sabato 22 dicembre 2012

Dieci gravi errori di Monti e del suo governo

da @paolomadron

Natale, fine anno, tempo di bilanci. Specie adesso che Mario Monti si è dimesso. In attesa di scendere in campo dismettendo la casacca del tecnico o invece, ma questo lo sapremo ufficialmente domenica 23 settembre nel suo discorso alla nazione, decidere di non compiere quel gesto che sono in molti (noi compresi, nel nostro piccolo) a sconsigliare.
STABILITÀ, VASO DI PANDORA. Intanto, attorno a lui, dentro i palazzi del potere, le dimissioni hanno scatenato un liberi tutti le cui conseguenze si sono viste nel disegno di legge sulla Stabilità, che alla fine è diventato un vaso di Pandora dove è stato infilato dentro di tutto.
Alla faccia della spending review, del rigore, della sobrietà che dovevano essere le cifre connotanti di un esecutivo, malgrè soi, impantanatosi nella palude della partitocrazia.
Di seguito, quelli che a nostro avviso sono stati i 10 errori che più hanno inficiato l’azione di Monti, cui peraltro va il merito (ma glielo riconoscono tutti tranne una parte) di aver ridato all’Italia la perduta credibilità internazionale.

1. L’aver messo sin dall’inizio troppa carne al fuoco in un governo nato per rispondere a una ben precisa emergenza finanziaria, sulla cui onda il Paese rischiava il default. Il risultato è un pacchetto di riforme alcune delle quali (in primis quella del lavoro) si sono mostrate, oltre che complicate, inefficaci.

2. Non avere eletto la questione del debito pubblico come la più urgente da risolvere, mettendo in campo tutte le azioni (e le proposte in questo senso erano molte) per il suo contenimento e, in prospettiva, al sua drastica riduzione. Conseguenza: a ottobre l’ammontare di quel debito ha sfondato la soglia monstre dei 2 mila miliardi di euro, record di sempre.

3. Aver fatto molto sulla carta, ma poco nella realtà, per la riduzione della spesa pubblica, che del debito di cui sopra è il motore vorace. Anche qui, al di là del proclami, contano i numeri, che sono impietosi. Questo a fronte di una pressione fiscale, diretta e indiretta, la cui entità ha assunto dimensioni vessatorie.

4. Aver fatto poco o nulla per stimolare la crescita economica, che è una delle sottostanti fondamentali per avviare un percorso virtuoso sulla riduzione del debito. Il tanto sbandierato omonimo piano, la cui stima di intervento enfaticamente parlava di 80 miliardi, si è via via ridotto col passare dei mesi a ben poca cosa. Così, alla fine, non solo il Paese non è cresciuto ma ha registrato una performance peggiore di quelle dei principali partner dell’Eurozona.

5. Le liberalizzazioni. Poche, scadenti, spesso confuse o rimaste a metà. Da questo punto di vista ci si aspettavano grandi novità, non fosse altro che un governo tecnico, libero dalla preoccupazione del consenso, poteva agire infischiandosene dei rigurgiti corporativi. Dai taxi alle farmacie, ad altri settori della vita pubblica, così non è stato.

 6. L’inefficacia dell’intervento sui costi della politica. Di questo per la verità il governo Monti non porta interamente la colpa, visto che la fine anticipata della legislatura ha determinato la sospensione dell’iter di provvedimenti (come la riduzione delle Province) che andavano nella giusta direzione. L’esecutivo però sul tema si è comunque mosso tardi, e solo quando gli scandali di mala spesa dei soldi pubblici da parte della politica hanno evidenziato l’improcrastinabilità del suo intervento.

7. Il ritardo con cui sono state affrontate fondamentali questioni di politica industriale, verso le quali da un lato il governo ha mostrato passività se non peggio inettitudine (la vicenda Fiat). Dall’altro, come nel caso Ilva, è intervenuto sull’esplodere della loro emergenza. Anche in materia di aziende pubbliche, Monti è sembrato troppo remissivo.
Non è intervenuto su Finmeccanica, anche alla luce degli scandali giudiziari che hanno investito l’azienda. È intervenuto, male, sulla Rai, cambiandone d’imperio i vertici ma lasciando intatto l’anomalo meccanismo di governance che ha reso la tivù di Stato esclusivo terreno di pascolo dei partiti.

8.  Ha sbagliato nella scelta di alcuni ministri, Elsa Fornero su tutti. Di altri non ha saputo tenere a freno la smania di protagonismo, la tendenza a fare annunci poi rivelatisi intempestivi, quando non veri. In alcuni casi, e proprio il ministro del Lavoro è buon testimone, portatori di un’arroganza pari se non superiore alla loro sprovvedutezza.

9. L’aver avuto e reiterato l’Eurocrazia come unica stella polare, come se Monti non fosse il primo ministro degli italiani, ma il loro commissario straordinario per conto di Bruxelles e delle sue istituzioni. Ciò ha reso ancora più evidente quella perdita di sovranità che fu uno dei motivi, anzi, il principale, del suo arrivo a Palazzo Chigi. Insomma, il Professore ha sempre dato l’impressione che gli importasse più quanto pensavano Angela Merkel, Herman Van Rompuy, José Manuel Durão Barroso e compagnia che non i suoi concittadini.

10. L’aver ridotto la politica a una mera rendicontazione finanziaria, come se il cuore pulsante del Paese fosse stato sostituito da un algoritmo che ne catalizza tutte le energie e ne condiziona ogni mossa. Non importa se questo ha aperto laceranti ferite nel tessuto connettivo della nazione, percepita come qualcosa sacrificabile sull’altare di una visione accademica di un’Europa che è di là da venire.
Sabato, 22 Dicembre 2012

Nessun commento: