto forma di interessi. Questo è il debito pubblico: contratti tramite i quali lo stato promette di restituire ai risparmiatori il capitale e gli interessi. Qualcuno dice che il debito è un trucco contabile, che non esiste, che è colpa dell’euro o della Banca Centrale o di un complotto internazionale. Altri dicono che è tutta colpa della perdita della “sovranità monetaria” e che basterebbe tornare alla lira e ridare allo stato la possibilità di stampare banconote, quante gliene occorrono per pagare le sue spese. Queste sono affermazioni che non corrispondono al vero e che non aiutano a trovare alcuna soluzione.
1) Che il debito pubblico sia una posta contabile è vero, ma certo non è un trucco. Talvolta è lecito dubitare delle statistiche ma è difficile credere che sia sbagliato il conto del debito. Infatti, per ogni euro dato allo stato, c’è un soggetto privato che quell’euro l’ha prima guadagnato e poi l’ha volontariamente prestato allo stato medesimo. Di questa transazione c’è una traccia contabile ben precisa e, per fortuna per il risparmiatore, non c’è proprio nessun trucco! E’ un dato di fatto ma non rappresenta alcuna soluzione!
2) Ad ogni debito corrisponde un credito, questo è forse la base sottostante all’affermazione che: “il debito non esiste”. Qualcuno potrebbe considerare di compensare debiti con crediti e quindi azzerare il debito. La compensazione è possibile solo in capo al medesimo soggetto, altrimenti è una frode. Certo nel debito pubblico il debitore è uno solo: lo stato come organizzazione. I creditori però sono molteplici e distinti: siamo noi risparmiatori, privati cittadini che sui nostri risparmi ci contiamo e ci facciamo affidamento per vivere e fare impresa. Cancellare il debito pubblico significa derubare noi risparmiatori dei nostri risparmi. Significa che pensionati, famiglie, imprese e banche italiane ed estere perderebbero il loro legittimo diritto a riavere i loro soldi. Un disastroso colpo di spugna sugli impegni presi dallo stato, a unico vantaggio della nostra fallimentare classe politica. Cancellare il debito sarebbe autolesionismo, tutt’altro che una buona soluzione!
3) Attribuire la responsabilità del debito all’euro è un modo per i politici nostrani di scaricare la loro responsabilità. L’euro è solo l’unità di misura del debito, né più né meno che il litro per i volumi o il chilo per i pesi. Se ci fossero ancora le lire, non avremmo meno debito, semplicemente dovremmo scrivere più zeri e parlare di milioni di miliardi. Un chilo d’oro pesa come un chilo di fieno. Solo che la liretta di paglia è molto più difficile da maneggiare e da difendere; come la paglia, la lira si deteriora nel tempo (ovvero il suo potere d’acquisto è eroso dall’inflazione) e costerebbe cara (ovvero dovremmo pagare tassi di interesse ben più alti di quelli che conosciamo oggi). Tornare alla lira farebbe schizzare i tassi d’interesse sui debiti: molte imprese e molte famiglie in crisi riceverebbero il colpo di grazia. Tutt’altro che una soluzione!
4) Mettere in mezzo la banca centrale europea come responsabile della nostra condizione significa non conoscere la storia. Il governo italiano già dal 1981 ha ceduto la politica monetaria alla banca d’Italia, per l’esattezza questo divorzio ha avuto luogo il 12 febbraio 1981 ad opera del ministro Beniamino Andreatta. In quella data il governo toglieva l’obbligo alla Banca d’Italia di acquistare, emettendo valuta, i titoli del debito pubblico non collocati sul mercato. Da quella data se lo stato italiano avesse speso troppo, non avrebbe potuto semplicemente stampare lire, ma avrebbe dovuto trovare dei risparmiatori cui chiedere in prestito i soldi di cui aveva bisogno. Togliendo la politica monetaria dal diretto controllo politico, si riuscì a fermare l’iperinflazione degli anni 70. Infatti, la politica monetaria gestita dai politici trovava molto semplice coprire i fabbisogni dello stato facendo stampare nuova moneta dalla Banca d’Italia. Dal 1981 questo non è stato più possibile, si è messo un controllo alla moneta, ponendo un limite, già allora, il volume di banconote in circolo nell’economia reale. Sappiamo che questo non fu la soluzione di tutti i mali, poiché a causa dell’inettitudine della classe politica italiana, il debito cominiciò a crescere, anno dopo anno, a livelli eccessivi. Gli anni ’80 furono quelli del “pentapartito” e della “Milano da bere”. Anche allora la classe politica italiana non è stata in grado di ridurre le spese ed ha intrapreso l’unica strada che le restava per finanziare le politiche assistenziali e le spese della casta: ha offerto ai risparmiatori i titoli del debito pubblico.
Nel primo decennio del duemila, con l’euro, la storia si è ripetuta, ma con proporzioni amplificate. Se oggi, lo stato potesse semplicemente stampare nuova moneta per finanziare le sue spese, come vorrebbero coloro che auspicano il ritorno nei nostri confini della “sovranità monetaria”, avremmo immediatamente troppa moneta in circolazione e quindi forte inflazione dei prezzi con danno per tutti, soprattutto per i ceti più deboli. Il passaggio all’euro e alla Banca Centrale Europea nel 2001 non ha sostanzialmente cambiato la possibilità del governo italiano di influenzare la politica monetaria. Questa separazione tra le scelte di politica monetaria e la responsabilità riguardo alla politica fiscale era già in vigore da venti anni. Comunque la Banca Centrale Europea ha portato alcuni sensibili vantaggi. L’impegno di diciassette paesi a centralizzare le politiche monetarie ha generato una grande opportunità per paesi spendaccioni come l’Italia unita. Con l’euro, i tassi d’interesse sono stati bassi e controllati. Dal 2001 al 2008 le imprese e le famiglie italiane hanno pagato tassi d’interesse molto bassi, e di questo ne ha beneficiato anche il governo. Purtroppo però Roma trovandosi a spendere molto meno per gli interessi non ha colto l’opportunità di ridurre le spese, anzi il debito non ha mai smesso di crescere. Uscire dall’euro e dalla Banca Centrale Europea avrebbe l’effetto opposto. I tassi di interesse che l’economia pagherebbe schizzerebbero all’insù, ben oltre il valore che oggi conosciamo come spread, portando lo stato al fallimento e polverizzando i nostri risparmi. Il governo aveva rinunciato alla sovranità monetaria, decenni prima di entrare nell’euro, quando ancora c’era la lira. Vorremmo ridare ai nostri politici la possibilità di stampare banconote per finanziare la loro incompetenza? Non mi pare che sia una buona soluzione!
5) Taluni sostengono però che il ritorno alla lira e l’uscita dall’euro sarebbe vantaggioso per i lavoratori ed i consumatori. Questa ipotesi si basa sull’evidenza che nell’anno del passaggio all’euro i salari sono rimasti invariati (1.600.000 lire furono matematicamente convertiti in circa 800 euro) mentre molti prezzi hanno trasposto le vecchie 1000 lire in una moneta da 1 euro. In molte realtà, questa conversione bislacca avvenne realmente quando si entrò nell’euro. Purtroppo però è opinabile che accada l’opposto se oggi uscissimo dall’euro per ritornare alla lira. Con l’euro, i consumatori che videro diminuire il costo dell’indebitamento privato (per esempio i mutui) si trovarono con più soldi disponibili da spendere. In generale grazie a questo beneficio, non trovarono la forza di reagire all’aumento dei prezzi che avvenne a seguito della conversione dalle lire agli euro. Contrariamente a quanto ci si sarebbe dovuti attendere, all’aumento dei prezzi non seguì una diminuzione della domanda di beni o servizi. Purtroppo se oggi si riportasse in Italia la sovranità monetaria, e si ritornasse alla lira, il governo ricomincerebbe a stampare banconote, cioè monetizzerebbe il debito. La conseguenza sarebbe il riaccendersi dell’inflazione. Tradotto per la gente comune, significa che i prezzi, non più in euro bensì in lire, salirebbero ulteriormente, a danno ancora una volta dei risparmiatori e dei ceti deboli. Tornare alla lira significa far esplodere l’inflazione, non è certo una soluzione indolore!
6) Taluni dicono che l’andamento dei tassi sia pilotato da qualche complotto internazionale. Ma questa tesi non è sostenibile se si comprende che il tasso d’interesse altro non è che il prezzo del denaro, determinato dal gioco della domanda e dell’offerta in un mercato libero. Il mercato dei capitali globale è tra quelli più liberi e concorrenziali. E’ illogico biasimare oggi il livello di prezzo richiesto allo stato italiano per piazzare il debito. Questo mercato è lo stesso che ha permesso al medesimo stato di piazzare analogo debito a tassi ben più convenienti solo alcuni lustri or sono. Appena entrati nell’euro, pareva credibile che l’Italia si avviasse su un sentiero di convergenza verso l’avanzo di bilancio. Quest’aspettativa ha permesso ai mercati di accettare dall’Italia tassi in linea con paesi dalla migliore reputazione. Ora il tempo è passato senza segni credibili dal lato della politica fiscale italiana: l’apertura di credito è scaduta. In più il mondo è nel mezzo di una crisi globale. Non c’è da stupirsi se oggi i risparmiatori e gli investitori preferiscono dare i loro soldi ad istituzioni ed organizzazioni che hanno una storia di affidabilità ben più solida. L’automatico riflesso di questo stato di cose è la difficoltà dell’Italia nel piazzare il suo debito, e per convincere gli investitori ad accordarle la loro preferenza, (ovvero a fidarsi ancora delle promesse dello stato) deve rendere il suo debito più interessante e promettere interessi più elevati. Quindi nessun complotto dietro l’impennata dei tassi: semplicemente la dinamica dell’equilibrio della domanda e dell’offerta. E’ un fatto che può non piacere, ma non rappresenta la soluzione!
La soluzione al debito e la via maestra per uscire dalla crisi solo una. Bisogna ridurre drasticamente la spesa statale. Occorre riportare il bilancio statale in attivo riducendo la spesa pubblica. Meno soldi allo stato significa tagliare i tentacoli della politica e della burocrazia. Questo è quello che in Germania chiamano “austerità”. Purtroppo da noi le politiche di “austerity”, parola tradotta in inglese così da potergli dare il significato che più fa comodo, sono state messe in atto al contrario: sono aumentate solo le tasse lasciando invariate le spese
-Le regioni tosco-padano-venete sono spremute peggio che le colonie africane del secolo scorso. Ogni anno lasciamo nelle casse romane un valore doppio rispetto a quello di tutti i diamanti estratti, raffinati e venduti al mondo. Roma grazie ai nostri sforzi dispone di un portafoglio del valore di 125 Miliardi di euro ogni anno!
-Già oggi le regioni tosco-padano-venete pagano tutti gli interessi sul debito pubblico. (circa 75 miliardi)
-Le regioni tosco-padano-venete sussidiano il tenore di vita dell’Italia mediterranea. (circa 25 miliardi trasferiti al sud ogni anno)
-Roma spende per l’apparato istituzionale e diplomatico più di quello che resta (oltre 25 miliardi ogni anno)
-Roma finanzia la spesa in eccesso rastrellando risparmio privato, in altre parole vendendo titoli del debito pubblico. Dopo decenni di spese incontrollate, l’importo dei capitali privati affidati allo stato italiano ha raggiunto l’astronomica cifra di 2 Mila Miliardi.
I risparmiatori privati hanno volontariamente sottoscritto i titoli di stato. Ovvero hanno dato a prestito allo stato i loro risparmi in cambio di una promessa: riavere indietro i soldi ad una scadenza stabilita ed avere una piccola rendita periodica sotto forma di interessi. Questo è il debito pubblico: contratti tramite i quali lo stato promette di restituire ai risparmiatori il capitale e gli interessi. Qualcuno dice che il debito è un trucco contabile, che non esiste, che è colpa dell’euro o della Banca Centrale o di un complotto internazionale. Altri dicono che è tutta colpa della perdita della “sovranità monetaria” e che basterebbe tornare alla lira e ridare allo stato la possibilità di stampare banconote, quante gliene occorrono per pagare le sue spese. Queste sono affermazioni che non corrispondono al vero e che non aiutano a trovare alcuna soluzione.
1) Che il debito pubblico sia una posta contabile è vero, ma certo non è un trucco. Talvolta è lecito dubitare delle statistiche ma è difficile credere che sia sbagliato il conto del debito. Infatti, per ogni euro dato allo stato, c’è un soggetto privato che quell’euro l’ha prima guadagnato e poi l’ha volontariamente prestato allo stato medesimo. Di questa transazione c’è una traccia contabile ben precisa e, per fortuna per il risparmiatore, non c’è proprio nessun trucco! E’ un dato di fatto ma non rappresenta alcuna soluzione!
2) Ad ogni debito corrisponde un credito, questo è forse la base sottostante all’affermazione che: “il debito non esiste”. Qualcuno potrebbe considerare di compensare debiti con crediti e quindi azzerare il debito. La compensazione è possibile solo in capo al medesimo soggetto, altrimenti è una frode. Certo nel debito pubblico il debitore è uno solo: lo stato come organizzazione. I creditori però sono molteplici e distinti: siamo noi risparmiatori, privati cittadini che sui nostri risparmi ci contiamo e ci facciamo affidamento per vivere e fare impresa. Cancellare il debito pubblico significa derubare noi risparmiatori dei nostri risparmi. Significa che pensionati, famiglie, imprese e banche italiane ed estere perderebbero il loro legittimo diritto a riavere i loro soldi. Un disastroso colpo di spugna sugli impegni presi dallo stato, a unico vantaggio della nostra fallimentare classe politica. Cancellare il debito sarebbe autolesionismo, tutt’altro che una buona soluzione!
3) Attribuire la responsabilità del debito all’euro è un modo per i politici nostrani di scaricare la loro responsabilità. L’euro è solo l’unità di misura del debito, né più né meno che il litro per i volumi o il chilo per i pesi. Se ci fossero ancora le lire, non avremmo meno debito, semplicemente dovremmo scrivere più zeri e parlare di milioni di miliardi. Un chilo d’oro pesa come un chilo di fieno. Solo che la liretta di paglia è molto più difficile da maneggiare e da difendere; come la paglia, la lira si deteriora nel tempo (ovvero il suo potere d’acquisto è eroso dall’inflazione) e costerebbe cara (ovvero dovremmo pagare tassi di interesse ben più alti di quelli che conosciamo oggi). Tornare alla lira farebbe schizzare i tassi d’interesse sui debiti: molte imprese e molte famiglie in crisi riceverebbero il colpo di grazia. Tutt’altro che una soluzione!
4) Mettere in mezzo la banca centrale europea come responsabile della nostra condizione significa non conoscere la storia. Il governo italiano già dal 1981 ha ceduto la politica monetaria alla banca d’Italia, per l’esattezza questo divorzio ha avuto luogo il 12 febbraio 1981 ad opera del ministro Beniamino Andreatta. In quella data il governo toglieva l’obbligo alla Banca d’Italia di acquistare, emettendo valuta, i titoli del debito pubblico non collocati sul mercato. Da quella data se lo stato italiano avesse speso troppo, non avrebbe potuto semplicemente stampare lire, ma avrebbe dovuto trovare dei risparmiatori cui chiedere in prestito i soldi di cui aveva bisogno. Togliendo la politica monetaria dal diretto controllo politico, si riuscì a fermare l’iperinflazione degli anni 70. Infatti, la politica monetaria gestita dai politici trovava molto semplice coprire i fabbisogni dello stato facendo stampare nuova moneta dalla Banca d’Italia. Dal 1981 questo non è stato più possibile, si è messo un controllo alla moneta, ponendo un limite, già allora, il volume di banconote in circolo nell’economia reale. Sappiamo che questo non fu la soluzione di tutti i mali, poiché a causa dell’inettitudine della classe politica italiana, il debito cominiciò a crescere, anno dopo anno, a livelli eccessivi. Gli anni ’80 furono quelli del “pentapartito” e della “Milano da bere”. Anche allora la classe politica italiana non è stata in grado di ridurre le spese ed ha intrapreso l’unica strada che le restava per finanziare le politiche assistenziali e le spese della casta: ha offerto ai risparmiatori i titoli del debito pubblico.
Nel primo decennio del duemila, con l’euro, la storia si è ripetuta, ma con proporzioni amplificate. Se oggi, lo stato potesse semplicemente stampare nuova moneta per finanziare le sue spese, come vorrebbero coloro che auspicano il ritorno nei nostri confini della “sovranità monetaria”, avremmo immediatamente troppa moneta in circolazione e quindi forte inflazione dei prezzi con danno per tutti, soprattutto per i ceti più deboli. Il passaggio all’euro e alla Banca Centrale Europea nel 2001 non ha sostanzialmente cambiato la possibilità del governo italiano di influenzare la politica monetaria. Questa separazione tra le scelte di politica monetaria e la responsabilità riguardo alla politica fiscale era già in vigore da venti anni. Comunque la Banca Centrale Europea ha portato alcuni sensibili vantaggi. L’impegno di diciassette paesi a centralizzare le politiche monetarie ha generato una grande opportunità per paesi spendaccioni come l’Italia unita. Con l’euro, i tassi d’interesse sono stati bassi e controllati. Dal 2001 al 2008 le imprese e le famiglie italiane hanno pagato tassi d’interesse molto bassi, e di questo ne ha beneficiato anche il governo. Purtroppo però Roma trovandosi a spendere molto meno per gli interessi non ha colto l’opportunità di ridurre le spese, anzi il debito non ha mai smesso di crescere. Uscire dall’euro e dalla Banca Centrale Europea avrebbe l’effetto opposto. I tassi di interesse che l’economia pagherebbe schizzerebbero all’insù, ben oltre il valore che oggi conosciamo come spread, portando lo stato al fallimento e polverizzando i nostri risparmi. Il governo aveva rinunciato alla sovranità monetaria, decenni prima di entrare nell’euro, quando ancora c’era la lira. Vorremmo ridare ai nostri politici la possibilità di stampare banconote per finanziare la loro incompetenza? Non mi pare che sia una buona soluzione!
5) Taluni sostengono però che il ritorno alla lira e l’uscita dall’euro sarebbe vantaggioso per i lavoratori ed i consumatori. Questa ipotesi si basa sull’evidenza che nell’anno del passaggio all’euro i salari sono rimasti invariati (1.600.000 lire furono matematicamente convertiti in circa 800 euro) mentre molti prezzi hanno trasposto le vecchie 1000 lire in una moneta da 1 euro. In molte realtà, questa conversione bislacca avvenne realmente quando si entrò nell’euro. Purtroppo però è opinabile che accada l’opposto se oggi uscissimo dall’euro per ritornare alla lira. Con l’euro, i consumatori che videro diminuire il costo dell’indebitamento privato (per esempio i mutui) si trovarono con più soldi disponibili da spendere. In generale grazie a questo beneficio, non trovarono la forza di reagire all’aumento dei prezzi che avvenne a seguito della conversione dalle lire agli euro. Contrariamente a quanto ci si sarebbe dovuti attendere, all’aumento dei prezzi non seguì una diminuzione della domanda di beni o servizi. Purtroppo se oggi si riportasse in Italia la sovranità monetaria, e si ritornasse alla lira, il governo ricomincerebbe a stampare banconote, cioè monetizzerebbe il debito. La conseguenza sarebbe il riaccendersi dell’inflazione. Tradotto per la gente comune, significa che i prezzi, non più in euro bensì in lire, salirebbero ulteriormente, a danno ancora una volta dei risparmiatori e dei ceti deboli. Tornare alla lira significa far esplodere l’inflazione, non è certo una soluzione indolore!
6) Taluni dicono che l’andamento dei tassi sia pilotato da qualche complotto internazionale. Ma questa tesi non è sostenibile se si comprende che il tasso d’interesse altro non è che il prezzo del denaro, determinato dal gioco della domanda e dell’offerta in un mercato libero. Il mercato dei capitali globale è tra quelli più liberi e concorrenziali. E’ illogico biasimare oggi il livello di prezzo richiesto allo stato italiano per piazzare il debito. Questo mercato è lo stesso che ha permesso al medesimo stato di piazzare analogo debito a tassi ben più convenienti solo alcuni lustri or sono. Appena entrati nell’euro, pareva credibile che l’Italia si avviasse su un sentiero di convergenza verso l’avanzo di bilancio. Quest’aspettativa ha permesso ai mercati di accettare dall’Italia tassi in linea con paesi dalla migliore reputazione. Ora il tempo è passato senza segni credibili dal lato della politica fiscale italiana: l’apertura di credito è scaduta. In più il mondo è nel mezzo di una crisi globale. Non c’è da stupirsi se oggi i risparmiatori e gli investitori preferiscono dare i loro soldi ad istituzioni ed organizzazioni che hanno una storia di affidabilità ben più solida. L’automatico riflesso di questo stato di cose è la difficoltà dell’Italia nel piazzare il suo debito, e per convincere gli investitori ad accordarle la loro preferenza, (ovvero a fidarsi ancora delle promesse dello stato) deve rendere il suo debito più interessante e promettere interessi più elevati. Quindi nessun complotto dietro l’impennata dei tassi: semplicemente la dinamica dell’equilibrio della domanda e dell’offerta. E’ un fatto che può non piacere, ma non rappresenta la soluzione!
La soluzione al debito e la via maestra per uscire dalla crisi solo una. Bisogna ridurre drasticamente la spesa statale. Occorre riportare il bilancio statale in attivo riducendo la spesa pubblica. Meno soldi allo stato significa tagliare i tentacoli della politica e della burocrazia. Questo è quello che in Germania chiamano “austerità”. Purtroppo da noi le politiche di “austerity”, parola tradotta in inglese così da potergli dare il significato che più fa comodo, sono state messe in atto al contrario: sono aumentate solo le tasse lasciando invariate le spese
mercoledì 5 dicembre 2012
La Corte dei conti e la giunta Renzi
Gli ispettori del Ministero dell'Economia,
attivi a Firenze dal 10 gennaio all'11 febbraio 2011, avevano rilevato
15 ipotesi di responsabilità amministrativa sulla giunta provinciale di Firenze del periodo 2004-09, guidata da Matteo Renzi: la messa in mora dopo le
controdeduzioni della Provincia, è
scattata per illegittimità nell'attribuzione di alcune indennità, e per
l'incarico di direzione illegittimamente dato non a un direttore
generale unico, ma a un collegio di direzione generale composto di
quattro persone, due delle quali già dipendenti, ma messi in aspettativa
e poi riassunti con un contratto a tempo determinato più vantaggioso, e
un aumento di spesa per 1.034.161 euro. Su altre operazioni la Corte dei Conti sta ancora indagando.
Nel frattempo, la stessa Corte dei Conti ha aperto un nuovo procedimento che deriva dalle verifiche seguite all'esposto denuncia di un dipendente del Comune di Firenze, Alessandro Maiorano. Ecco cosa scrive:
"Sono Alessandro Maiorano, la persona che ha presentato alcuni mesi fa
diverse denunce nei confronti di Matteo Renzi in relazione ai 20 milioni
di euro che il sindaco di Firenze ha speso nel periodo in cui era in
Provincia. Sono dipendente del Comune di Firenze da 33 anni, il più
anziano dei 6.480 in forza al Comune. 15 mesi fa ho deciso di far
emergere alcune situazioni che non mi tornavano relative a Renzi e con
l'aiuto di un funzionario del Tesoro, dottor Stefano Bisogno, mi sono
messo a "caccia" di fatture, conti e quant'altro. Nella mia
ricerca sono emerse 20 milioni di euro di fatture che Renzi, ai tempi
della Provincia, ha dilapidato, sono emerse spese che reputo folli in
relazione ad alcune partecipate, sono emerse situazioni che da cittadino
non mi sono tornate e ho deciso di rivolgermi alla Guardia di Finanza.
Vi posso fare qualche esempio: 4,2 milioni di euro alla Florence Multimedia,
una società di comunicazione che doveva essere usata per valorizzare la
Provincia e in realtà è stata usata da Matteo Renzi per valorizzare
soltanto la sua persona. Ci sono poi 707.000 euro dati a una fantomatica
associazione chiamata Culter. 70.000 per due viaggi in America con un
giornalista al seguito. 3.000 euro spesi all'interno di un Grand Hotel.
150.000 euro dati a la Nazione per realizzare una mostra. 1.800.000 dati
per altre donazioni. Fiori, regali, pranzi, cene, voli
intercontinentali. Per un totale finale di 20.000.000 di euro. Questo è
stato rilevato dal sottoscritto che ha portato questi atti alla Guardia
di Finanza. Alla Guardia di Finanza ho chiesto anche di indagare sulle
famose 100 assunzioni al Comune di Firenze e su altre situazioni
alquanto strane e bizzarre che riguardano il sindaco. Sono anche
riuscito a far si che il sindaco di Firenze fosse nuovamente messo in mora
dalla Corte dei Conti. Spero quindi che qualcuno indaghi su queste cose
e su quelle 100 assunzioni a chiamata diretta del sindaco di Firenze
che, manco fosse il presidente degli Stati Uniti, a noi fiorentini sono
costate 25-30 milioni di euro. In questi 15 mesi credo di aver fatto un
lavoro che forse a Firenze avrebbe dovuto essere fatto da altri e mi
riferisco a molti, molti politici che parlano parlano e poi in realtà
non fanno niente. Bisogna avere rispetto dei soldi pubblici e non fare
il nababbo con i soldi dei cittadini. Questo è ciò che volevo dirvi e
con questo vi saluto nella speranza che alla fine tutta la verità
emerga." Alessandro Maiorano
- 2009/DD/07298 del 13.07.2009 Assunzione ex art. 90 (dirigente): Marco Agnoletti, responsabile per l'Ufficio Comunicazione esterna;
- 2009/DD/07406 del 13.07.2009 Uffici di supporto all'organo di direzione politica/sindaco. Assunzione ex art. 90 (dirigente): Bruno Cavini, portavoce del sindaco;
- 2009/DD/07543 del 13.07.2009 Uffici di supporto organo direzione politica. Assunzione ex art. 90 componenti Segreteria Sindaco e componenti Ufficio di Gabinetto (tutti inquadrati nella categoria D-funzionario): Segreteria del Sindaco: Cristina Mordini, Eleonora Chierichetti, Maria Elena Poli, Elisa Rogai
Ufficio di Gabinetto del Sindaco: Maria Novella Ermini, Laura Ognibene, Veronique Orofino;
- 2009/DD/07552 del 09.07.2009 Ufficio comunicazione esterna. Conferma incarico ex art. 90 (cat. D3 funzionari giornalisti): Franco Dardelli, Lorenza Berengo, Martina Fontani, Francesco Nocentini;
- 2009/DD/07556 del 13.07.2009 Assunzione componenti Ufficio comunicazione esterna ex art. 90 (cat. D3 funzionari giornalisti): Alessandra Garzanti Francesca Padula Elisa Di Lupo
- 2009/DD/07667 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'Assessore allo Sviluppo Economico e Vice Sindaco:
Nicola Centrone
- 2009/DD/07607 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore al Bilancio:Andrea Balducchi
- 2009/DD/07672 del 06.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore allo Sport: Jacopo Vicini
- 2009/DD/07683 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore all'Università e Ricerca: Gaia Simonetti
- 2009/DD/07686 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alla Casa: Eliana Canesi
- 2009/DD/07699 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alla Mobilità: Francesco Paolo Sammarone
- 2009/DD/07717 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore all'Ambiente: Luca Talluri
- 2009/DD/07799 del 03.08.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alle Politiche Socio Sanitarie: Vincenzo Cavalleri (poi con 2011/DD/09826 del 04.11.2011 diventa dirigente ex art. 110 comma 2 e Responsabile della Direzione Servizi Sociali)
- 2009/DD/08078 del 05.08.2009 Ufficio Progetto Riorganizzazione attività di comunicazione. Assunzione ex art. 90 (categoria D funzionario): Franco Bellacci
- 2009/DD/08095 del 05.08.2009 Assunzione (ex art. 110 dlgs 267/2000 - dirigente - retribuzione di posizione 80.000 Euro + retribuzione di risultato: fino a un massimo di 14.500 Euro) direttore area coordinamento e sviluppo urbano: Giacomo Parenti
- 2009/DD/08175 del 05.08.2009 Assunzione ex art. 90 (dirigente) Ufficio riorganizzazione attività di comunicazione: Giovanni Carta
- 2009/DD/08176 del 05.08.2009 Assunzione ex art. 90 ( categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alla Cultura:
http://ilportaborse.com/wp-content/uploads/2012/03/doc2.png
http://ilportaborse.com/2012/11/la-finanza-negli-uffici-del-comune-di-firenze-nel-mirino-le-assunzioni-a-chiamata-diretta/
Ma non è tutto. Lo stesso Maiorano, in un altro esposto in Procura contro Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita al centro delle cronache giudiziarie e Matteo Renzi, sembra confermare quanto dichiarato ai Giudici dal Lusi: il dipendente del
Comune di Firenze chiede di indagare su chi ha finanziato parte della
campagna elettorale 2009 di Renzi e il suo Big Bang (il maxi evento in
salsa berlusconiana celebrato alla Leopolda). Il sospetto (che per Maiorano è certezza) è che alcuni
finanziamenti siano arrivati dai conti del tesoriere. Sarà la
Procura di Roma a verificare, visto che l'esposto è finito sulla
scrivania dei sostituti procuratori Stefano Pesci e Alberto Caperna,
titolare dell'inchiesta su Lusi. Di sicuro c'è un
fatto, un punto di collegamento tra i due politici. Luigi Lusi fu uno
dei 10 firmatari e promotori del Big Bang di Renzi e domenica, se avesse potuto, l'avrebbe votato.
Il 29 novembre scorso, poi, la Guardia di Finanza ha fatto irruzione a Palazzo Vecchio. I finanzieri stanno rovistando da giorni tra le carte del Comune di Firenze. In particolare si stanno concentrando su due questioni. La prima riguarda accertamenti sulle aziende di Matteo Renzi.
Il faldone sarebbe già stato inviato al direttore generale dell'Agenzia
delle Entrate a Roma. La seconda sono le assunzioni a chiamata diretta
fatte dal sindaco in questi anni. Ed in via Nicolodi 2, nel capoluogo toscano, hanno messo il
reparto sottosopra. In particolare gli accertamenti potrebbero
concentrarsi su queste assunzioni:
- 2009/DD/07298 del 13.07.2009 Assunzione ex art. 90 dlgs 267/2000
responsabili degli uffici di supporto all'organo di direzione
politica/sindaco: Lucia De Siervo, responsabile dell'Ufficio di Gabinetto (dirigente); Giovanni Palumbo, responsabile dell'Ufficio del Sindaco (dirigente); Luca Lotti, responsabile della Segreteria del Sindaco (categoria D-funzionario);- 2009/DD/07298 del 13.07.2009 Assunzione ex art. 90 (dirigente): Marco Agnoletti, responsabile per l'Ufficio Comunicazione esterna;
- 2009/DD/07406 del 13.07.2009 Uffici di supporto all'organo di direzione politica/sindaco. Assunzione ex art. 90 (dirigente): Bruno Cavini, portavoce del sindaco;
- 2009/DD/07543 del 13.07.2009 Uffici di supporto organo direzione politica. Assunzione ex art. 90 componenti Segreteria Sindaco e componenti Ufficio di Gabinetto (tutti inquadrati nella categoria D-funzionario): Segreteria del Sindaco: Cristina Mordini, Eleonora Chierichetti, Maria Elena Poli, Elisa Rogai
Ufficio di Gabinetto del Sindaco: Maria Novella Ermini, Laura Ognibene, Veronique Orofino;
- 2009/DD/07552 del 09.07.2009 Ufficio comunicazione esterna. Conferma incarico ex art. 90 (cat. D3 funzionari giornalisti): Franco Dardelli, Lorenza Berengo, Martina Fontani, Francesco Nocentini;
- 2009/DD/07556 del 13.07.2009 Assunzione componenti Ufficio comunicazione esterna ex art. 90 (cat. D3 funzionari giornalisti): Alessandra Garzanti Francesca Padula Elisa Di Lupo
- 2009/DD/07667 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'Assessore allo Sviluppo Economico e Vice Sindaco:
Nicola Centrone
- 2009/DD/07607 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore al Bilancio:Andrea Balducchi
- 2009/DD/07672 del 06.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore allo Sport: Jacopo Vicini
- 2009/DD/07683 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore all'Università e Ricerca: Gaia Simonetti
- 2009/DD/07686 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alla Casa: Eliana Canesi
- 2009/DD/07699 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alla Mobilità: Francesco Paolo Sammarone
- 2009/DD/07717 del 16.07.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore all'Ambiente: Luca Talluri
- 2009/DD/07799 del 03.08.2009 Affidamento incarico ex art. 90 (categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alle Politiche Socio Sanitarie: Vincenzo Cavalleri (poi con 2011/DD/09826 del 04.11.2011 diventa dirigente ex art. 110 comma 2 e Responsabile della Direzione Servizi Sociali)
- 2009/DD/08078 del 05.08.2009 Ufficio Progetto Riorganizzazione attività di comunicazione. Assunzione ex art. 90 (categoria D funzionario): Franco Bellacci
- 2009/DD/08095 del 05.08.2009 Assunzione (ex art. 110 dlgs 267/2000 - dirigente - retribuzione di posizione 80.000 Euro + retribuzione di risultato: fino a un massimo di 14.500 Euro) direttore area coordinamento e sviluppo urbano: Giacomo Parenti
- 2009/DD/08175 del 05.08.2009 Assunzione ex art. 90 (dirigente) Ufficio riorganizzazione attività di comunicazione: Giovanni Carta
- 2009/DD/08176 del 05.08.2009 Assunzione ex art. 90 ( categoria D1 funzionario) quale Responsabile della Segreteria dell'assessore alla Cultura:
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http://ilportaborse.com/2012/11/la-finanza-negli-uffici-del-comune-di-firenze-nel-mirino-le-assunzioni-a-chiamata-diretta/
martedì 4 dicembre 2012
INCONTRI RAVVICINATI DI QUALCHE TIPO
Ieri ero a Verona. La bellissima Verona. Ho assistito per la prima volta, in diretta ed in presenza, ad un discorso di Monti.
L’occasione era ghiotta per ascoltare un collega che era diventato così importante per i destini contingenti e forse duraturi del mio Paese.
E’ piaciuto molto alla platea, specie ai molti giovani presenti, un elemento che mi ha stimolato ed incuriosito ancora di più a cercare di comprendere.
E’ piaciuto il suo discorso o la sua persona? Direi più la seconda. In fondo gli applausi sono venuti più all’inizio, alla fine e quando si arrestava e con leggiadria elegante, spontanea, ironica, interagiva con la platea. Durante il discorso e le sue risposte alle domande la platea era piuttosto annoiata o distratta.
Io non ero distratto. Ero attentissimo. Pendevo dalle sue labbra. Cercavo di capire il modo di ragionare, le enfasi retoriche, la comunicazione, il modello economico che sosteneva il suo pensiero. Ovviamente non è vero, come diranno alcuni miei lettori, che non c’è un modello economico o addirittura che c’è il modello economico dello sfruttamento “funzionale all’espansione del regime germanico”. Anzi, lui stesso ridicolizza tale visione in un passaggio specifico, rivendicando le sue origine nordiste ed il suo spasmodico interesse per i destini delle imprese del Nord.
C’è una visione dell’Europa cauta. Attenzione. E’ cauto nel comunicare, non so invece quanto sia cauto nel progetto che ha in mente. Parla di una graduale, coordinata e condivisa cessione di sovranità, ma soprattutto gli sfugge, ma è solo un secondo: un “più la si sbandiera, meno la si riesce a fare”. Ecco una divisione fondamentale con il mio modo di vedere. In effetti questa Europa in questo anno è stata costruita nel segreto. Ma non per complotto, credo, per timore della democrazia. Un fallimento che genera altri fallimenti, a catena.
Lo hanno ripreso i giornali, l’opinione di Monti è che i numeri di recessione e disoccupazione avrebbero potuto essere più bassi, ma solo al costo di “ripresentarsi successivamente, peggiori”. Quindi un Monti che è conscio che le sue politiche sono recessive ma che nel lungo periodo l’economia se ne gioverà.
Ci sono due modi di razionalizzare questa visione del Presidente.
a) “L’isteresi non esiste”: gli effetti di breve non hanno ripercussioni di lungo periodo. Non siamo d’accordo, ovviamente. Questa disoccupazione giovanile, tanto più si protrae, tanto più espellerà giovani dalla forza lavoro, per sempre. Senza il minimo dubbio. Questa crisi, tanto più si protrae, tanto più probabile renderà l’uscita dall’euro. Senza il minimo dubbio, a maggior ragione vista la tentazione di “non sbandierare” quali siano i piani futuri dell’Unione.
b) “Io sono come la Thatcher e Reagan”. Ovvero crisi oggi per espansione domani. Qui c’è una confusione drammatica. Quello per cui Monti si accomuna ai due leader degli anni ottanta immagino siano le politiche economiche restrittive sulla domanda: ma quelle furono fatte per ridurre le aspettative prima, e il valore attuale poi, dell’inflazione. Ed ebbero successo. Monti nel tagliare la domanda ha come obiettivo quello di stabilizzare il rapporto debito-PIL, e, al contrario di Maggie e Ronnie, sta fallendo pienamente in ciò. Monti potrebbe interrompermi e dirmi, no, in realtà io intendo fare le riforme, agire sull’offerta, come fecero Thatcher e Reagan, combattendo i sindacati nella pubblica amministrazione, riducendo le tasse, abbattendo i costi per le imprese. Appunto, neanche in questo il paragone tiene, nemmeno un po’: imparagonabile. E, attenzione, quando mi si dice che “lui ha avuto un solo anno”, ricordo che le cose più importanti di Thatcher e Reagan avvennero appunto il primo anno. Sì, non era un anno di elezioni, ma nemmeno per il tecnico Monti.
C’è poi l’incredibile contraddizione, stridente, dei tanti giovani seduti accanto a lui, sorridenti, intenti a costruirsi un futuro che appare credibile, in fondo tanti di loro sono giovani brillanti laureati. Una parte del Paese è qui, mi dico, un’altra non è rappresentata.
E’ sempre così: quando si parla ad una platea spesso vi è un gruppo che ascolta, molto omogeneo. Se non è un discorso partitico, la bravura del relatore è quella di aprire spazi, far entrare nella sala la diversità, l’esigenza di comprendere ed accettare “gli altri”.
I giovani disoccupati, i giovani perplessi, dubbiosi, timorosi, sconfortati, arrabbiati, non sono entrati nella sala. No, non per i carabinieri che bloccavano l’ingresso ai più estremi che protestavano con bandiere, no, non sono entrati nel discorso di Monti. Perché?
Forse quei giovani non ci sono perché il Presidente non crede nell’isteresi .
Ma soprattutto non ci sono perché a sorpresa, nel 2013, totalmente inatteso e non dovuto, il Presidente Monti annuncia con squillo di trombe non ripreso dalla stampa: “il 2013 sia l’anno dell’investimento in capitale umano”. Va avanti esaltando l’importanza dell’istruzione e criticando quella parte più corporativa dei maestri. Ma rimango basito.
Come intende rendere il 2013 l’anno dell’investimento in capitale umano? In che modo? Con che politiche? Scuola? Università? Riforme? E quando avrebbe intenzione di avviare le politiche per quella che è probabilmente la più importante delle riforme del settore pubblico?
Incredibile. La verità è che quando una riforma la si annuncia senza crederci e senza renderla credibile, diventa automaticamente non credibile. Il che significa che ieri Monti ha ufficialmente chiuso le porte del 2013 all’investimento in capitale umano. Così, ufficialmente, distrattamente, con garbo ed eleganza.
Fonte: www.gustavopiga.it
L’occasione era ghiotta per ascoltare un collega che era diventato così importante per i destini contingenti e forse duraturi del mio Paese.
E’ piaciuto molto alla platea, specie ai molti giovani presenti, un elemento che mi ha stimolato ed incuriosito ancora di più a cercare di comprendere.
E’ piaciuto il suo discorso o la sua persona? Direi più la seconda. In fondo gli applausi sono venuti più all’inizio, alla fine e quando si arrestava e con leggiadria elegante, spontanea, ironica, interagiva con la platea. Durante il discorso e le sue risposte alle domande la platea era piuttosto annoiata o distratta.
Io non ero distratto. Ero attentissimo. Pendevo dalle sue labbra. Cercavo di capire il modo di ragionare, le enfasi retoriche, la comunicazione, il modello economico che sosteneva il suo pensiero. Ovviamente non è vero, come diranno alcuni miei lettori, che non c’è un modello economico o addirittura che c’è il modello economico dello sfruttamento “funzionale all’espansione del regime germanico”. Anzi, lui stesso ridicolizza tale visione in un passaggio specifico, rivendicando le sue origine nordiste ed il suo spasmodico interesse per i destini delle imprese del Nord.
C’è una visione dell’Europa cauta. Attenzione. E’ cauto nel comunicare, non so invece quanto sia cauto nel progetto che ha in mente. Parla di una graduale, coordinata e condivisa cessione di sovranità, ma soprattutto gli sfugge, ma è solo un secondo: un “più la si sbandiera, meno la si riesce a fare”. Ecco una divisione fondamentale con il mio modo di vedere. In effetti questa Europa in questo anno è stata costruita nel segreto. Ma non per complotto, credo, per timore della democrazia. Un fallimento che genera altri fallimenti, a catena.
Lo hanno ripreso i giornali, l’opinione di Monti è che i numeri di recessione e disoccupazione avrebbero potuto essere più bassi, ma solo al costo di “ripresentarsi successivamente, peggiori”. Quindi un Monti che è conscio che le sue politiche sono recessive ma che nel lungo periodo l’economia se ne gioverà.
Ci sono due modi di razionalizzare questa visione del Presidente.
a) “L’isteresi non esiste”: gli effetti di breve non hanno ripercussioni di lungo periodo. Non siamo d’accordo, ovviamente. Questa disoccupazione giovanile, tanto più si protrae, tanto più espellerà giovani dalla forza lavoro, per sempre. Senza il minimo dubbio. Questa crisi, tanto più si protrae, tanto più probabile renderà l’uscita dall’euro. Senza il minimo dubbio, a maggior ragione vista la tentazione di “non sbandierare” quali siano i piani futuri dell’Unione.
b) “Io sono come la Thatcher e Reagan”. Ovvero crisi oggi per espansione domani. Qui c’è una confusione drammatica. Quello per cui Monti si accomuna ai due leader degli anni ottanta immagino siano le politiche economiche restrittive sulla domanda: ma quelle furono fatte per ridurre le aspettative prima, e il valore attuale poi, dell’inflazione. Ed ebbero successo. Monti nel tagliare la domanda ha come obiettivo quello di stabilizzare il rapporto debito-PIL, e, al contrario di Maggie e Ronnie, sta fallendo pienamente in ciò. Monti potrebbe interrompermi e dirmi, no, in realtà io intendo fare le riforme, agire sull’offerta, come fecero Thatcher e Reagan, combattendo i sindacati nella pubblica amministrazione, riducendo le tasse, abbattendo i costi per le imprese. Appunto, neanche in questo il paragone tiene, nemmeno un po’: imparagonabile. E, attenzione, quando mi si dice che “lui ha avuto un solo anno”, ricordo che le cose più importanti di Thatcher e Reagan avvennero appunto il primo anno. Sì, non era un anno di elezioni, ma nemmeno per il tecnico Monti.
C’è poi l’incredibile contraddizione, stridente, dei tanti giovani seduti accanto a lui, sorridenti, intenti a costruirsi un futuro che appare credibile, in fondo tanti di loro sono giovani brillanti laureati. Una parte del Paese è qui, mi dico, un’altra non è rappresentata.
E’ sempre così: quando si parla ad una platea spesso vi è un gruppo che ascolta, molto omogeneo. Se non è un discorso partitico, la bravura del relatore è quella di aprire spazi, far entrare nella sala la diversità, l’esigenza di comprendere ed accettare “gli altri”.
I giovani disoccupati, i giovani perplessi, dubbiosi, timorosi, sconfortati, arrabbiati, non sono entrati nella sala. No, non per i carabinieri che bloccavano l’ingresso ai più estremi che protestavano con bandiere, no, non sono entrati nel discorso di Monti. Perché?
Forse quei giovani non ci sono perché il Presidente non crede nell’isteresi .
Ma soprattutto non ci sono perché a sorpresa, nel 2013, totalmente inatteso e non dovuto, il Presidente Monti annuncia con squillo di trombe non ripreso dalla stampa: “il 2013 sia l’anno dell’investimento in capitale umano”. Va avanti esaltando l’importanza dell’istruzione e criticando quella parte più corporativa dei maestri. Ma rimango basito.
Come intende rendere il 2013 l’anno dell’investimento in capitale umano? In che modo? Con che politiche? Scuola? Università? Riforme? E quando avrebbe intenzione di avviare le politiche per quella che è probabilmente la più importante delle riforme del settore pubblico?
Incredibile. La verità è che quando una riforma la si annuncia senza crederci e senza renderla credibile, diventa automaticamente non credibile. Il che significa che ieri Monti ha ufficialmente chiuso le porte del 2013 all’investimento in capitale umano. Così, ufficialmente, distrattamente, con garbo ed eleganza.
Fonte: www.gustavopiga.it
ENEL, Saglia & company
“E’ una decisione sconcertante, invece dei tagli si fa un vero e proprio regalo alle lobby del petrolio con i soldi dei cittadini”, dichiara subito Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente.
Le centrali ottengono anche una deroga sulle emissioni e sugli
autocontrolli previsti dalla legge, così da poter operare senza
ostacoli. Sempre in nome della possibile emergenza gas.
I fatti: a luglio, mentre la Camera converte in legge il decreto sviluppo che recepisce le misure anti-black out, un emendamento firmato dall‘ex sottosegretario Pdl Stefano Saglia
e dal collega di partito Maurizio Bernardo prepara lo scenario più
favorevole per le vecchie e inquinanti centrali a olio combustibile.
Nell’inverno 2011, “Ci fu un picco dei consumi,
dovuto soprattutto ai Paesi dell’est che hanno aumentato i prelievi di
gas. E così si è creata un’improvvisa scarsità con un record assoluto
di consumi che invece, in media, in questi anni di crisi sono diminuiti
e quindi è aumentata la disponibilità di gas”, spiega Gionata Picchio, del giornale on line Staffetta Quotidiana, specializzato in temi energetici
A febbraio il governo annuncia il rituale “mai più” che segue ogni
emergenza italiana e promette che i black out che hanno lasciato al buio
vaste aree del Paese non si ripeteranno. La strategia individuata
è quella di avere a disposizione fonti di energia alternative al gas,
così da non trovarsi scoperti se il picco dei consumi compromette la
fornitura o il maltempo ostacola l’attività dei rigassificatori.
Il 23 novembre scorso, un decreto del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera fissa i dettagli. Le centrali “alimentate a
combustibili diversi dal gas naturale” devono garantire 4470 megawatt,
una potenza “necessaria a ottenere una equivalente riduzione dei consumi
di gas nella generazione elettrica pari ad almeno 18 milioni di metri
cubi/giorno”. I proprietari delle centrali a olio combustibile, cioè
petrolio, si devono limitare a fornire un “impegno non rinunciabile” dal
primo gennaio al 31 marzo 2013 la produzione con un preavviso di 48
ore. La remunerazione per questa concessione, secondo quanto conferma
anche l’Autorità dell’energia, sarà attorno ai 250 milioni di euro.
Soldi che non arriveranno dal bilancio dello Stato ma dalla bolletta dei consumatori.
Tutte le centrali che sono coinvolte
nell’operazione sono
dell’Enel, che gestisce gli impianti di Livorno, Piombino e Bari
(quest’ultima è stata appena messa sotto sequestro dai carabinieri del
Noe). L’Enel è controllata dal ministero
del Tesoro con il 31,2 per cento e non disdegnerà certo i milioni che
frutteranno le vecchie e inutili centrali,
visto che il 30 settembre ha presentato risultati trimestrali che
registravano un calo del 19,6 per cento dell’utile netto del gruppo
rispetto allo scorso anno.
Se non ci sarà alcuna ondata di freddo intenso e il gas importato sarà sufficiente, l’Enel si ritroverà con un cadeau
a spese dei cittadini di 250 milioni di euro. I consumatori sono stati
gravati da un ulteriore salasso (non nell’interesse di Enel, questo) da
altri 300 milioni spalmati in 36 mesi per la rescissione di alcuni
contratti di fornitori di gas alla rete Snam. Tanto il
cliente finale non protesta. E l’Autorità che vigila sul settore
dell’energia, guidata da Guido Bortoni, non farà
altro che assicurarsi che la legge sia applicata. Anche se il problema è
proprio la legge.
Sappiamo chi è Passera, ma chi è Saglia?
Le indagini si sono concluse, e si attende la richiesta di rinvio a giudizio del Saglia.
Nel capitolo romano
dell'inchiesta di Milano sul traffico illecito di rifiuti che nel giugno 2011 ha
portato all'arresto di Angelo Scotti, il 're del riso', accusato di aver
corrotto due funzionari del Gestore dei servizi energetici, il pm Paolo Ielo ha iscritto sul registro degli indagati sei persone per corruzione, tra cui Franco Centilli (ex funzionario della Gse) e Elio Nicola Ostellino,
consulente energetico, raggiunti da ordinanza di custodia
cautelare emessa dal gip di Milano.
I nomi che compaiono nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Milano sono molto pesanti: Nando Pasquali, Stefano Saglia, Giancarlo Abelli e Paolo De Castro.Ielo ha ordinato un'acquisizione di atti presso la Gse e presso le abitazioni degli indagati. L'ipotesi, secondo una documentazione proveniente da Milano, e' che l'anno precedente ci fosse stato un giro di 'mazzette', con il coinvolgimento di societa' del gruppo Cofely (impiantistica energetica), in cambio di una serie di favori.
I nomi che compaiono nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Milano sono molto pesanti: Nando Pasquali, Stefano Saglia, Giancarlo Abelli e Paolo De Castro.Ielo ha ordinato un'acquisizione di atti presso la Gse e presso le abitazioni degli indagati. L'ipotesi, secondo una documentazione proveniente da Milano, e' che l'anno precedente ci fosse stato un giro di 'mazzette', con il coinvolgimento di societa' del gruppo Cofely (impiantistica energetica), in cambio di una serie di favori.
Tutto ruoterebbe intorno al consulente energetico, Elio Nicola Ostellino, che in una conversazione afferma che anche l'a.d. del
Gse, Nando Pasquali, deve obbedire di fronte ai suoi conoscenti, tra cui l'allora sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia (siamo nel giugno 2011).
"Volevo
capire - chiede un interlocutore - Saglia può manovrare Nando
Pasquali?". E Ostellino: "Saglia può manovrare, però, più, più ma, Nando Pasquali, a parte che se chiama Saglia, signor sì, no? ...".Le indagini si sono concluse, e si attende la richiesta di rinvio a giudizio del Saglia.
Chi è Scaroni.
Paolo Scaroni è stato arrestato nel 1992 in merito all'inchiesta giudiziaria di Mani Pulite; nel 1996, poi, ha patteggiato una condanna ad un anno e 4 mesi per tangenti di svariate centinaia di milioni (di lire italiane) versate al Partito Socialista Italiano per appalti Enel.
Nel 2006 viene processato dal tribunale di Adria, in qualità di amministratore delegato dell'Enel all'epoca dei fatti, per aver inquinato, con la Centrale di Porto Tolle, il territorio del delta del Po. Viene successivamente condannato ad un mese di reclusione, a titolo colposo, pena che viene convertita in un'ammenda di 1.140 euro. Nel 2011 "La Cassazione ha riconosciuta la responsabilità penale (ma i reati tuttavia nel frattempo si sono prescritti) sia dei direttori di centrale sia degli amministratori delegati di Enel."
Nel maggio 2007 Il Nucleo della Guardia di Finanza di Milano ha operato perquisizioni e acquisizioni condotte nel capoluogo lombardo, Roma, Torino e Piacenza negli uffici dell'Eni e di altre società del settore energia per una presunta truffa sui sistemi di misurazione del gas.
Indagati risultano Paolo Scaroni, i vertici e i dirigenti di Aem e Arcalgas. Tra questi Giuliano Zuccoli, presidente e amministratore delegato dell' Azienda energetica milanese.
I sequestri di documenti (a partire dal 2003) riguardano un'indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Milano sugli strumenti di misura del trasporto e della distribuzione del gas naturale utilizzati in Italia dalle imprese del settore. Gli strumenti sotto indagine, i cosiddetti misuratori venturimetrici, sono da sempre utilizzati in Italia ed incidono sulle misurazioni relative alla bolletta dei consumatori.
Le accuse ipotizzate dai pm sono a vario titolo truffa, violazione della legge sulle accise, ostacolo all'attività di vigilanza e uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta (art 472 cp).Tutte le società coinvolte nelle indagini sono anche state iscritte nel registro degli indagati per la legge 231 del 2001 relativa alla responsabilità amministrativa delle società.
L' amministratore delegato dell'Eni è presente anche nella
richiesta, rivolta dalla Procura di Milano al Gip del Tribunale, di commissariare Agip Kco o inibirle i contratti in Kazakhstan
nel più grande giacimento petrolifero scoperto negli ultimi 30 anni,
Kashagan nel Mar Caspio.
L' inchiesta per
corruzione internazionale (20 milioni di tangenti fino al 2007) di
burocrati locali, tra i quali il genero del presidente della Repubblica
kazaka Nazarbayev, Timur Kulibayev, già presidente dell' ente
petrolifero statale e del fondo sovrano di Astana. Anni fa, che nasce dopo le
ombre sollevate dalle dichiarazioni (anche in tv) dell' ex
rappresentante dell' Eni in Russia, Mario Reali.
L' Eni per fare luce
sul caso di corruzione aveva prima presentato un esposto alla Procura di Roma, che indagò e
archiviò non ravvisando reati, e poi commissionato a Kpmg un'indagine interna.
Ed è proprio nelle «carte di lavoro» di un revisore di
Kpmg che ora la Procura di Milano ha trovato un appunto nel quale il
professionista, incaricato dall' Eni con alcuni colleghi di condurre l'
audit, annotò per sé una delicata circostanza: Scaroni aveva telefonato
per raccomandare di «scavallare» (questo il termine esatto adoperato dal
n.1 Eni) la consegna dell' indagine interna a una fase successiva alla
presentazione al mercato nel 2008 dei conti Eni del 2007.
L'audit interno "desaparecido" fu in
effetti fatto «scavallare», ed anche troppo, nella prospettazione
accusatoria: talmente tanto, infatti, che l'elaborato di
Kpmg non fu più portato a
conoscenza dei mercati e del pubblico né dopo l'assemblea 2008 né in seguito, mentre ai pm fu poi
consegnata solo una versione «light». Non a caso questa circostanza è ora valorizzata dalla Procura tra le esigenze cautelari
prospettate al giudice Ferraro per chiederle di emettere la misura
interdittiva a carico di Agip Kco, società controllata da altra a
sua volta controllata interamente da Eni, che all' epoca dei fatti era
sia l'operatore unico del consorzio internazionale dove Eni ha il
16,81% (accanto a Shell, ExxonMobil, Total, ConocoPhilips, Inpex e all'
ente petrolifero statale KazMunaiGas), sia il partner della compagnia
petrolifera kazaka nel comitato che assegnava gli appalti ai vari
fornitori internazionali.
Non
è indagato l'amministratore delegato, ma l'Eni come persona giuridica
è invece indagata dal pm De Pasquale per «corruzione internazionale»
sino all' aprile 2007, in base alla legge 231 sulla responsabilità
amministrativa degli enti per reati commessi dai dirigenti nell'
interesse aziendale.
Scaroni ha affermato che «si tratta di indagini che
riguardano episodi del 2004 e del 2005. Noi dal 2009 collaboriamo con la
magistratura su questo terreno e aspettiamo di vedere cosa succede.
Sono sereno».
Il colosso energetico Enel e il suo ex amministratore delegato Paolo Scaroni. sono dal mese scorso a giudizio
in Veneto per presunte “omissioni dolose di cautele” legate alla
centrale Polesine Camerini di Porto Tolle, in provincia di Rovigo. Nel
mirino della magistratura, l’attività dell’impianto al confine con
l’Emilia Romagna negli anni in cui era ancora alimentato ad olio
combustibile. Con Scaroni dovranno presentarsi in aula
altre nove persone tra vertici di Enel, ex funzionari e dirigenti.
Il processo è stato chiesto, oltre che per Scaroni, per gli ex funzionari e dirigenti di Enel Leonardo Arrighi, 59 anni di Pisa; Antonino Craparotta, 65 anni, di Udine; Giuseppe Antonio Potestio, 72 anni, di Perugia; Alfredo Inesi, 72 anni, di Roma e Sandro Fontecedro, 67 anni, di Tarquinia. E ancora: gli ex direttori dell’impianto nel Delta del Po Renzo Busatto, 56 anni di Mogliano Veneto e Carlo Zanatta, 65 anni, di Treviso; Fulvio Conti, 64 anni, amministratore delegato di Enel e l’ex Francesco Luigi Tatò, 79 anni.Spicca, tra questi, il nome di Fulvio Conti,
amministratore delegato di Enel spa all’epoca dei fatti contestati (dal
1998 al 2002). Nella richiesta di rinvio a giudizio, per il nuovissimo filone della
maxi inchiesta aperta dal sostituto procuratore di Rovigo Manuela Fasolato,
viene contestata, in sintesi, la presunta mancata adozione di cautele
prescritte dalla legge e, più specificatamente, l’articolo 437 del
codice penale.
C'è poi la recentissima vicenda di Pietro Franco Tali, che si è dimesso dalle cariche di Ad e vicepresidente di Saipem, controllata ENI, a seguito dell'indagine avviata dalla Procura di Milano in relazione a presunti reati di corruzione commessi, secondo gli inquirenti, entro il 2009 e relativi ad alcuni contratti stipulati in Algeria.
Ne dà notizia un comunicato della società di ingegneristica, controllata dall'Eni, le cui azioni sono state sospese oggi pomeriggio in Borsa.
Il Cda ha accettato le dimissioni di Pietro Franco Tali e ha quindi nominato Umberto Vergine nuovo amministratore delegato. Il CdA, aggiunge la nota, ha deliberato la sospensione cautelare di Pietro Varone dalla funzione di Chief Operating Officer della Business Unit Engineering and Construction. La sospensione cautelare segue la notifica di informazione di garanzia a Varone da parte della Procura della Repubblica di Milano nell'ambito della stessa indagine. Analogo provvedimento di sospensione cautelare è stato disposto nei confronti di un altro dirigente della società coinvolto nella medesima indagine.
Saipem ritiene che la propria attività sia stata svolta nel rispetto delle leggi applicabili, delle procedure interne, del codice etico e del modello 231 e offre massima collaborazione alla Procura di Milano.
Tali ha dichiarato, si legge nella nota "di essere convinto che l'attività della società si sia sempre svolta nel rispetto delle leggi applicabili, delle procedure interne, del codice etico e del modello 231 e che la società si difenderà con successo nelle sedi opportune. Tuttavia, pur non essendo in alcun modo coinvolto nelle vicende oggetto di indagine, ritiene che le proprie dimissioni possano consentire la migliore difesa della società nel contesto delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Milano".
(Giancarlo Navach, Reuters)
C'è poi la recentissima vicenda di Pietro Franco Tali, che si è dimesso dalle cariche di Ad e vicepresidente di Saipem, controllata ENI, a seguito dell'indagine avviata dalla Procura di Milano in relazione a presunti reati di corruzione commessi, secondo gli inquirenti, entro il 2009 e relativi ad alcuni contratti stipulati in Algeria.
Ne dà notizia un comunicato della società di ingegneristica, controllata dall'Eni, le cui azioni sono state sospese oggi pomeriggio in Borsa.
Il Cda ha accettato le dimissioni di Pietro Franco Tali e ha quindi nominato Umberto Vergine nuovo amministratore delegato. Il CdA, aggiunge la nota, ha deliberato la sospensione cautelare di Pietro Varone dalla funzione di Chief Operating Officer della Business Unit Engineering and Construction. La sospensione cautelare segue la notifica di informazione di garanzia a Varone da parte della Procura della Repubblica di Milano nell'ambito della stessa indagine. Analogo provvedimento di sospensione cautelare è stato disposto nei confronti di un altro dirigente della società coinvolto nella medesima indagine.
Saipem ritiene che la propria attività sia stata svolta nel rispetto delle leggi applicabili, delle procedure interne, del codice etico e del modello 231 e offre massima collaborazione alla Procura di Milano.
Tali ha dichiarato, si legge nella nota "di essere convinto che l'attività della società si sia sempre svolta nel rispetto delle leggi applicabili, delle procedure interne, del codice etico e del modello 231 e che la società si difenderà con successo nelle sedi opportune. Tuttavia, pur non essendo in alcun modo coinvolto nelle vicende oggetto di indagine, ritiene che le proprie dimissioni possano consentire la migliore difesa della società nel contesto delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Milano".
(Giancarlo Navach, Reuters)
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