venerdì 23 maggio 2008

Una giustizia a pezzi in un Paese spaccato

«Bisogna far sistema». Questa ricetta, con cui in genere le economie decollano e i paesi si sviluppano, trova da noi un’applicazione tipicamente all’italiana. Consiste nella capacità inesauribile di stabilire reti di complicità e connivenze tra politici, esponenti professionali e istituzionali, faccendieri e malavitosi, con un unico scopo: saccheggiare i beni e le risorse pubbliche. Anche grazie alle rivelazioni emerse dalle inchieste più recenti, il sistema meridionale del malaffare, dei partitifamiglia – formula di grande successo in Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Molise – sono macchine oleatissime con cui si smistano i fondi nazionali ed europei, si assegnano gli appalti, si decide la fortuna o la sfortuna nelle carriere pubbliche, a cominciare dalla magistratura. E mette in primo piano le vere forze che «fanno girare» il paese, condannandolo all’inefficienza dei servizi, agli scempi ambientali e al declino inarrestabile della sua economia. Di queste forze, dopo le scoperte pionieristiche del pool di Milano, Roba Nostra offre la radiografia più aggiornata. Nuovi capibastone politici, tangentisti della prima e della seconda Repubblica, massoni riuniti in fantasiose logge, affaristi devoti della Compagnia delle Opere, clan familiari che sperimentano le tecniche più spietate per garantirsi il controllo di tutto ciò che è pubblico in intere regioni: dalla sanità all’istruzione, ai cosiddetti incentivi per lo sviluppo. E' la saga italiana delle «mani sporche».
Ma chi pensa che farsi i fatti propri e non aver mai messo piede in un tribunale basti a non scontare l'inefficienza del sistema giudiziario italiano si sbaglia. Il crac della giustizia insegue tutti i cittadini fin dentro casa e invade la loro vita .
Un sistema crollato. Un viaggio capillare da Nord a Sud nelle aule giudiziarie, nei corridoi dei tribunali, nei bilanci ministeriali, nel lavoro di magistrati, avvocati, del personale amministrativo, nella perversione e nella proliferazione di leggi che sono fatte ad arte per aggravare questo stato di cose. Viviamo in uno dei Paesi con la più elevata spesa pubblica nel settore della giustizia, una macchina giudiziaria che consuma più di 7,7 miliardi di euro l'anno, eppure nei tribunali mancano le penne, la carta, i computer, l'inchiostro per le stampanti, le fotocopiatrici. Abbiamo lo stesso numero di giudici, eppure in Italia i processi durano più a lungo che in ogni altro Paese d'Europa. Una media di cinque anni per decidere se qualcuno è colpevole o innocente. Sette anni e mezzo per un divorzio. Due anni per un licenziamento in prima istanza. Otto per dare ragione o torto in una causa civile.
Una lentezza e un'inefficienza che il cittadino paga anche quando stipula un mutuo o accende un conto in banca a condizioni più onerose che nel resto d'Europa; quando si imbatte nelle difficoltà di recuperare un credito; quando subisce un infortunio sul lavoro; quando sconta l'inefficienza delle condanne. Basti pensare che ogni anno nelle carceri italiane entrano 90.000 persone e ne escono 88.000 e che a Milano due mani mutilate sul lavoro valgono 200.000 euro meno che a Roma.

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