venerdì 12 ottobre 2007

L'ALTRA CASTA

di Francesco Grignetti
E’ una ben strana Casta, quella dei magistrati italiani, che presiede a una Giustizia, che, sono loro a dirlo, è comatosa, sfasciata, terremotata. Un po’ fa ridere, e un po’ piangere, il sarcasmo di Francesco Greco, celebre pm milanese, quando dice che in Italia le procedure per arrivare a un divorzio a volte sono impossibili «e allora è più facile uccidere la moglie». Già, le famose cause infinite per ottenere giustizia in sede civile. «L’apparato giudiziario sembra la spiaggia di Phuket dove è passato lo Tsunami». L’ arretrato, nel civile come nel penale, è infinito. Strabocchevole il numero di cause penali che finiscono nel nulla per sopraggiunta prescrizione. Ma lì c’ entra una famosa leggina approvata dal centrodestra, la ex Cirielli, che taglia drasticamente i tempi per arrivare a una sentenza. E se poi i giudici non ce la fanno, chissenefrega. Mica sempre. Racconta ancora Francesco Greco, sempre più sarcastico: «L’inchiesta su Parmalat l’abbiamo chiusa in tre mesi. In America, l’inchiesta su Enron l’hanno fatta in cinque anni. E come è noto, io ho stipendi e stock option eccezionali... Ma quelli che lavorano con me, stanno sui mille euro al mese». E allora, ripercorrendo il paradosso di Francesco Greco: i diecimila magistrati italiani sono di sicuro una Casta, ma molto particolare. I chiari e gli scuri sono portati all’eccesso. Vi si accede per concorso pubblico e quando qualcuno vuole offenderli in blocco, li definisce «modesti funzionari pubblici». Se c’è desiderio di visibilità, però, le occasioni non mancano. Gli stipendi di media non sono così alti, in compenso le ferie sono lunghe e nessuno vigila sugli orari. Non mancano casi clamorosi di imboscamento, oppure, all’opposto d’impegno sovrumano. Le carriere sono autogestite e i giochi di corrente hanno un peso immenso. E il potere... Il potere è immenso. Il tema della discussione è noto: vincono un concorso pubblico e dopo qualche mese hanno la potestà di arrestare un cittadino. E se c’è di mezzo un giudice- ragazzino, poi, è garantito un sovrappiù di polemica. Sono considerati «nemici» dei politici. Ma la politica è una tentazione per molti. A destra come a sinistra. Sono magistrati in prestito al Parlamento sia Anna Finocchiaro che Felice Casson, Massimo Brutti e Gerardo D’Ambrosio (Ulivo), ma anche Peppino Di Lello (Rifondazione), Nitto Palma (Forza Italia) o Alfredo Mantovano (An). Avere un giudice nelle liste elettorali è un fiore all’ occhiello per ogni partito. Tanti, come Giuseppe Ayala, sono poi rientrati nei ranghi della carriera. Altri hanno gettato la toga alle ortiche. Antonio Di Pietro è in pensione. Carlo Palermo svolge il suo lavoro di avvocato. Curioso contrappasso: sono proprio questi ex magistrati quelli che fanno più arrabbiare i colleghi in servizio. Casson e Di Lello sono stati i più inflessibili nell’ indurire le incompatibilità tra pm e giudice, i quali, da ora in poi, se passano da una funzione all’altra, dovranno trasferirsi di regione. Al vertice ci stanno quelli che vestono di ermellino. Non c’è nessun’altra cerimonia che dia il segno di una Casta come l’inaugurazione di un Anno giudiziario. Nei corridoi della Corte di Cassazione procedono maestosi in corteo con il tocco e la toga rosso scarlatto, un messo che li precede, le autorità ad attenderli in piedi. All’opposto ci sono i giovani. Sotto i quarant’ anni sono in tremila circa: se la devono cavare con un buono pasto da 4,6 euro al dì, non hanno macchina di servizio né benefit, si sentono la «carne da macello» del sistema. «Non si sbaglia ad affermare che molti colleghi di prima nomina in certe realtà metropolitane stentano a mantenere una vita dignitosa», denunciava qualche tempo fa un sostituto procuratore a Napoli, Catello Maresca. Ecco, se si guarda ai gradini bassi della piramide, in effetti appare come una Casta impoverita. L’Istituto nazionale di previdenza e mutualità fra magistrati italiani prevede «sussidi» da 52 euro per acquisto di occhiali, «una tantum» da 1.033 euro in caso di morte, «premio» da 516 euro agli orfani, fino al toccante dono della toga ai primi tre classificati del concorso. Gli altri, la toga, se la devono comprare da sé. Epperò, se si risale per li rami della carriera, si scopre che le cose cambiano presto. Gli stipendi s’irrobustiscono. E sono gli unici in Italia a lavorare fino a 75 anni. «Un limite - racconta Livio Pepino, membro del Csm, leader di Magistratura democratica - che anch’io trovo eccessivo. Ma non si può eliminarlo di colpo. Ci troveremmo gravemente scoperti; salterebbero 500 magistrati». Loro, i giudici, dopo l’epica battaglia contro il governo berlusconiano, si sentono ancora sotto assedio. Per puro accanimento, denunciano, dall’anno scorso gli sono stati decurtati di un terzo gli adeguamenti che spettavano loro per legge. Per reazione, hanno deciso una severa moralizzazione interna. Negati a tutti (salvo che al Consiglio di Stato) gli incarichi extragiudiziali e gli arbitrati. La legge Mastella sull’ordinamento, poi, sta per trasformare radicalmente la geografia interna del potere. Ogni capoufficio, o vice, decadrà automaticamente dalla carica dopo otto anni. Sono già sotto sfratto in 340 tra procuratori capo, aggiunti e presidenti di tribunale. C’è una frattura generazionale che scuote molti palazzi di Giustizia. Vedi Catanzaro o Potenza. E c’è una questione femminile: le donne sono il 41 per cento dei magistrati, ma solo il 4 per cento dei dirigenti.

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