venerdì 9 maggio 2008

SCHIFANI

di Marco Travaglio
Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al neopresidente del Senato Renato Schifani, vorremmo allineare qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia la’ dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini. Il quale non e’ omonimo di colui che insulto’ Rita Borsellino e Maria Falcone ("fanno uso politico del loro cognome", sic) perche’ erano insorte quando Berlusconi defini’ i magistrati "disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana": e’ proprio lui. Non e’ omonimo dell’autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalo’ l’impunita’ alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioe’ a Berlusconi, e aggredi’ verbalmente Scalfaro in Senato perche’ osava dissentire: e’ sempre lui.
L’altroieri la sua elezione e’ stata salutata da un’ovazione bipartisan, da dx a sx. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio. Gia’, perche’ - come raccontano Abbate e Gomez ne "I complici", trent’anni prima di sedere sul piu’ alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva nella Sicula Brokers, una societa’ di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni. Cinque i soci: oltre a Schifani, l’avvocato Nino Mandala’ (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D’Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle societa’ dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984).
da L'espresso (agosto 2002)
Sua eccellenza Filippo Mancuso, solitamente bene informato, ha definito così il suo ex compagno di partito: «Un avvocato del foro di Palermo specializzato in recupero crediti». Schifani gli ha risposto con una lettera in cui difende la sua «onesta e onorata carriera» e nega di avere mai svolto una simile attività. Negli archivi della Camera di commercio di Palermo risulta però una società, oggi inattiva, costituita nel 1992 da Schifani con Antonio Mangano e Antonino Garofalo: la Gms. L'avvocato Antonino Garofalo (socio accomandante come Schifani) è stato arrestato nel 1997 e poi rinviato a giudizio per usura ed estorsione nell'ambito di indagini condotte dal sostituto Gaetano Paci della Procura di Palermo. L'ex socio di Schifani è ritenuto il capo di un'organizzazione che prestava denaro nella zona di Caccamo chiedendo interessi del 240 per cento. Schifani non è stato coinvolto nelle indagini ma certo non deve essere piacevole scoprire di essere stato socio con un presunto usuraio in un'impresa che come oggetto sociale non disdegnava: «L'attività esattoriale per conto terzi di recupero crediti e l'attività di assistenza nell'istruttoria delle pratiche di finanziamento...».
In un rapporto dei carabinieri del nucleo di Palermo, di cui "L'Espresso" è in grado di rivelare i contenuti, si ricostruisce la storia di un'altra strana società di cui il capogruppo di Forza Italia è stato socio e amministratore per poco più di un anno. Si chiama Sicula Brokers, fu istituita nel 1979 e oggi ha cambiato compagine azionaria. Tra i soci fondatori, accanto a un'assicurazione del nord, c'erano Renato Schifani e il ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia, nonché soggetti come Benny D'Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà. Nomi che a Palermo indicano quella zona grigia in cui impresa, politica e mafia si confondono. Benny D'agostino è un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e, negli anni in cui era socio di Schifani e La Loggia, frequentava il gotha di Cosa Nostra. Lo ha ammesso lui stesso al processo Andreotti quando ha raccontato un viaggio memorabile sulla sua Ferrari da Napoli a Roma assieme a Michele Greco, il papa della mafia.
Giuseppe Lombardo invece è stato amministratore delle società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, i famosi esattori di Cosa Nostra arrestati da Falcone nel lontano 1984 e condannati in qualità di capimafia della famiglia di Salemi. Nino Mandalà, infine, è stato arrestato nel 1998 ed è attualmente sotto processo per mafia a Palermo. Questo ex socio di Schifani e La Loggia era il presidente del circolo di Forza Italia di Villabate, un paese vicino a Palermo e proprio di politica parlava nel 1998 con il suo amico Simone Castello, colonnello del boss Bernardo Provenzano. Mandalà riferiva a Castello l'esito di un burrascoso incontro con il ministro Enrico La Loggia. Mandalà era infuriato per non avere ricevuto una telefonata di solidarietà dopo l'arresto del figlio e così raccontava di avere chiuso il suo colloquio con La Loggia: «Siccome io sono mafioso ed è mafioso anche tuo padre che io me lo ricordo quando con lui andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga. Lo posso sempre dire che tuo padre era mafioso. A quel punto lui si è messo a piangere». La Loggia ha ammesso l'incontro ma ne ha raccontato una versione ben diversa. Nella stessa conversazione intercettata Mandalà parlava di Schifani in questi termini: «Era esperto a 54 milioni all'anno, qua al comune di Villabate, che me lo ha mandato il senatore La Loggia».
Schifani è stato sentito dalla Procura e ha spiegato la consulenza e lo stipendio: «Il mio studio è uno dei più accreditati in campo urbanistico in Sicilia». Ma per La Loggia sotto sotto c'era una raccomandazione: «Parlai di Schifani con Gianfranco Micciché e gli dico se fosse possibile fargli trovare una consulenza. È un modo per dirgli grazie. E allora parlammo con il sindaco Navetta». Il sindaco Navetta è il nipote di Mandalà e il suo comune è stato sciolto per mafia nel 1998.
Il capogruppo di Forza Italia è stato sfortunato anche nella scelta dei suoi assistiti: Innocenzo Lo Sicco, un mafioso pentito, il 26 gennaio del 2000 entra in manette in aula a Palermo e viene interrogato sulla vicenda di un palazzo noto in città, quello di Piazza Leoni. Le sue parole fanno balenare pesanti sospetti: «L'avvocato Schifani ebbe a dire a me, suo cliente, che aveva fatto tantissimo ed era riuscito a salvare il palazzo di Piazza Leoni facendolo entrare in sanatoria durante il governo Berlusconi perché, così mi disse, fecero una sanatoria e lui era riuscito a farla pennellare sull'esigenza di quegli edifici. Era soddisfattissimo. Perché lo diceva a me? Ma perché io lo avevo messo a conoscenza di qual era la situazione, l'iter, le modalità del rilascio della concessione...».
La Procura dopo aver analizzato le parole del pentito non ha aperto alcun fascicolo per la genericità del racconto. Comunque la storia di questo palazzo comincia alla fine degli anni Ottanta quando Pietro Lo Sicco, imprenditore finanziato dalla mafia e zio di Innocenzo, mette gli occhi su un terreno a due passi dal parco della Favorita, una delle zone più pregiate di Palermo. Lo Sicco vuole costruirci un palazzo di undici piani ma prima bisogna eliminare due casette basse che appartengono a due sorelle sarde Pilliu, che non vogliono svendere. Pietro Lo Sicco le minaccia e le sorelle si rivolgono alla polizia. Ma Lo Sicco ottiene la concessione edilizia grazie a una mazzetta di 25 milioni di lire e comincia ad abbattere l'appartamento a fianco. Le sorelle vedono avvicinarsi il bulldozer ed arrivare nel loro negozio i fusti di cemento. Il messaggio è chiaro: finirete lì dentro. La Procura offre alle Pilliu il programma di protezione e oggi le sorelle vivono proprio nel palazzo costruito da Lo Sicco e confiscato dallo Stato. Il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.
Schifani ha difeso l'impresa Lo Sicco davanti al Tar. Il pentito Innocenzo Lo Sicco, ha raccontato che lui stesso accompagnava l'avvocato Schifani negli uffici per seguire la pratica. Certo all'epoca l'imprenditore non era stato inquisito e il senatore non poteva sapere con chi aveva a che fare anche se il genero di Lo Sicco era sparito nel 1991 per lupara bianca. In quegli anni Schifani assisteva anche altri imprenditori incappati nelle confische per mafia, come Domenico Federico, prestanome di Giovanni Bontate, fratello del capo della cupola Stefano. Un settore quello delle confische che il senatore non ha dimenticato ed ha presentato un progetto di legge (numero 600) per modificare la legge sulle confische e sui sequestri.
da "Se li conosci li eviti" di Gomex e Travaglio
Secondo il pentito Francesco Campanella, negli anni Novanta "il piano regolatore di Villabate, strumento di programmazione fondamentalein funzione del centro commerciale che si voleva realizzare e attorno al quale ruotavano gli interessi di mafiosi e politici, sarebbe stato concordato da Antonino Mandalà con La Loggia. L’operazione avrebbe previsto l’assegnazione dell’incarico ad un loro progettista di fiducia, l’ingegner Guzzardo, e l’incarico di esperto del sindaco in materia urbanistica allo stesso Schifani, che avrebbe coordinato con il Guzzardo tutte le richieste che lo stesso Mandalà avesse voluto inserire in materia di urbanistica. In cambio, La Loggia, Schifani e Guzzardo avrebbero diviso gli importi relativi alle parcelle di progettazione Prg e consulenza. Il piano regolatore di Villabate si formò sulle indicazioni che vennero costruite dagli stessi Antonino e Nicola Mandalà [il figlio di Antonino che per un paio d’anni ha curato gli spostamenti e la latitanza di Bernardo Provenzano, nda], in funzione alle indicazioni dei componenti della famiglia mafiosa e alle tangenti concordate".Schifani, che effettivamente è stato consulente urbanistico del comune di Villabate, e La Loggia hanno annunciato una querela contro Campanella.

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