sabato 10 maggio 2008

La modernita' di Bakunin

La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, per definizione di ambedue le fazioni, rappresenta quell'insieme di organi polizieschi, militari, finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (la borghesia) di rimanere in possesso dei suoi privilegi. La differenza si presenta però nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i marxisti, infatti, si sarebbe dovuta presentare una situazione in cui lo Stato sarebbe stato arma in mano al proletariato per eliminare la controrivoluzione. Solo allora, con la dissoluzione dell'apparato statale si sarebbe passati all'assenza di classi. La posizione di Bakunin (e, con lui, di tutti gli anarchici) è che lo Stato, strumento prettamente in mano alla borghesia, non può essere usato che contro il proletariato: dato che l'intera classe sfruttata non può amministrare l'infrastruttura statale, ci vorrà una classe burocratica che lo amministri.
Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa", padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'uguaglianza e quindi la libertà, secondo il pensatore russo, non possono esistere nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase rivoluzionaria. Se lo Stato è l'aspetto politico dello sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello economico.
La differenza tra la concezione marxiana e quella bakuniana del Capitale, è che per Bakunin questo non è elemento fondante dello sfruttamento: nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto economico della società come basilare per l'analisi della stessa).
Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è la concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal basso. Altra differenza con il marxismo è l'identificazione del soggetto rivoluzionario. Se Marx vedeva nel proletariato industriale la spina dorsale della rivoluzione (mettendolo in contrapposizione con una classe agricola reazionaria), Bakunin credeva che l'unione tra il ceto contadino e il proletariato fosse l'unica possibilità rivoluzionaria. Marx, in alcuni suoi scritti, non nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può essere altro che violenta.
Dato che ogni forma di Stato è una forma di dominio di classe (non importa quale sia la classe) viene spontaneo da chiedersi, quale sia allora la società ideale per Bakunin. In genere il suo interesse è per una forma di autogoverno, una amministrazione della società che vada dal basso verso l’alto nella convinzione che solo in questo modo si possa dare libertà al popolo di dedicare veramente che cosa sia meglio per lui.
Tuttavia non è assente un progetto politico di organizzazione della società che sia alternativa allo Stato: “innanzitutto l’abolizione della miseria, della povertà, e la completa soddisfazione di tutte le necessità materiali per mezzo del lavoro collettivo, obbligatorio e uguale per tutti; e poi l’abolizione d’ogni specie di autorità, la libera organizzazione della vita del paese in relazione alle necessità del popolo, non dall’alto in basso secondo l’esempio dello Stato, ma dal basso in alto, curata dal popolo stesso al di fuori di ogni governo e dei parlamenti; la libera unione delle associazioni dei lavoratori della terra e delle fabbriche, dei comuni, delle province, delle nazioni; e infine, la fraternità di tutta l’umanità trionfante sulla rovina degli Stati. Non abbiamo l’intenzione né la minima velleità di imporre al nostro o a qualunque altro popolo, un qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri ma, persuasi che le masse popolari portano in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati della loro storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel popolo stesso; e siccome ogni potere di Stato, ogni governo deve per la sua medesima essenza necessariamente mirare a subordinarlo a una organizzazione e a fini che gli sono estranei noi ci dichiariamo nemici di ogni governo, di ogni potere di Stato, nemici di una organizzazione di Stato in generale e siamo convinti che il popolo potrà essere felice e libero solo quando organizzandosi dal basso in alto per mezzo di organizzazioni indipendenti assolutamente libere, creerà esso stesso la propria vita.

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